lunedì 16 luglio 2012

Forconi - Tirando un bilancio per andare oltre

La sfida più impegnativa

Come chi ci segue sa bene, noi siamo stati dalla parte del Movimento dei Forconi sin da quando, coi blocchi stradali di gennaio, esso diede vita alla più massiccia protesta popolare degli ultimi anni. Tanto più significativa perché la prima che si è scagliata contro il neonato governo Napolitano-Monti.

Abbiamo continuato a sostenerli, nei mesi successivi, denunciando la campagna di diffamazione inscenata dai media di regime. Una campagna aggressiva, che mischiava ad arte i pregiudizi verso i lavoratori rurali, quelli razzisti contro il popolo siciliano, mescolati ai collaudati luoghi comuni sulla sua mafiosità.

Quasi tutta la sinistra si associava a questa campagna, aggiungendo le accuse insidiose che i Forconi erano, oltre che "sfruttatori falliti", nostalgici dei vantaggi e dei favori del tradizionale sistema clientelare. Colpevoli, infine, del crimine massimo: essere stati berlusconiani. Non sono mancate, addirittura, le denuncie di presunte infiltrazioni fasciste.


Questo attacco concentrico teso ad isolare i Forconi, a fargli attorno terra bruciata, è stato devastante. Una volta conclusosi con un sostanziale successo, sul Movimento è calata una impressionanate congiura del silenzio. Congiura a cui, ancora una volta, ha aderito quasi tutta la sinistra. Perché segnaliamo la inaudita gravità di questa adesione della sinistra alla campagna di ostracismo è evidente. I Forconi, per consolidarsi e andare avanti, avevano bisogno di aiuto, dell’appoggio dei variegati movimenti di protesta e di lotta contro le misure antipopolari del governo Monti. Le sinistre hanno scientemente impedito la solidarietà e l’unificazione dei fronti di lotta, dandosi in questo modo la zappa sui piedi, ovvero indebolendo le proteste sociali contro il governo Monti.

Quanta stoltezza in questo comportamento!

E’ stato gettato al vento l’enorme bagaglio di esperienze politiche in fatto di alleanze nella lotta contro il sistema, bagaglio accumulato in duecento anni di vita del movimento operaio. Invece di farsi alfieri della più ampia unità dei movimenti di protesta, invece di essere architetti del più ampio blocco sociale contro il comune nemico, hanno fatto ai Forconi le pulci, sfoderando un improbabile e spelacchiato operaismo mentre, con l’alibi dell’antiberlusconismo, sono stati partecipi delle peggiori nefandezze politiche —l’adesione all’Europa neoliberista, la partecipazione ai governi Prodi.

Non ci siamo schierati dalla parte dei Forconi solo per l’odio che ci muove contro questo sistema oligarchico, e per la solidarietà doverosa verso ogni movimento di protesta contro le ingiustizie sociali. Noi l’abbiamo fatto in virtù di una precisa analisi delle contraddizioni di questo sistema, della sua crisi irreversibile.


Il motore del sistema capitalistico è ingrippato, la supremazia della finanza speculativa è alla fine, il vecchio modello di relazioni sociali destinato a perire e, con esso, i meccanismi della democrazia e della rappresentanza politica. Entriamo in un periodo storico caratterizzato dal pauperismo di massa, dall’insorgenza di nuovi movimenti di rivolta sociale, dall’agonia dei vecchi partiti e sindacati, dalla disgregazione finale sia del tradizionale blocco sociale dominante che di quello dei dominati, dalla genesi di nuove aggregazioni, sociali e politiche. La società ora subisce un processo di disfacimento, ma esso precede nuove combinazioni, polarizzazioni e alleanze.

In questa prospettiva si debbono unire tutti i ceti sociali martoriati dalla crisi sistemica e puniti dalle politiche di salasso delle classi dominanti. Gioventù precaria, disoccupati, operai dell’industria, dipendenti pubblici, pensionati: o il proletariato sarà capace di essere forza motrice di un fronte popolare che sappia incorporare il ceto medio impoverito, artigiani e contadini, piccoli e medi capitalisti stragolati dal sistema finaziario parassitario, oppure questi strati sociali andranno a destra, alimentando una rivolta reazionaria di massa. Chi si oppone a questo fronte del popolo lavoratrore e all’idea di un governo popolare d’emergenza che applichi radicali misure di trasformazione sociale, finisce per agire, suo malgrado, in favore di chi comanda, da agevolatore della svolta reazionaria di cui poi dovrà rendere conto alla storia.

E’ in questa cornice che abbiamo sostenuto e sosteniamo il Movimento dei Forconi, perché esso è il primo vagito della sollevazione popolare che avanza. “Ogni rivoluzione inizia a camminare con scarpette da bambino”. Che questo Movimento avesse dei limiti, che avrebbe compiuto degli errori, a noi pareva inevitabile. Di esso si doveva cogliere che era il parto cesareo di una Sicilia ferita a morte, di un’economia in decomposizione, di un tessuto sociale sbrindellato.


