sabato 18 agosto 2012

I distributori automatici diventano un redditometro

Lombardia, Como. Quel ramo potrebbe attrarre molto turismo, già se tutti i professori di lettere portassero gli studenti del biennio in gita dopo la lettura dei “Promessi sposi”. Invece Giorgio Todisco mi racconta che ora il lungolago è stato chiuso per costruire le paratie per proteggere il territorio dalle esondazioni e ciò allontana i turisti. I chioschetti situati fuori le mura della città ormai sono gestiti da extracomunitari, i negozi aprono e chiudono anche in via Milano dove ci sono boutique di lusso. I pub ed i bar sono pieni di gente, ma ormai le consumazioni vengono ridotte, difficilmente si fa il bis.
Giorgio è un piccolo imprenditore, nel 2006 ha fondato la sua attività Vending Italia nel settore della distribuzione automatica. Qualcuno potrebbe dire che abbia un conflitto di interessi perché possiede Como radio web. Le piccole e medie imprese sono in crisi e lui il sabato manda in onda un programma dove dà voce proprio ai suoi colleghi. Riceve molte lettere di chi si ritrova nelle parole dei testimoni, ma sono arrivate anche minacce anonime perché di questo argomento è meglio non parlarne.
“Con la crisi del 2011 sono rimasto indietro con tre rate del mio furgone per un totale di 1.900 euro, ho saltato maggio, ottobre e novembre. A gennaio quando ho fatto il bonifico, è stato rifiutato perché la Iveco finanziaria aveva risolto il contratto. La società di recupero crediti mi contattò e non volle saperne di dividere in due rate il mio debito. Ho scritto una lettera, li ho supplicati di dilazionarmi i 1.900 euro, ma non ho avuto nessuna risposta. Questa è una vergogna perché io ho un credito con lo stato di ben 50.000 euro ed ho chiesto più volte all’associazione di leasing di avere pazienza. Il concessionario, il legale sono rimasti allibiti da questo provvedimento, perché chi sta dietro la scrivania non capisce quali sono le difficoltà di chi lavora. Il 3 agosto ho ricevuto una raccomandata nella quale c’è scritto che il 10 agosto devo riconsegnare il furgone, anche se mi piovessero i soldi dal cielo dove vado a trovare un mezzo ad agosto? Io non lo posso riconsegnare perché mi troverei a chiudere l’attività, anche se so di rischiare una denuncia per appropriazione indebita. A febbraio ho fatto la richiesta di una parte del mio credito che vanto dallo Stato, a fine luglio l’Agenzia delle Entrate di Como mi ha detto che hanno perso la mia pratica ed ho dovuto ripresentare nuovamente la domanda, i tempi si allungheranno ed io ho bisogno di questi soldi. Ora il lavoro si è leggermente ripreso perché ho trovato nuova clientela quindi sto rientrando in una situazione di stabilità, certo sempre da filo sul rasoio, se avessi quello che mi spetterebbe, potrei recuperare il furgone e fare nuovi investimenti. Se non arrivano questi soldi sarò costretto a chiudere.
Noi siamo come le aziende che lavorano per l’indotto Fiat, se questa chiude ci sono tutta una serie di piccole ditte che entrano. Più l’operaio si impoverisce e più non accusiamo il calo del consumo. Il mio lavoro lo associo ad un redditometro, nel senso che il caffè, l’acqua al mio distributore costano fra i 30/35 centesimi. Se i dipendenti, le persone in generale, fanno fatica ad introdurre qualche centesimo per un caffè, mi viene da pensare che qualcosa non vada. Quando si comincia a risparmiare su una cifra così irrisoria la situazione nel nostro Paese è più grave rispetto a quello che ci dicono. I prezzi dei distributori non hanno fatto gli aumenti con il passaggio lire/euro, nonostante negli ultimi dieci anni il costo del gasolio sia raddoppiato. Oggi i prezzi non si possono aumentare il cliente ti rimpiazzerebbe e c’è sempre qualche furbetto, altrimenti non mi so spiegare come qualcuno possa vendere il caffè a 25 centesimi ed infatti queste sono le aziende che soffrono di più rispetto ad altre perché diventano carenti nel servizio oppure i conti non tornano se devi star dentro alcuni parametri per guadagnare. E poi mi metto nei panni del dipendente che fa fatica ad arrivare alla fine del mese, magari lavora in una fabbrica a 40° gradi, aumentargli l’unico sollievo, che potrebbe avere con un po’ d’acqua durante la pausa, non mi sembra giusto.
