martedì 31 luglio 2012

Serve un fisco più semplice. Lo dice anche Befera

di ANGELO PELLICIOLI
E’ notorio e risaputo che siamo un popolo di  santi, di eroi e di navigatori. Ma pure di beoti. Nel senso che prendiamo sempre per buono, spesso senza valutare, e soprattutto senza discutere, ciò che ci viene imposto dall’alto, soprattutto se proveniente da organi burocratici statali. Tutto ciò non è però sufficiente per certificare che siamo anche un popolo di imbecilli, dando modo all’ennesimo burontosauro di Stato, salito agli onori degli altari,  di svillaneggiarci a suo piacimento con alterigia e sussiego. Non ne possiamo più. Siamo veramente sul punto, per dirla con il Manzoni, di essere “un volgo disperso che repente si desta, intende l’orecchio, solleva la testa percosso da novo crescente romor”

Il segugio numero uno Equitalia può benissimo raccontarci che non è colpa sua se gli evasori si suicidano, può anche affermare che l’esazione è un diritto sacrosanto dell’erario ed un preciso obbligo del contribuente (tutto da verificare, soprattutto in funzione dell’utilizzo proprio, o improprio, che fa lo Stato delle tasse), ma non può certamente prenderci in giro con affermazioni “burocratiche” trattando il tema della burocrazia italiana.
Ecco alcune di tali sue affermazioni rilasciate negli ultimi giorni: “Il fisco è un pachiderma. C’è stata una bulimia di norme negli ultimi 40 anni. Al punto che è quasi impossibile compilare da soli un Modello 730. Entro il 30 settembre l’amministrazione finanziaria procederà ad una mappatura degli adempimenti tributari inutili ed eccessivi.” Ed ancora: “si potrà stralciare alcune delle parti della delega e farle diventare norme nel più breve tempo possibile. Il sistema fiscale italiano è estremamente complicato soprattutto a causa delle agevolazioni”. E così continuando. Bastano però queste quattro affermazioni per delineare il soggetto, ritenuto da qualcuno un luminare, tanto da essere retribuito (ed in futuro pensionato) a peso d’oro.
Caro Befera, siamo tutti maggiorenni e vaccinati. La scoperta dell’acqua calda è roba di almeno  quaranta secoli fa. Non incanti più nessuno. Nemmeno quando sostieni che è prevista, in tempi rapidi, “la revisione degli adempimenti, con particolare riferimento a quelli superflui che diano luogo, in tutto o in parte, a duplicazioni o risultino di scarsa utilità ai fini del controllo o dell’accertamento…”. Dopo decenni di inutili promesse, chi ci crede più?
A proposito, cosa te ne pare degli elenchi clienti e fornitori che per anni hanno assillato gli imprenditori e che sono finiti, intonsi, a far polvere negli archivi del fisco, intasandoli, e perciò aboliti dal precedente governo; elenchi che sono stati  recentemente riproposti, sebbene sotto altri nome e forma, da Monti e compagnia cantante, col tuo beneplacito? Rientrano anch’essi fra i documenti inutili o fra gli adempimenti duplicati? Oppure vogliamo discutere di quell’aberrazione con la quale il fisco, che non riesce a controllare il controllabile, cerca di giustificare taluni suoi atteggiamenti da Stato di polizia, se non addirittura di dittatura? Eccone un esempio eclatante: una volta (oltre quarant’anni fa) esisteva nel diritto tributario, così come in ogni altra branca giuridica, solo la certezza del diritto. La legge era legge per tutti e soprattutto non era da mettere in discussione, né troppo da interpretare. Non ce n’era bisogno.
La nuova riforma fiscale del 1974, assecondava tale principio giuridico generale. C’era la certezza della legge tributaria, con un unico comportamento sanzionabile: quello dell’evasione fiscale. Ma poiché tutto ciò non bastava al vorace ed incapace fisco statale, pochi anni dopo è stato coniato (dai luminari delle Finanze) altro appropriato neologismo  quello dell’ “elusione fiscale”. Detto in parole povere: per essere considerati evasori non bastava più non pagare le tasse, ma pure risparmiare sulle imposte seguendo, pedissequamente, le leggi fiscali esistenti. Una vera e propria contraddizione in termini.
Pensate che arrivati a questo punto  sia stato raggiunto il massimo? Nossignori. Negli ultimi due o tre anni,  stante la persistente sete di tasse (con paralleli sperperi e ruberie di politici, faccendieri e burontosauri, pagati a peso d’oro) e la cronica incapacità della pubblica amministrazione di scovare i veri evasori,  si è coniata un’altra nuova definizione: quella dell’ “abuso del diritto”. Secondo tale teoria un uso troppo disinvolto, da parte del cittadino contribuente, delle leggi fiscali attuali, intese a suo favore, costituisce un abuso, considerato indice di evasione e/o elusione fiscale.
In sintesi: la burocrazia che non riesce nel suo intento, cerca di farlo con nuove allocuzioni,  potenzialmente tese alla mera presunzione, spesso del tutto ingiustificata, del mancato pagamento all’erario di quanto, a suo discutibile parere, dovuto dal contribuente. E tale iniquo atteggiamento non è cambiato nemmeno in questi tempi di crisi imperversante. Lo Stato è in dissesto, non solo finanziario, ma soprattutto legislativo, organizzativo, di controllo, col suo canestro bucato pieno di ruberie, di spese pazze, di retribuzioni  e pensioni d’oro a funzionari, senza che nessuno possa veramente metterci un freno.
Ormai è risaputo ed accertato: il sistema centrale risulta incapace di amministrare la nostra sacrosanta “res publica” , cioè il tesoro pubblico (ammesso che ancora ne esista uno) che con enormi sacrifici abbiamo contribuito a rimpinguare a suon di tasse e di gabelle. Con l’unico risultato di mantenere una pletora di pubblici dipendenti che, alla fine, sa solo darci addosso. Molte volte anche senza plausibili ragioni. Tale sistema non è destinato a durare a lungo. E non sarà certamente la politica odierna (corrotta e ladrona) a portarci fuori dal pantano bensì, a questo punto, l’impellenza per i cittadini  di soddisfare  i loro bisogni primari: quali la casa e il lavoro. Tutto questo potrà avvenire solo con una nuova ventata di autonomia dei popoli delle regioni; i quali, prendendo coscienza del problema, si sentano finalmente e veramente sovrani. E non solo definiti tali da una Costituzione che sembra faticare notevolmente a reggere i ritmi del nostro tempo dal progresso galoppante.
fonte l'indipendenza.com

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