La decisione della Corte di Giustizia ha accolto
il ricorso della multinazionale Pioneer Hi Bred. Ma a pesare sono anche
le lacune normative del nostro Paese in materia e l'assenza di leggi
regionali che regolino la coesistenza di varietà tradizionali e
geneticamente modificate
È tempo di aprire agli Ogm: ce lo chiede l’Europa. Anzi, ce lo impone.
La Corte di Giustizia ha infatti condannato l’Italia per avere vietato
la coltivazione dimais Mon810 alla multinazionale statunitense Pioneer Hi
Bred. Che, nel 2008, aveva fatto causa al Ministero delle Politiche
agricole alimentari e forestali per non avere permesso alla sua filiale
italiana di coltivare il cereale sviluppato daMonsanto. Secondo la
Corte, se la coltivazione di una pianta geneticamente modificata è già
stata autorizzata dall’Unione, non c’è sovranità nazionale che tenga, e
ogni Stato membro si deve adeguare. Cosa che l’Italia, in effetti, non
ha mai fatto, preferendo prendere tempo ed evitando di agire. La
vittoria dei produttori di Ogm, dunque, può essere vista come una
conseguenza delle lacune normative italiane, e dell’assenza di leggi
regionali che regolino la coesistenza di varietà tradizionali e
geneticamente modificate. Ma c’è chi scommette che la partita non è
chiusa.
I giudici europei non hanno dubbi: “La messa in coltura di organismi
geneticamente modificati quali le varietà del mais Mon810 non può essere
assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando
l’impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati
[...] e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo comune
delle varietà delle specie di piante agricole”. Non solo, la Corte
ricorda che le direttive europee non consentono “ad uno Stato membro di
opporsi in via generale alla messa in coltura sul suo territorio di tali
organismi”. Tradotto: l’Italia non si può opporre alla presenza di Ogm
già approvati dall’Ue, neppure entro i suoi confini. A maggior ragione
se la legislazione non è chiara su cosa e dove può essere coltivato.
Per l’Ue, quindi, il Belpaese non può più mantenere questo atteggiamento
ambiguo ed avverso ai cibi transgenici, che pur rispecchiando il
pensiero del 61% dei cittadini europei contrari agli organismi
geneticamente modificati (dati Eurobarometro), tende a limitarne
l’espansione nel vecchio continente in modo che alcuni considerano
addirittura beffardo. Come il governo spagnolo, il più pro-Ogm d’Europa,
che inserito nella sentenza “in qualità di agente” contesta
l’atteggiamento di Roma: se tutti facessero come l’Italia, lamenta
Madrid, “un divieto di coltivazione di Ogm potrebbe protrarsi per un
periodo di tempo illimitato e costituire un mezzo per aggirare le
procedure previste”.
Ma è davvero così? Secondo la Task Force per un’Italia Libera da Ogm,
che raggruppa decine di associazioni fra cui Coldiretti, Codacons, Slow
Food e Wwf, la sentenza della Corte di Giustizia in realtà non cambia
nulla. “In Italia – spiega il coordinatore Stefano Masini – lo stop agli
Ogm nei campi è stato deciso non in via generale, ma in forza di un
provvedimento interministeriale che è intervenuto su un caso concreto” e
“proprio sulla base della disciplina europea che assegna allo Stato
l’accertamento circa la pericolosità della coltivazione Ogm nei
confronti delle altre colture tradizionali confinanti”.
“Sebbene la sentenza lasci intendere che allo Stato sia precluso il
divieto di introdurre misure volte a prevenire l’impatto della
commistione di Ogm con le colture derivate da prodotti tradizionali –
aggiunge Masini – essa in realtà non tiene conto dell’evoluzione
normativa e giurisprudenziale che ha portato l’Italia a ottemperare alla
facoltà di utilizzare Ogm sulla base delle regole di coesistenza”.
Si preannunciano insomma nuove battaglie legali. Che, in mancanza di
risultati scientifici definitivi che stabiliscano con certezza se gli
Ogm sono dannosi o meno per la salute e l’ambiente, lasceranno la
questione aperta ancora per molto tempo. Anche questa sentenza, infatti,
per quanto possa sembrare una vittoria definitiva delle multinazionali
del biotech, “non cambia la scelta dell’Italia di mantenere il proprio
territorio libero dalle contaminazioni di organismi geneticamente
modificati”, conclude Masini. “Come chiede il 71% degli italiani”, che
secondo un’indagineColdiretti/Swg di cibo transgenico non ne vuole
proprio sapere.
Andrea Bertaglio
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
14.09.2012
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