La mia attività rientra negli studi di settore, negli ultimi due anni ho deciso di non adeguarmi perché il calcolo per verificare se evadiamo o meno è molto semplice. Innanzitutto non ci conviene perché acquistando con l’Iva al 21 per cento e vendendo al 4, andremmo a perdere l’Iva che ci viene restituita dallo Stato. Seconda cosa in base ai bicchieri che acquisto devono corrispondere le consumazioni, puoi controllare quanto latte, caffè, cioccolata ecc consumo. Sono stato minacciato di controlli fiscali se non mi fossi adeguato. Io ho dichiarato fino all’ultimo centesimo e non ho intenzione di farmi aggiungere 40.000 in più di reddito perché non li ho resi, se vogliono venire a fare accertamenti, sono qui ad attenderli, non ho nulla da nascondere e tasse su qualcosa che non ho guadagnato non ne pago. Soprattutto non hanno abbassato neanche il valore delle soglie di questi studi e l’avevano promesso per via della crisi. Dovrebbero rendersi conto che se un’azienda ha 50 dipendenti e la metà è in cassa integrazione, i miei conti non sono uguali ai loro, il mio distributore non rende come se lavorassero tutti i dipendenti.
Oggi potrei salvarmi solo se lo Stato mi rendesse il mio credito, sto pressando l’Agenzia delle Entrate perché anche la banca mi ha chiesto di rientrare avevo un fido di 10.000 che sono riuscito a dilazionare. Avevano promesso che le banche avrebbero anticipato il credito dello Stato, non è assolutamente vero perché con la mia dichiarazione Iva, con la mia fideiussione ,che lo Stato mi ha chiesto sui soldi che mi deve restituire, sono andato in banca mi hanno detto: “Siamo spiacenti” Una volta erano soldi certi, ora non lo sono più.
Ormai non mi erogano più prestiti perché ho pagato in ritardo alcuni finanziamenti e le rate del leasing, quindi per loro sono un cattivo pagatore, sono finito anche se la mia attività produce reddito che adesso sto utilizzando, non per costruirmi la villa al mare, bensì per rientrare dal fido, per pagare le finanziarie ed il mio fornitore che mi ha dato il suo fido personale. Spesso si sente in televisione delle insolvenze delle aziende, ma questo è normale se le banche chiudono il rubinetto.
Nel corso del tempo, girando molte aziende, c’è senz’altro chi ne ha approfittato negli anni e c’è chi è davvero in difficoltà e si aggrappa con le unghie e con i denti per mantenere i dipendenti, perché sanno che lasciarne uno a casa significa rovinare una famiglia. In molte fabbriche lavora più di un componente della famiglia e gli imprenditori con il cuore provano a stare attenti a non licenziare ad esempio marito e moglie: creano la difficoltà, ma non l’estrema povertà. Invece chi licenzia indiscriminatamente è perché il dipendente lo considera solo un numero, ma senza i dipendenti l’impresa è morta perché sono loro che mandano avanti l’impresa. Certo l’imprenditore la crea, ci mette i soldi, la responsabilità ma chi è che produce?
Lo Stato dovrebbe preoccuparsi un po’ di più del valore Italia: i piccoli imprenditori. Per anni abbiamo visto dare i soldi a grandi aziende, come può essere la Fiat e non restituirli nel momento in cui usciva dalla crisi, invece oggi vediamo che le piccole aziende sono state messe in difficoltà dalla pressione fiscale e non sono aiutate, anzi vengono lasciate sole, sembra quasi che le vogliano morte.”
Samanta Di Persio

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