Italia. Crisi in vista. Liquidità bancarie salite al 32%, 1,371 miliardi.
Giuseppe Sandro Mela.
2019-02-20.
Bankitalia ha rilasciato un interessante report, ripreso da un media di tiratura nazionale.
Riassumiamo in sintesi per punti.
– Le famiglie italiane hanno una ricchezza finanziaria di 4,287 miliardi di euro, dei quali 1,371 miliardi sono tenuti liquidi in conto corrente.
– Se durante le crisi del 2005 – 2006 la quota liquida era del 23% e durante quella del 2008 era del 29%, ad oggi rappresenta il 32% del totale disponibile.
– Di questi 1,371 miliardi 340 sono delle imprese, il resto della famiglie.
– Se nel 2018 il 25% degli imprenditori pensava di fare investimenti, nel 2019 questa quota è scesa all’11%.
– Nel 2017 il 22% delle famiglie non poteva far fronte ad una spesa improvvisa di 1,000 euro, mentre il 64% non avrebbe potuto far fronte ad una spesa improvvisa di 10,000 euro.
– Il 53% degli italiani teme una crisi economica ed una recessione.
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In un sistema economico fisiologicamente funzionante si tende a tenere liquide in conto corrente soltanto quelle cifre che servono la ordinaria gestione e per far fronte ad imprevisti di piccola entità. Infatti, il deposito in conto corrente non rende nulla e le cifre depositate sono erose dai costi di gestione e dall’inflazione, che al momento attuale sfiora lo 0.9%.
Che gli italiani stiano tenendo liquido il 32% delle loro risorse finanziarie, 1,371 miliardi, da molto materiale sul quale riflettere.
Se usualmente nei periodi di crisi il sistema tende a mantenersi liquido, sarebbe altrettanto vero constatare come in crisi quali quella del 2006 la percentuale di liquidità sul totale arrivava al 23%, e sembrerebbe essere stata sufficiente.
Durante le crisi taluni prezzi e quotazioni scendono significativamente ed in quel momento diventano potenzialmente appetibili. Buona regola insegna a comprare per poco e rivendere per molto.
Una tale liquidità tenuta non solo infruttifera ma anche onerosa suggerisce che gli abbienti si configurino scenari nei quali potranno rifarsi, ed anche abbondantemente, dei costi sostenuti a mantenere capitali di tal livello immobilizzati in attesa.
Sembrerebbe quindi che sia feeling comune l’attesa di un qualche evento sommovente.
Ma ci sarebbe anche almeno un altro fattore da considerare.
Al momento gli investimenti nel comparto produttivo sono fortemente penalizzati da una resa minimale, cui si aggiunge di normale il dover sopportare il peso di un soffocante apparato burocratico.
In termini mediani, un milione investito nella produzione rende difficilmente più di 24,000 euro netti, mentre investito in un qualche strumento finanziario potrebbe rendere almeno tre volte tanto.
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Ma forse ciò che lascia più perplessi è quanto questo feeling sia diventato comune sentire dal microrisparmiatore fino a chi disponga anche di capitali ingenti.
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Per nostra mentalità siamo alieni dagli allarmismi. Pur tuttavia in simile evenienza saremmo propensi a ritenere che l’uso della santa prudenza potrebbe essere molto utile.
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