Premetto che non ho visto il film, il cui titolo è “Paradise Faith”, e dunque non giudico con i miei occhi, ma con quelli di coloro i quali probabilmente lo hanno veduto al Festival del cinema di Venezia.
Quel che è certo è che nei quotidiani online dove se ne parla è descritta una scena blasfema1che umilia profondamente la nostra fede cristiana,
perché riduce il dolore per la passione di Cristo a un rapporto di
perversione, appartenente esclusivamente a realtà patologiche di persone
evidentemente borderline, che nulla hanno a che spartire con il vivere
autentico della fede cristiana.
Ma attaccare Cristo – anche per mezzo dei
suoi fedeli – oggi è diventata una
moda quasi quanto difendere
Maometto. Gli stessi che levano in aria le spade della libertà per fare
affermare il diritto degli islamici di seguire le loro usanze –
nonostante queste stridano troppo spesso con le più basilari ed
elementari regole di tutela della dignità umana - sono poi gli stessi che usano quella stessa libertà per attaccare la Chiesa e Cristo,
e per giudicare certe pellicole espressione di ilarità, umorismo
intellettuale, e perché no?, persino libertà di espressione da difendere
a tutti i costi; anche a costo di demolire una parte fondamentale della
nostra identità e il sentimento di milioni di cristiani, che invece
zitti subiscono questo troglodita e becero laicismo.
Ha avuto gioco facile Ulrich Seidl
– il regista del film – a confezionare un film che umilia la fede
cristiana, fino a renderla il turpe veicolo per il soddisfacimento di
morbose passioni autoerotiche. Perché noi cristiani siamo gente perbene e
tolleriamo (anche fin troppo) chi offende il nostro senso di fede.
Perciò avrei voluto vederlo in un contesto diverso. Avrei voluto vedere
se il gioco, per lui, sarebbe stato altrettanto facile, avendo messo al
posto della donna cristiana una donna islamica e al posto di Cristo,
Maometto. Credo che il regista avrebbe dovuto farsi la proverbiale croce
da estrema unzione, riparando in fretta e furia in qualche località
segreta, per evitare… l’inevitabile fatwa di condanna a morte emessa da qualche imam poco propenso a giudicare il suo film “ironico e intelligente”, e comunque espressione della libertà creativa che appartiene a ogni singolo individuo.
Che dire di più? Nient’altro se non che ancora una volta – da buoni cristiani – porteremo sulle nostre piccole spalle la pesante croce della sopportazione…
Fonte: Leggo.it
- Ci si riferisce al sesso con il crocifisso, praticato dalla protagonista, Anna Maria, con il grosso crocifisso collocato sopra il proprio letto. Prima lo stacca lentamente e con grande rispetto dalla parete, poi lo bacia leccandolo in ogni sua parte. Infine, si masturba con lo stesso sotto le coperte. ↩
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