venerdì 27 luglio 2012

Nazareno Gabrielli Unicredit

Articolo,anche questo datato ma ,secondo me, illuminante: pensiamo solo a quanti nomi storici non ci sono più , pensiamo a quando abbiamo letto o sentito delle difficoltà in cui versavano e poi...più niente, non ne abbiamo più saputo nulla: se Castello o De Tomaso sono casi più o meno recenti, andiamo indietro negli anni e scopriremo che la colpa, alla fine è delle banche e di chi (pur pagato)non è capace di tutelare un'azienda
DI ROBERTO SCORCELLA
ilribelle.com

Non solo i grandi colossi del credito hanno
avuto (e hanno) condotte quanto meno criminali. Stavolta molto di strano c’è
anche da “noi”.
Ecco la storia di Unicredit e Nazareno Gabrielli


Un'azienda
sull'orlo del fallimento di questi tempi non è una novità. Particolarmente
inquietante, ma anche questa purtroppo inizia a diventare una consuetudine, il
fatto che a spingerla verso il baratro sia stata una banca. La vicenda riguarda
un marchio che a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta è stato una griffe
rinomata, sui livelli di Gucci e Cartier, con negozi in ogni parte del mondo e
capi ricercatissimi. Stiamo parlando della Nazareno Gabrielli, azienda del
maceratese fondata nel 1907 dall'uomo che le ha dato il nome. Per entrare nella
vicenda bisogna capire che cosa è stata la Nazareno Gabrielli. Specializzata
nel pellettiero, sotto la direzione del manager David Passini sceglie negli
anni Ottanta di introdurre il design in ogni prodotto e buttarsi a capofitto in
una politica di marchio con una netta predilezione verso il settore femminile.


La scelta è vincente e gli anni Novanta vedono la Nazareno Gabrielli sfiorare
un fatturato di 130 miliardi con circa 600 dipendenti. Gli effetti di qualche
operazione finanziaria azzardata, portano verso una parabola discendente e a un
declino inesorabile. Passini vende nel 1999 l'azienda a Angelo Corona, manager
abruzzese che due anni prima aveva rilevato il 100 % della fiorentina Pineider,
dopo che Diego Della Valle aveva rinunciato all'opzione per rilevare i due
stabilimenti della Gabrielli.

Nel 2005 il marchio viene rilevato da un
giovane torinese rampante, Filippo Tarocco, amministratore delegato di Key
Group. "La società" dichiara Tarocco ai giornali dopo l'acquisizione della
Gabrielli "intende sviluppare un piano di rilancio triennale, con al centro un
forte sviluppo internazionale del marchio, che sarà riposizionato all'interno
del segmento alto del mercato. Prevista a tale scopo anche la prossima apertura
di 30 negozi monomarca in Italia e all'estero. Tra gli obiettivi c'è la
salvaguardia dell'occupazione e delle competenze del settore della pelletteria,
come pure la garanzia della presenza di un sito industriale a Tolentino". Dopo
due anni, nel 2007, Tarocco, con la Gabrielli sull'orlo del fallimento, venderà
il marchio. Nel frattempo, però, malgrado tutto si realizza come esperto di
economia aziendale scrivendo un libro: "Basilea 2. Nuovi scenari del rapporto
banca-impresa". Uno dei capitoli riguarda il rapporto fra banche e imprese. Che
evidentemente conosce molto bene, visto quello che succederà qualche mese dopo
l'acquisizione del marchio Nazareno Gabrielli da parte dei nuovi proprietari,
due imprenditori milanesi: Paolo Badile e Michele Spagna. Il passaggio di
consegne ufficiale della proprietà di quella che ora si chiama Pelletterie 1907
da Tarocco a Badile e Spagna avviene il 4 ottobre 2007. Quanto successo nei
giorni successivi lo racconta lo stesso Badile. “Penso sia opportuno partire
dalle date. La nuova società si è formalmente insediata il 4 ottobre 2007.
Abbiamo trattato con la precedente proprietà, preso visione dei bilanci e delle
esposizioni nei confronti degli istituti di credito fino ad arrivare alla
acquisizione della Nazareno Gabrielli. Magicamente, e per la nostra gestione
drammaticamente, nell’estratto conto di Unicredit di fine ottobre 2007 ci siamo
visti addebitare settantadue assegni per quasi un milione e trecentomila euro.
Questi assegni erano stati emessi fra l’aprile e il giugno 2007 dalla
precedente gestione e regolarmente pagati da Unicredit alla data dell’incasso.


Una somma tanto rilevante, però, è rimasta sospesa per così dire… nell’etere
per circa sei mesi fino a ricomparire improvvisamente non appena noi ci siamo
insediati. Per essere ancora più precisi, tutti i settantadue assegni ci sono
stati addebitati con la medesima data: 22 ottobre 2007. Curioso, no? Soldi
letteralmente scomparsi per così tanto tempo di cui nulla sapevamo e che hanno
provocato il dissesto finanziario di Pelletterie 1907. Infatti, a seguito dell’
addebito sul conto di una cifra così cospicua, Pelletterie 1907 è entrata nella
Centrale Rischi di Banca d’Italia in quanto ha sconfinato dagli affidamenti
concessi per oltre un milione di euro. Una cosa simile non l’ho mai vista né
sentita in tutta la mia vita. Oggi un risparmiatore che deve pagare un assegno,
se entro due giorni dalla data dell’incasso non ha i fondi sul conto, il titolo
viene protestato. Ho sempre creduto che gli istituti di credito potessero in
qualche modo aiutare privati e aziende, confidando nella buona fede e nella
buona gestione del denaro loro affidato. Questa vicenda, al contrario, mi ha
aperto gli occhi su come realmente funziona il sistema”. E quando chiediamo a
Badile chi abbia incassato quegli assegni la risposta è semplicemente
disarmante. "I soldi sono finiti a diversi soggetti. Una parte ai fornitori,
una parte è stata invece incassata da società collegate alla precedente
gestione”.

