“Remember, we’re Saudis”, “Ricordate, siamo Sauditi”,
sembra voler ribadire l’Arabia, dopo il “passo avanti” di aver
finalmente permesso a tre atlete (una delle quali rischiava pure di non
poter gareggiare a causa dell’imposizione del velo, vietato invece dal
CIO per la sua sola specialità, il judo) di partecipare ai Giochi Olimpici di Londra appena conclusi.
Ma non era necessario né questo (dato che tutte le atlete erano rigorosamente velate), né tanto meno la creazione di una città-ghetto per le donne lavoratrici, per dimostrare che il wahabismo è ben lungi da mollare nel Paese.
Eppure la città-ghetto per donne
lavoratrici è proprio quello che “serve” all’Arabia Saudita. Dal
prossimo anno le donne di questo paese potranno infatti lavorare “senza
problemi”, perché è iniziata la progettazione di una città creata a questo scopo: affinché vengano protette “dagli sguardi indiscreti maschili”, come del resto impone la sharia.
La città sorgerà nella zona orientale di Hafuf e – secondo la visione
integralista dell’Arabia Saudita – in questo “paradiso rosa” tutte le
donne lavoratrici, dalle operaie alle manager, potranno sentirsi a proprio agio nel soddisfare le proprie ambizioni.
Si tratta di un’idea presentata
all’Authority saudita per la proprietà industriale (Modon), ente statale
responsabile per lo sviluppo dell’industria nelle città del regno. Per
concretizzarla verranno stanziati 500 milioni di riyal (circa 108
milioni di euro). Si prevede di creare ben 5.000 posti di lavoro per le donne, soprattutto nei settori tessile, alimentare e farmaceutico, e di ospitare imprese gestite solo da loro.
Ma non è finita qui, cari lettori. Il
vicedirettore generale del Modon, Saleh Al-Rasheed, ha già annunciato al
giornale saudita Al Eqtisadiah, citato dal tabloid britannico Daily
Mail, la creazione di una seconda città industriale per sole donne e di imprese esclusivamente al femminile in altre parti del Paese.
A questo punto la domanda è lecita: fuori da queste zone, le donne potranno lavorare?
Intendo quelle stesse donne che non possono guidare, uscire di casa se
non accompagnate da un mahram, da un parente guardiano maschio, fosse
anche il figlioletto. Potranno dunque lavorare?
Chiaramente NO. Non ci si lasci incantare
da una concessione apparente progressista. Non ci lasci irretire dal
“riconoscimento” del diritto al lavoro per le donne – conciliando questo
con la segregazione sessuale tradizionalmente voluta dalla legge
islamica – e si smetta di farsi condizionare dai petrodollari, che più
volte hanno portato a considerare – a torto! – l’Arabia Saudita un Paese
“islamico moderato”. Non lo è. E finché le donne verranno considerate un po’ più delle bestie e meno di un uomo, non lo sarà mai! Con o senza le città ghetto.
di Jester Feed
visto su rischiocalcolato http://www.rischiocalcolato.it/2012/08/arabia-saudita-il-paese-che-ghetizza-il-lavoro-delle-donne.html
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