L’inizio dell’estate ha visto i media occuparsi della vicenda dei
cani beagle, i simpatici cucciolotti che sembrano uscire da un cartoon
di Walt Disney, e che a Montichiari, in quel di Brescia, un laboratorio
al soldo di una multinazionale farmaceutica americana ha usato per anni
come cavie per esperimenti di vario genere, compresa, si sospetta, la
vivisezione. Grazie alla class action di una ex ministra e di un gruppo
di determinati animalisti, si è fatto cessare l’obbrobrio. Con
l’occasione, si è discusso della sofferenza che quei cani hanno
dovuto
sopportare. Si è parlato a questo proposito di soglia del dolore, il
limite cioè oltre il quale viene meno la capacità di sopportazione del
male, soprattutto fisico, inferto. La società sotto accusa ovviamente
non si è rassegnata al verdetto, e con l’aiuto di media compiacenti ha
imbastito una querelle per dimostrare che la sperimentazione animale,
vivisezione inclusa, quando necessaria alla ricerca biomedica, cosí come
la fanno loro, è perfettamente in linea con quanto prescrive l’etica
professionale in materia, oltre naturalmente vantare l’osservanza, da
parte dei loro laboratori, delle procedure e tecniche piú avanzate
nell’ambito specifico.
Una difesa di ufficio. È la regola del mercato globale, che impone certi
comportamenti tenuti sul filo della liceità e della decenza morale.
Tecnici e corsivisti embedded hanno alla fine concluso che il dolore,
minimo a detta loro, patito dalle povere cavie, è il prezzo da pagare
(dalle cavie, ovvio) per poter osservare l’evoluzione delle patologie su
organismi animali e ottenere in tal modo farmaci mirati, non ricavabili
altrimenti. Ecco far assurgere l’operato dei laboratori di ricerca ad
attività benemerita per l’umanità, e aureolare allo stesso tempo di
martirio (coatto) in questo caso particolare i beagle, in altri scimmie,
criceti, maiali e quant’altre specie si prestino al gioco al massacro,
scoperto ora a Montichiari, ma chissà in quanti altri luoghi avvenuto in
sordina e per quanto tempo.
Sí, però qui in Italia, obiettano i ricercatori, la maggior parte delle
sperimentazioni avviene in anestesia. Inoltre, la comunità europea ha
emanato una nuova disposizione che obbliga chi pratica la
sperimentazione con l’impiego di cavie, a indicare, al momento di
richiedere l’autorizzazione, il livello di sofferenza dell’animale
coinvolto, quoziente questo lasciato al giudizio di chi viviseziona. La
normativa, sostengono, mira a far applicare metodi che causino la minor
sofferenza possibile sia nella sperimentazione sia nel caso si renda
necessario sopprimere la cavia. Il che spesso avviene, contro le rare
volte che l’animale ‘sperimentato’ venga restituito all’ambiente
naturale da cui è stato prelevato. Il ‘prima non nuocere’ di Ippocrate
sembra non riguardare gli animali, considerati da noi uomini soltanto
oggetto di predazione, o strumenti di utilità, di svago, supporti per
conseguire traguardi materiali di conquista e dominio. Ogni monumento
della gloria umana pone un uomo sopra un cavallo.
Come tutte le estati, anche quella che sta per finire ha visto la
celebrazione di sagre paesane nelle quali al divertimento e alla goduria
gastronomica della gente sono state sacrificate vittime di ogni specie:
pecore, capre, lepri, cinghiali, caprioli, cervi, maiali. Questo nei
paesi e borghi di montagna, collina e campagna. Sul mare invece è
toccato a tonni, polpi, pesci spada, saraghi, orate, dentici,
mazzancolle, scampi e aragoste. Per queste ultime, normalmente lessate
vive, un pietoso inventore britannico ha escogitato una specie di sedia
elettrica che le tramortisce prima della bollitura. Pietà o scaltro
espediente per salvaguardare la qualità della polpa dell’animale?
Orchi mangioni, esorcizziamo il rimorso del dolore, della morte che
causiamo agli animali, con palliativi misericordiosi. Del resto, non
diversamente ci comportiamo con gli umani condannati a morte. Non
abbiamo il coraggio e la capacità di recuperarli animicamente. Cosí
consumiamo l’estrema ipocrisia nei loro confronti: li uccidiamo anche se
innocenti, anche se ritardati, anche se uomini e donne meritevoli di
un’altra possibilità, di decine di altre possibilità, finché il nostro
amore non li recuperi. Però diamo loro il pentothal, che fa morire
presto e senza troppe convulsioni, come decenza vuole.
Non sappiamo come uscire fuori dalla barbarie e dalla bestialità. È
un’invincibile, oscura libidine. Ma qualcosa sta cambiando, segni si
colgono ovunque nel mondo, straordinari alcuni, insospettati. La
consapevolezza di essere noi umani portatori di dolore e di morte in
ogni nostra azione ed espressione si sta facendo largo nelle nostre
ottuse anime, ne forza il duro tegumento, le disinnesca. Ecco allora che
il torero ç Alvaro Munera, soprannominato “El Pilarico”, nell’arena di
Medellin in Spagna, al momento di vibrare la stoccata mortale, si è
inginocchiato davanti al toro e ha pianto. Benché potesse, l’animale
non ha approfittato della debolezza dell’uomo. Si è limitato a
guardarlo. Stupito. A sua volta, forse, pietoso.
Articolo di Teofilo Diluvi
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articolo visto su stampalibera e copiato e postato su questo blog
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