Dice bene chi afferma che i distruttori dei sogni non meritano pietà. Peccato che essere cresciuto con un'educazione cristiana e cattolica mi ha fatto mettere nel dimenticatoio l'episodio di Gesù e i mercanti nel tempio: chissà perchè ricordo di porgere l'altra guancia,e mai Bud Spencer che reagisce perchè colpiscono quella sbagliata.Il clima in cui si è cresciuti ci carica di sensi di colpa difficili da elaborare. Tra questi la rinuncia. E dire che non abbiamo ancora subito l'onta del razionamento nè conosciuto la borsa nera, ma
questa rinuncia è una cosa che tanti conoscono bene: penso a chi non è andato all'università per dare una mano in bottega o "per non perdere un posto di lavoro", come pure chi,invece, laureato in una data materia si è visto invece chiamare per lavorare in tutt'altro campo. Come pure chi ha lasciato il lavoro per stare con i figli e seguirli durante la crescita o per stare ad accudire una persona inferma. Il punto è che se tutto finisse lì, si potrebbe dire "va bene": hai svolto il tuo compito, ti sei dedicato come ti è stato chiesto o imposto, e ti ringraziamo.Ma no! Siccome al peggio non c'è mai fine, ecco che questa idea, questo concetto, questo principio, noi lo stiamo tramandando. A volte direttamente, quando imponiamo, con le buone o con le cattive, con azioni subdole tipiche del demonio, a un figlio di compiere delle scelte, tra cui quella di rinunciare ai propri sogni e aspirazioni. Di negarsi il futuro che ha sognato e per cui, a volte, dedica il proprio tempo studiando e applicandosi. Invece timorosi perchè a noi è andata non dico male ma diversamente, ecco che la troppa preoccupazione e a volte il troppo affetto, ci fa rovinare una vita che non è la nostra ma quella di un'altra persona. Un po' l'atteggiamento che a volte ,quasi sempre si adotta verso un animale domestico, obbligandolo a vivere una vita che non è la sua. C'è da distinguere il voler costringere un figlio a seguire le orme paterne o materne, dal spingerlo a dedicarsi a studi e materie non sentite e scarsamente amate, dal cercare a modo nostro di salvarlo. Quando lo spingiamo a trovarsi un posto di lavoro, uno qualsiasi purchè sia, quando interrompiamo i suoi sogni e castriamo le sue aspirazioni, abbiamo commesso un crimine: a fin di bene,secondo noi, ma sempre un crimine. Diceva il buon Fromm : "meglio un buon ladro che un cattivo prete". C'è anche il genitore che "cerca di salvarsi in corner" e pensa che il talento, il sogno, possano realizzarsi sotto forma di hobbies: per cui spinge l'ancora giovane figlio a dedicarsi anima e corpo a ciò cui tiene di più. Ma è qualcosa che funziona una volta su mille, e ad essere ottimisti. Ci sono casi strani in cui si lascia un lavoro, anche ben retribuito e soddisfacente, almeno con i parametri occidentali e della società dei consumi, per abbracciare una professione diversa che, di solito, offre di meglio. Il meglio è dato dal fare ciò che si aveva in animo: ciò di solito coincide anche con una retribuzione migliore, ma non è una regola fissa. Come dicevo si tratta di casi rari. Purtroppo questa cultura della rinuncia, porta ad avere persone frustrate e indecise, dei signor tentenna o ,peggio, persone che scelgono la via più breve, la scappatoia, pur di non gravarsi di responsabilità, pur di evitare di prendere decisioni: in tutti i campi. Hanno sposato, si fa per dire, la filosofia e il modo di vivere de "ma anche": non vogliono scontentare nessuno e ,per primi scontentano se stessi,e danneggiano gli altri. Queste potenzialità represse e tenute sepolte, non si riattivano e non si scoprono a sessantanni: allora è troppo tardi e non so se servirebbe. Non obblighiamo gli altri,ma sopratutto i nostri figli, ad agire e vivere come vogliamo noi: non usiamo i trucchi di farli sentire in colpa o altre forme di ricatto psicologico. Se con noi sono stati usati questi o altri trucchi, proprio per questo evitiamo di fare altrettanto.
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