Ma era il segno del riscatto di un popolo, dalla sua soggezione atavica ad un fradicio notabilato, dal suo stato di minorità. Del suo risveglio. Una certa élite “progressista”, parliamo anzitutto di una certa sinistra siciliana con la puzza sotto il naso, davanti a questo pargolo si è ritratta inorridita. Essa si aspettava un’investitura a classe dirigente. Bene hanno fatto i Forconi a negargliela. Denunciando tutti i cascami della vecchia casta politica di regime. Respingendo ogni tutela partitica, essi hanno scavato un solco tra loro e il sistema, ponendo, seppure in forma solo embrionale, il problema di rifondare su basi nuove, popolari e realmente democratiche, non solo il sistema politico ma quello economico e sociale.

I Forconi hanno indicato il problema, ma non hanno potuto trovare la soluzione.

Inebriati dalla prova di forza dei Blocchi di gennaio, forte è stata l’illusione di potere sollevare il popolo a comando. Non è così, non è mai stato così. Già a febbraio noi ponemmo ai dirigenti del movimento questa domanda: “Come pensate di procedere se il sistema, dopo avervi isolato, vi prendesse per sfinimento?”. “Vedremo”, fu la risposta. C’era in quest’approccio quello che si rivelerà il limite più serio: la tendenza a navigare a vista.

Senza volerlo e forse senza nemmeno pensarlo, il Movimento dei Forconi, da multiforme movimento sociale, si è via via trsformato in movimento schiettamente politico. Ciò non rispondeva ad un piano preordinato, ma alla necessità di resistere, da una parte all’isolamento, dall’altra al riflusso della mobilitazione popolare. In assenza di un’estensione dei fronti di lotta fuori dall’Isola, in presenza di un calo della tensione sociale, questa era una scelta pressoché obbligata. Ma in questo passaggio sono venuti a galla i quattro principali limiti del Movimento: la mancanza di un disegno strategico, la scarsa attenzione alla questione dell’organizzazione e dell’autofinanziamento del movimento, l’assenza di una tattica, idee poco precise sulla comunicazione di massa.

L’inesperienza, gioca brutti scherzi. Entrare nell’agone politico e al contempo conservare le caratteristiche di movimento con peso sociale di massa, era un’impresa ardua. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. L’attacco frontale, sacrosanto, a tutta l’accozzaglia partitica, chiedeva un prezzo, visto che quell’accozzaglia, anzitutto in Sicilia, conserva ancora una potente influenza sociale. Il salto politico, c’è stato, ma impigliato in un dispositivo (figlio dei tempi) populistico ed evanescente.


Occorreva, invece, indicare uno sbocco politico, dotarsi di una piattaforma, darsi una struttura organizzativa, cercare e stabilire delle alleanze, definire precise modalità di battaglia. I Forconi avrebbero potuto e dovuto indire gli Stati generali del popolo siciliano, una Convenzione per opporre al regime il potere popolare. Questo andava fatto il 6 marzo, in occasione della grande manifestazione di Palermo sotto il Palazzo dei Normanni, che se non fu occupato non fu solo per l’incertezza ma, appunto, per l’assenza di uno sbocco politico chiaro.

Siamo così giunti, dopo una sfibrante carovana preparatoria, all’iniziativa di lotta promossa dal Movimento dei Forconi sullo Stretto di Messina, iniziata l’8 luglio e conclusasi il 13. Le cose vanno chiamate con il loro nome, essa si è risolta in una sconfitta. Occorrevano, se non migliaia, almeno centinaia di persone per bloccare lo Stretto e compiere un’azione contundente che potesse, al contempo, rilanciare il Movimento e ferire seriamente il potere.

Purtroppo questa adesione massiccia non c’è stata e, malgrado gli sforzi compiuti da un generoso “zoccolo duro”, questo si è ritrovato solo. Il vasto fronte nemico, atteso pazientemente il momento per sferrare l’imboscata, l’ha avuta vinta.

Si apre inevitabilmente tra i Forconi la riflessione più importante. Per farla e affinché produca frutti, essi debbono tirare il fiato, ragionare per stabilire come rialzare la testa, piuttosto che rialzarla senza ragionare. Di una cosa siamo certi. Come ogni albero buono da buoni frutti, il seme gettato dai Forconi attecchirà. In quali forme esso germoglierà è ancora presto per dirlo, e dipende da diverse circostanze oggettive. Dipende comunque anche dalle decisioni che adotterà il gruppo dirigente, ora chiamato alla sfida più impegnativa.

Non è tardi per chiamare i siciliani a formare degli Stati generali, a costituire una Convenzione democratica e popolare da opporre all’attuale potere notabilare corrotto. Si può e si deve farlo, sapendo che se il potere gode ancora di consenso sociale, è anche vero che la maggioranza dei siciliani spera in un radicale cambiamento. I Forconi possono ancora essere la leva per rifondare la Sicilia, e i siciliani diventare protagonisti della futura rivoluzione italiana.

15 Luglio 2012

Segreteria nazionale del Mpl

http://sollevazione.blogspot.it/2012/07/forconi-tirando-un-bilancio-per-andare.html#more
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