lunedì 3 settembre 2012

La recessione uccide la classe media

Gli statunitensi sono tormentati da quella che chiamano la “jobless recovery”, la ripresa senza occupazione. La cosa interessante è che questa non riguarda solo questa ultima ripresa, fiacca: sono le ultime recessioni ad aver creato uno iato con le riprese precedenti. L’ultima ripresa “normale” fu quella del 1982. Vedete qui sotto la differenza tra quell’anno e questa ultima, dove i mesi della recessione sono in rosso, con dati tratti da un importante lavoro uscito pochi giorni fa, scritto da Jaimovich e Siu, due ricercatori del continente americano. Spicca nel secondo grafico la mancanza di ripresa di occupazione dopo i mesi della recessione.


“Non credo che per l’Italia sia così, mi dice Marco, amico e esperto di queste cose, ma dovremmo verificare”.
Quindi non dobbiamo preoccuparci? Certo che dobbiamo preoccuparci. Perché gli Stati Uniti sono sempre un laboratorio importante per capire quello che potrebbe avvenire da noi qualche lustro dopo, o forse anche prima. Potremmo cioè non solo avere il problema di mettere la parola fine a questa recessione non prima di 5-10 anni (cosa che temo fortemente alla luce anche dei lavori di Koh e della nostra ostinata pervicacia a non fare politiche fiscali espansive durante questa fase del ciclo) ma anche quello di uscirne senza creare nuovi posti di lavoro.
I due ricercatori mostrano due cose importanti. Che queste jobless recoveries sono dovute alla sparizione di un certo tipo di posti di lavoro nell’economia americana, che nelle recessioni normali degli anni settanta ed ottanta, quelle seguite da creazioni di posti di lavoro, invece non sparivano. E che questi lavori spariscono proprio nelle recessioni.
Ovvero che le recessioni cicliche hanno un nuovo pericolo, un nuovo costo, di lunga durata: la cancellazione per sempre di un certo tipo di lavori (lavoratori). Per questo vanno combattute ancora con maggiore forza. Anche se, come vedremo, per certi versi il cambiamento dell’offerta di lavoro nel lungo periodo pare ineluttabile e dobbiamo trovare anche altri modi per rimediare.
Vediamo meglio. I due ricercatori disaggregano l’occupazione americana sotto due dimensioni: intellettuale vs. manuale e routine vs. non-routine. Qui sotto un esempio dei lavori suddivisi per tipologia.

I lavori intellettuali non di routine tendono a richiedere alta abilità ed i lavori non di routine manuali bassa abilità. Le occupazioni di routine, siano esse intellettuali o manuali, abilità media.
La Figura sotto mostra cosa è avvenuto in America negli ultimi 30 anni, la c.d. polarizzazione dei mestieri, dove quelli ad abilità media, le occupazione di routine, sono via via scomparse, e la struttura dell’occupazione si è concentrata sugli estremi delle abilità: basse o alte, passate dal 42 al 56% dei posti di lavoro.

Sono cioè scomparsi, mi chiede mia moglie che mi ascolta, i posti per le segretarie? In un certo senso sì: e la globalizzazione e l’ICT probabilmente spiegano perché le aziende cancellano questi posti di lavoro.
Ma quando lo fanno? Ecco l’altro punto interessante. A valle di una recessione. E’ in questo momento che non si ricreano più proprio i posti di routine: 92% della caduta dei posti di routine è accaduto nell’anno successivo ad una recessione. Gli altri mestieri non hanno questa tendenza. E tuttavia, prima che avvenisse la polarizzazione dei mestieri, le recessioni non impattavano in maniera diversa sui mestieri di routine che, con la ripresa economica – prima degli anni novanta, venivano a ricrearsi come per gli altri mestieri.
I due fenomeni, polarizzazione e riprese senza occupazione sono strettamente legati, affermano i ricercatori. Confrontate la recessione del 1982 con quella più recente e vedrete che sono solo i lavori di routine che ora calano ed è solo ora che è avvenuta la polarizzazione che non si riprendono più dopo una recessione.

Chiudono il quadro dimostrando quanto ora spero sia chiaro: se non ci fosse stata la polarizzazione dei mestieri che accade nelle recessioni non si assisterebbe a riprese senza occupazione.
Ma c’è un ultimo dettaglio non da poco: i lavori che vengono cancellati e che dopo una recessione non tornano più non sono i soliti sospetti. Non sono né quelli nel manifatturiero né quelli dei lavoratori meno istruiti. Un esempio aiuterà a comprendere meglio questo importante aspetto.
Lavoratori istruiti vs. non istruiti spiegano la divisione tra occupazioni intellettuali vs. manuali, con i lavoratori istruiti nelle prime ed i non istruiti nelle seconde. Ma la cancellazione dei posti di lavoro avviene sull’altra dimensione, quella routine vs. non routine. Per dirla in altro modo, i giardinieri (manuali non di routine) dopo queste recessioni ritrovano il loro lavoro, gli operatori di macchinari (manuali di routine) no.
Sembrerebbe proprio che globalizzazione ed ICT (e forse altri fattori) stanno cancellando la classe media che lo sviluppo del dopoguerra aveva creato, e lo fa discretamente, approfittando delle recessioni, dando l’occasione” per modificare localizzazione e tecnologie per produrre di più nella successiva ripresa, ma con meno occupazione.
Questo è un tema che non riguarda solo gli Stati Uniti, credo che ci riguardi da vicino, anche se per ora meno drammaticamente.
Ne deduco due cose.
Primo, abbiamo un’altra ragione per combattere questa maledetta recessione, e cioè per evitare un rapido e drammatico impatto sulla nostra classe media. Tanto più la maledetta recessione si prolunga tanto più finisce per incidere sugli incentivi delle imprese a cambiare radicalmente il loro modo di produrre a scapito di una occupazione di tipo “routinario”, delocalizzando o utilizzando macchine ed ICT al loro posto.
Secondo: recessione o non recessione, il cambiamento globale e tecnologico cancellerà segretarie e addetti alle macchine, la classe media emergente del dopoguerra. Ci dobbiamo chiedere di che tipo di strumenti si deve dotare una società che ragiona sul suo futuro non immediato per evitare che lo sviluppo sia legato, come negli Usa degli ultimi decenni, ad una crescente disuguaglianza e polarizzazione.
Sapendo bene che maggiore redistribuzione via tasse non potrà essere una soluzione se non accompagnata da una forte focalizzazione su istruzione e competenze che creano ricchezza: forse, dico forse, il modello scandinavo appare il più attrezzato tra quelli esistenti per fronteggiare una sfida alla classe media senza pari da settanta anni a questa parte.
http://www.gustavopiga.it/

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