M5S e democrazia diretta. Potenzialità e limiti.
Giuseppe Sandro Mela.
2019-02-26.
All’interno dei paesi occidentali, solo la Svizzera prevede un uso estensivo della democrazia diretta, mediante lo strumento del referendum.
Ogni nazione ha una sua propria legislazione sul referendum.
La costituzione federale degli Stati Uniti non prevede l’uso del referendum, strumento di consultazione presente, ed anche largamente usato, nelle costituzioni di molti stati membri.
Similmente, nell’Unione Europea nessun Trattato prevede l’uso della strumento referendario. In occasione del tentativo di varare una costituzione dell’Unione Europea, Francia e Paesi Bassi indirono dei referendum, ma ovviamente su scala nazionale.
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Il problema è sfaccettato e complesso.
Se si accetta il concetto che il popolo sia sovrano, dovrebbe conseguire la liceità del referendum.
Tuttavia il concetto stesso di referendum si scontra con quello di delega elettiva.
A nostra conoscenza non esiste un sistema politico nel quale i rappresentanti eletti siano vincolati ad applicare il programma elettorale. Se sicuramente ciò dovrebbe essere obbligo morale e politico, possono se non altro sorgere problematiche nuove, prima non previste né prevedibili.
In poche parole, la delega elettorale è una carta firmata in bianco, ed un deputato può in molti sistemi anche cambiare partito: logica e giustizia imporrebbero però che in tale evenienza si diano le dimissioni dal parlamento ove si è stati eletti, consentendo così al popolo sovrano di esprimere un nuovo nome a tale alta carica.
In questa ottica, il referendum dovrebbe essere applicato ogni qualvolta si presentassero problemi non previsti nei programmi elettorali. Questa pratica urterebbe però contro un grande ostacolo, ossia sulla liceità di indire un referendum anche solo sull’incertezza operativa di un solo partito politico.
Come si constata, ci sono dei pro e dei contro di non poco peso.
Una ultima chiosa.
La costituzione di molte nazioni vietano esplicitamente referendum sulla tassazione. Ma la rivoluzione inglese di Cromwell voleva proprio che il parlamento avesse pieno governo in materia fiscale. Similmente. così richiedono i Gilets Jaunes alla Francia di Mr Macron. Problema questo acuito nei paesi membri dell’Unione Europea e dell’Eurozona, stante il fatto che dette istituzioni ambirebbero ad avere il monopolio della gestione delle imposte continentali, evenienza aliena alla mentalità di molte nazioni e popoli.
A ben pensarci, i problemi fiscali sono proprio quelli che più stanno a cuore ai cittadini, ai quali dovrebbe spettare il giudizio che valutasse il rapporto benefici/costi tra tasse e servizi pubblici.
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Sul referendum taluni hanno anche avanzato delle teorie psicologiche. Si sostiene che il popolo sovrano potrebbe essere facilmente influenzabile da istanze emotive che offuscherebbero la necessaria lucidità operazionale.
Questa posizione sembrerebbe essere alquanto capziosa, a nostro personale parere:il concetto di sovranità popolare prescinde dalla reale ed effettiva intelligenza e corretta informazione.
Il popolo o è sovrano oppure non lo è.
Nel Movimento l’esito del voto online sulla piattaforma Rousseau condiviso dal 56%
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La consultazione della base promossa lunedì scorso dal M5S, sulla piattaforma web Rousseau, per decidere la posizione da adottare sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del ministro Salvini per la vicenda della nave Diciotti, ha rappresentato un importante banco di prova per la tenuta della maggioranza, ma anche una verifica dei rapporti di forza all’interno del Movimento. C’era molta curiosità riguardo alle decisioni su un tema che da sempre ha rappresentato un vero e proprio cavallo di battaglia dei 5 Stelle: il rapporto con i politici alle prese con la giustizia. Infatti, a differenza di altre vicende dell’attualità politica, la stragrande maggioranza degli italiani ha seguito l’iniziativa, il 45% con attenzione e il 38% ne ha almeno sentito parlare. Un italiano su due (49%) ritiene che su casi come questo sarebbe stato più opportuno lasciare libertà di coscienza ai parlamentari pentastellati, senza farsi condizionare dalla propria base, mentre il 31% approva il ricorso alla consultazione, secondo un principio di democrazia diretta.
L’unico elettorato a favore della consultazione dei cittadini è quello del Movimento: 69% i favorevoli, 9% i contrari, 22% coloro che non si esprimono. Presso tutti gli altri elettori prevale il disaccordo, in particolare nel centrosinistra (70%) e nell’opposizione di centrodestra (64%), ma anche tra i leghisti (56%), che pure hanno beneficiato dell’esito del voto online che, come sappiamo, ha fatto registrare il 59% contro la concessione dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini e 41% a favore. In generale, il 47% è del parere che la consultazione online dei cittadini rappresenti un modello pericoloso e sia meglio mantenere la democrazia rappresentativa con l’elezione di rappresentanti che in Parlamento decidano e poi possano essere confermati o mandati a casa alle elezioni successive; al contrario il 29% ritiene che questo metodo rappresenti il futuro della democrazia e il suo utilizzo debba essere esteso, ed è un’opinione che prevale esclusivamente tra gli elettori del M5s (71%). Si tratta di un atteggiamento che appare in controtendenza rispetto al crescente desiderio di protagonismo dei cittadini e al processo di disintermediazione che ha investito il nostro Paese negli ultimi anni mettendo in discussione i principali organismi di rappresentanza.
Come si sarebbero espressi gli italiani se fossero stati chiamati a votare? Sarebbe prevalsa la contrarietà a procedere nei confronti del vicepremier: 48% i contrari e 33% i favorevoli. I più contrari sono i leghisti (88%), seguiti dagli elettori dell’opposizione di centrodestra (58%), da sempre su posizioni garantiste, mentre tra gli elettori di centrosinistra e delle altre liste di sinistra prevale il favore all’autorizzazione a procedere, rispettivamente con il 64% e il 76%. Il dato più interessante riguarda l’elettorato M5S: il 56% è contro la concessione, il 18% a favore, mentre il 26% non si esprime. Sono dati in sintonia con l’esito del voto online di lunedì scorso che ha messo in luce una frattura più accentuata tra gli iscritti (59% contro, 41% a favore) rispetto all’insieme degli elettori 5 Stelle, molti dei quali non sono in grado di prendere una posizione. Il risultato, smentendo le passate posizioni intransigenti dei 5 Stelle sul tema, induce il 40% degli italiani a pronosticare una perdita di consenso del M5s, mentre il 10% si aspetta una crescita e il 26% ritiene che non avrà alcuna influenza. A questo proposito gli elettori 5 Stelle si mostrano ottimisti, i leghisti agnostici e quelli dell’opposizione prefigurano un calo. Il sondaggio odierno presenta quindi alcune conferme: innanzitutto che il voto online degli iscritti rappresenta il tratto distintivo e identitario dei pentastellati, un «totem» del M5s, come lo sono per il Pd le primarie. E ancora, l’atteggiamento giustizialista della maggioranza degli italiani, che assume tratti di vera e propria furia nei confronti dei politici, è spesso ondivago e, come in questo caso, si placa di fronte al leader che gode di elevata popolarità, alla convenienza (la sopravvivenza del governo) o al merito delle questioni (come sappiamo la maggioranza dell’opinione pubblica era e rimane favorevole alla linea della fermezza e alla chiusura dei porti). Insomma, garantismo e giustizialismo in Italia sono à la carte, e anche questa è una conferma.
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