La crisi e il governo Monti (con il Pd alleato)
segna un calo della piazza. E' contro i governi di centrodestra (Spagna e
Grecia) che la protesta sale. In Italia è passata nei media
l'autorappresentazione del "governo tecnico". Di fronte alle dure
politiche di austerity che, già da tempo ma oggi con maggiore vigore,
colpiscono ampie fasce di popolazione ("Nove su dieci", dimostra il
libro di Mario Pianta), una delle domande spesso rivolte agli studiosi
di movimenti sociali (così come ai loro attivisti) è: perché a fronte di
una sfida così grande, la mobilitazione si mantiene limitata? Perché -
diversamente da Spagna, Grecia e Stati Uniti, ma anche dall'Islanda
prima di loro - c'è apparentemente così poca protesta?
Occorre innanzitutto osservare che la protesta c'è, cresce e si
focalizza sui temi dei diritti sociali intrecciati con domande di
democrazia reale. Una ricerca che abbiamo condotto (con Lorenzo Mosca e
Louisa Parks) sulle proteste riportate su un quotidiano nazionale nel
2011, dimostra una mobilitazione non solo elevata, ma anche concentrata
su temi sociali. Quasi la metà degli eventi di protesta riportati
coinvolge lavoratori (in condizioni occupazionali stabili), oltre la
metà se si aggiungono i precari (tabella 1). Più di un quinto
coinvolgono studenti. Inoltre, se i sindacati sono ben presenti nella
mobilitazione, attori importanti della protesta sono anche gruppi
informali di movimenti sociali, centri sociali occupati e associazioni
di vario tipo (tabella 2). Non a caso, le statistiche sugli scioperi
segnalano un aumento del 25% nell'ultimo anno.
Se gli episodi di mobilitazione anti-austerity sono numerosi, è però
vero che, negli ultimi mesi, sono mancate le grandi manifestazioni che
avevano contribuito alla caduta del governo Berlusconi, segnalando tra
l'altro che politiche neoliberiste non potevano essere imposte
efficacemente da un capo di governo libertino, e variamente
delegittimato. Il passaggio da Berlusconi a Monti non ha segnalato un
mutamento di indirizzo delle politiche pubbliche, ma l'acquisto (a
prezzi modici, a dire il vero) del sostegno ad esse di quella che era
stata l'opposizione politica. Se il 15 ottobre 2011, con una grande
capacità di mobilitazione, ha rappresentato una eccezione, la sua
evoluzione non ha facilitato la ripresa di un processo di aggregazione
nella protesta, tutt'altro.
Una prima ragione della difficoltà nel mettere in rete le mobilitazioni
esistenti può essere individuata nella crisi stessa. Ripetutamente, la
ricerca sui movimenti sociali ha sottolineato che non è quando c'è più
privazione (né assoluta, ne relativa) che la protesta aumenta, ma
piuttosto quando maggiori risorse sono disponibili per chi vuole
contestare le decisioni di chi governa. Già gli studi sul movimento
operaio hanno rilevato che gli scioperi crescono con la piena
occupazione, non quando aumenta la disoccupazione. Se l'insicurezza
scoraggia l'azione collettiva, l'effetto depressivo della crisi non può
che essere accentuato dal nuovo tipo di mercato del lavoro, e per le
nuove figure produttive meno protette sul mercato del lavoro e sul luogo
di lavoro. Chi è precario ha, certamente, più difficoltà a mobilitarsi
in difesa dei suoi diritti, perché è più ricattabile, ha meno tempo
libero, e spesso mancano gli stessi luoghi fisici di aggregazione che
erano stati così importanti per il movimento operaio.
Se questo tipo di spiegazione, diciamo strutturale, ha qualche granello
di verità, non ci aiuta però a capire perché in Spagna, Grecia, o negli
Stati uniti (ma anche in Italia in altri momenti) i gruppi più colpiti
dalla crisi economica e dalle crescenti diseguaglianze prodotte dalle
politiche neoliberiste (peraltro responsabili di quella stessa crisi) si
sono mobilitati in momenti di protesta ampia e visibile (dagli
Indignados a Occupy). I precari hanno, tra l'altro, in Italia protestato
in maniera ampia e visibile, in particolare nella prima metà dello
scorso decennio.
La ricerca sui movimenti sociali ci offre un'altra spiegazione, più
specificamente applicabile al caso italiano. La protesta, per crescere,
ha bisogno di alcune opportunità politiche. Fra di esse, fondamentale
per i movimenti di sinistra è la posizione di potenziali alleati come
partiti e sindacati, che sono importanti per estendere la mobilitazione,
sia per le risorse logistiche che possono offrire sia, soprattutto, per
la possibilità di accrescere l'influenza politica di chi protesta. E'
contro governi di centro-destra che la protesta di massa è stata più
consistente è visibile, quando ha trovato il sostegno di partiti e
sindacati. Ciò è tanto più vero in Italia dove, nonostante reciproche
critiche, i rapporti tra movimenti e partiti di sinistra (quando
c'erano) erano sempre stati intensi.
Se questi alleati c'erano contro Berlusconi, un governo di grande
coalizione come il governo Monti ha drasticamente ridotto le opportunità
di alleanze politiche. Non solo partiti che votano per il governo
neoliberista e le sue politiche sarebbero alleati poco credibili per chi
a quelle politiche si oppone, ma il governo in carica è anche riuscito a
propagare efficacemente la sua auto-immagine di "governo tecnico".
Che questa auto-rappresentazione abbia pochi appigli nella realtà è
evidente, tra l'altro guardando alle carriere della maggior parte dei
ministri all'interno di istituzioni non certo neutrali rispetto alle
scelte politiche, così come nelle politiche di deregolamentazione,
privatizzazione, e riduzione della volontà e capacità dello stato di
intervenire a ridurre le diseguaglianze prodotte dal mercato.
Ma è anche evidente che l'autorappresentazione come governo tecnico
abbia attecchito sulla stampa e oltre. Non solo i principali giornali
nazionali inneggiano acriticamente al "super Mario", ma istituzioni come
quelle accademiche, che avevano in passato gelosamente custodito una
immagine di neutralità politica, offrono oggi, spesso e volentieri, un
palcoscenico politico al capo di un governo che si autodefinisce
tecnico, palcoscenico utilizzato poi per fare discorsi prettamente
politici e ideologicamente neoliberisti.
Questa anomalia italiana contribuisce certamente a spiegare la
difficoltà di mettere in rete i tanti rivoli della protesta - che pur ci
sono. Questa resistenza diffusa potrebbe comunque contribuire a una
aggregazione e politicizzazione delle mobilitazioni, non solo attraverso
la contestazione di specifiche politiche, ma anche sottolineando la
natura - politica e neoliberista - di questo governo.
Donatella Della Porta
Fonte: www.ilmanifesto.it
23.09.2012
Donatella Della Porta, professore all'European Universtity Institute di
Fiesole, esperta di movimenti sociali. Tra i suoi libri recenti
"Democrazie", Il Mulino 2011; "Another Europe", Routledge 2009; "le
ragioni del no. Le campagne contro la Tav in Val di Susa e il Ponte
sullo Stretto, con Gianni Piazza, Feltrinelli 2008)
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=52310
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