giovedì 20 settembre 2012

Etica

L’inizio dell’estate ha visto i media occuparsi della vicenda dei cani beagle, i simpatici cucciolotti che sembrano uscire da un cartoon di Walt Disney, e che a Montichiari, in quel di Brescia, un laboratorio al soldo di una multinazionale farmaceutica americana ha usato per anni come cavie per esperimenti di vario genere, compresa, si sospetta, la vivisezione. Grazie alla class action di una ex ministra e di un gruppo di determinati animalisti, si è fatto cessare l’obbrobrio. Con l’occasione, si è discusso della sofferenza che quei cani hanno
dovuto sopportare. Si è parlato a questo proposito di soglia del dolore, il limite cioè oltre il quale viene meno la capacità di sopportazione del male, soprattutto fisico, inferto. La società sotto accusa ovviamente non si è rassegnata al verdetto, e con l’aiuto di media compiacenti ha imbastito una querelle per dimostrare che la sperimentazione animale, vivisezione inclusa, quando necessaria alla ricerca biomedica, cosí come la fanno loro, è perfettamente in linea con quanto prescrive l’etica professionale in materia, oltre naturalmente vantare l’osservanza, da parte dei loro laboratori, delle procedure e tecniche piú avanzate nell’ambito specifico.
Una difesa di ufficio. È la regola del mercato globale, che impone certi comportamenti tenuti sul filo della liceità e della decenza morale. Tecnici e corsivisti embedded hanno alla fine concluso che il dolore, minimo a detta loro, patito dalle povere cavie, è il prezzo da pagare (dalle cavie, ovvio) per poter osservare l’evoluzione delle patologie su organismi animali e ottenere in tal modo farmaci mirati, non ricavabili altrimenti. Ecco far assurgere l’operato dei laboratori di ricerca ad attività benemerita per l’umanità, e aureolare allo stesso tempo di martirio (coatto) in questo caso particolare i beagle, in altri scimmie, criceti, maiali e quant’altre specie si prestino al gioco al massacro, scoperto ora a Montichiari, ma chissà in quanti altri luoghi avvenuto in sordina e per quanto tempo.
Sí, però qui in Italia, obiettano i ricercatori, la maggior parte delle sperimentazioni avviene in anestesia. Inoltre, la comunità europea ha emanato una nuova disposizione che obbliga chi pratica la sperimentazione con l’impiego di cavie, a indicare, al momento di richiedere l’autorizzazione, il livello di sofferenza dell’animale coinvolto, quoziente questo lasciato al giudizio di chi viviseziona. La normativa, sostengono, mira a far applicare metodi che causino la minor sofferenza possibile sia nella sperimentazione sia nel caso si renda necessario sopprimere la cavia. Il che spesso avviene, contro le rare volte che l’animale ‘sperimentato’ venga restituito all’ambiente naturale da cui è stato prelevato. Il ‘prima non nuocere’ di Ippocrate sembra non riguardare gli animali, considerati da noi uomini soltanto oggetto di predazione, o strumenti di utilità, di svago, supporti per conseguire traguardi materiali di conquista e dominio. Ogni monumento della gloria umana pone un uomo sopra un cavallo.
Come tutte le estati, anche quella che sta per finire ha visto la celebrazione di sagre paesane nelle quali al divertimento e alla goduria gastronomica della gente sono state sacrificate vittime di ogni specie: pecore, capre, lepri, cinghiali, caprioli, cervi, maiali. Questo nei paesi e borghi di montagna, collina e campagna. Sul mare invece è toccato a tonni, polpi, pesci spada, saraghi, orate, dentici, mazzancolle, scampi e aragoste. Per queste ultime, normalmente lessate vive, un pietoso inventore britannico ha escogitato una specie di sedia elettrica che le tramortisce prima della bollitura. Pietà o scaltro espediente per salvaguardare la qualità della polpa dell’animale?
Orchi mangioni, esorcizziamo il rimorso del dolore, della morte che causiamo agli animali, con palliativi misericordiosi. Del resto, non diversamente ci comportiamo con gli umani condannati a morte. Non abbiamo il coraggio e la capacità di recuperarli animicamente. Cosí consumiamo l’estrema ipocrisia nei loro confronti: li uccidiamo anche se innocenti, anche se ritardati, anche se uomini e donne meritevoli di un’altra possibilità, di decine di altre possibilità, finché il nostro amore non li recuperi. Però diamo loro il pentothal, che fa morire presto e senza troppe convulsioni, come decenza vuole.
Non sappiamo come uscire fuori dalla barbarie e dalla bestialità. È un’invincibile, oscura libidine. Ma qualcosa sta cambiando, segni si colgono ovunque nel mondo, straordina­ri alcuni, insospettati. La consapevolezza di essere noi umani portatori di dolore e di morte in ogni nostra azione ed espres­sione si sta facendo largo nelle nostre ottuse anime, ne forza il duro tegumento, le disinnesca. Ecco allora che il torero ç Alvaro Munera, soprannominato “El Pilarico”, nell’arena di Medellin in Spagna, al momento di vibrare la stoccata mor­tale, si è inginocchiato davanti al toro e ha pianto. Benché po­tesse, l’animale non ha approfittato della debolezza dell’uomo. Si è limitato a guardarlo. Stupito. A sua volta, forse, pietoso.
Articolo di Teofilo Diluvi
http://www.stampalibera.com/?p=52536#more-52536 
articolo visto su stampalibera e copiato e postato su questo blog 

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