Evidentemente Tarocco aveva proprio studiato bene il capitolo del
rapporto banche-imprese. Ma le dolenti note devono ancora arrivare. Entrare
nella Centrale Rischi di Banca d'Italia oggi per un'azienda vuol dire aver
chiuso con il credito. La stessa cosa che capita ai privati che non pagano la
rata dell'aspirapolvere e si ritrovano nelle black list come il famigerato
Crif: credito precluso per almeno un decennio, sempre che la plutocrazia
bancaria sia benevola nei suoi confronti. E a Pelletterie 1907 cosa è successo
dopo essere stata inserita nella Centrale Rischi? “Alcune banche" spiega Badile
"ci hanno bloccato l’utilizzo delle linee di credito in essere e negato la
possibilità di ricorrere a linee di credito aggiuntive. Inoltre, mi sono state
chieste ulteriori garanzie personali per linee di credito già esistenti,
peraltro stranamente concesse per importi rilevanti alla precedente gestione
senza alcun tipo di garanzia. Un’azienda di pelletteria che lavora in un
settore “stagionale” come quello del fashion deve obbligatoriamente ricorrere
al finanziamento bancario per finanziare un ciclo produttivo che si chiuderà
con l’incasso del cliente dopo oltre un anno. Questo comportamento di Unicredit
ha fatto sì che gli aumenti di capitale versati su Pelletterie 1907, circa tre
milioni e mezzo di euro, non siano stati utilizzati in maniera efficiente per
poter ristrutturare il debito dell'azienda, ma per finanziare il corrente
ovvero la produzione e per pagare oltre tre mesi di decine di stipendi
arretrati, eredità della precedente gestione. Da qui, quindi, si è innescato un
effetto domino con il sistema bancario che, con il tempo, ha portato prima alla
crisi di liquidità e poi alla situazione attuale”. Insomma, piani di rilancio e
di investimento azzerati ancor prima di cominciare, carenza di liquidità,
ritardi nei pagamenti degli stipendi e a luglio 2009 un'istanza di fallimento
promossa dai dipendenti e pendente al Tribunale di Macerata. Con il rischio che
un marchio ultracentenario, segno della storia e della laboriosità di un intero
territorio, finisca magari nelle mani di qualche cinese facoltoso per quattro
denari. Intanto i 50 dipendenti della Gabrielli sono tutti a casa. E per loro
non sembrano esserci prospettive, soprattutto nell'eventualità che l'azienda
venga dichiarata fallita. Pelletterie 1907 si è rivolta al Tribunale civile di
Milano chiedendo il rigetto dei decreti ingiuntivi di pagamento emessi da
Unicredit ad aprile 2009, sostenendo il dolo negoziale con richiesta di
risarcimento dei danni finanziari e d'immagine. Il Tribunale, dopo una prima
udienza ha aperto un giudizio di merito per una valutazione tecnica. Prima,
però, c'è stato un tentativo di accordo? “Certamente.

Una società ceduta dopo
regolare visura dei libri contabili. A cessione effettuata, assegni stellari
addebitati sul conto corrente. Firmati dalla precedente proprietà. 50
lavoratori per la strada. E una causa in corso.

Ci siamo seduti a un tavolo”
dice Badile "e ho dovuto accettare fidejussioni personali per oltre 5 milioni
di euro, oltre a un piano di rientro assolutamente insostenibile per un’azienda
in evidente difficoltà finanziaria”. Unicredit, dal canto suo, chiarisce la
propria posizione affermando che "gli assegni non furono addebitati alla data
del loro ricevimento in quanto la procedura non prevede addebiti in assenza di
provvista". Furono perciò "allocati a sospesi in attesa che si verificassero
alcuni eventi prospettati dall'azienda (aumento di capitale e incasso crediti),
in considerazione dei quali la banca aveva deciso di accordarle la sua
fiducia". Ma gli assegni, in assenza di provvista, non finiscono nelle mani di
un notaio per poi essere eventualmente protestati? Perlomeno questa è la regola
applicata con i poveri cristi. Qui, invece, si tiene 1 milione e 300mila euro
allocato chissà dove in attesa che si verifichino eventi aleatori prospettati
da un'azienda in crisi! Dove saranno finiti tutti quei soldi fra il maggio e la
fine di ottobre del 2007? Mistero. Così, mentre il presidente del consiglio a
Tripoli cerca di ottenere da Gheddafi ossigeno (denaro fresco) per finanziare
Unicredit in difficoltà e il ministro Tremonti da mesi suona una tremebonda
carica contro le banche che non finanziano le imprese, cinquanta persone si
trovano per strada, senza più un lavoro, senza più uno stipendio, senza più una
prospettiva anche e soprattutto per un comportamento quantomeno anomalo di un
istituto di credito che paga assegni senza copertura finanziaria sulla base di
"promesse". E c'è da riflettere perchè se questo è capitato a una piccola
azienda come Pelletterie 1907, si può immaginare cosa possa succedere quando il
discorso si allarga verso le grandi industrie. Ma in tempi di plutocrazia non
c'è da aspettarsi altro che storie come questa.

Roberto Scorcella
Fonte: www.
ilribelle.com/
Novembre 2009 - Anno 2 Numero 14

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