Caro diario, non ti nascondo che la vicenda di Carolina, morta suicida a 14 anni per una brutta storia di bullismo ( http://www.lastampa.it/2013/01/08/italia/cronache/ragazzina-suicida-ora-cresce-la-rabbia-contro-l-ex-fidanzato-BUa4TCjc3xyRxLHKDvLSqJ/pagina.html ) , mi sta facendo riflettere parecchio in questi giorni.
La fine brusca e innaturale di una vita così giovane è sempre qualcosa
che scuote; ma più si va avanti con gli anni e più la scossa scava nel
profondo. Così, penso agli anni della mia adolescenza e ai ragazzi di
allora, e non ricordo nessun suicidio, ma qualche morte violenta sì: Ugo
— ci salutammo davanti ai tabelloni della seconda liceo, e il primo
giorno della terza lui non c’era più, annegato nel lago delle sue
vacanze dopo un volo con la macchina;
Fulvio — fermo in moto a un
semaforo, una carambola di auto schiantate in un frontale lo falciò che
neanche se ne accorse, mentre aspettava di ripartire per andare a
studiare a casa di un compagno; Stefano — bellissimo e tossico,
un’overdose lo stroncò all’alba sul pianerottolo di un’amica alla quale
si era ripromesso di chiedere aiuto, in quel “più tardi” che non sarebbe
mai arrivato; Luciano — sembrava tanto più grande della sua età, e
avevo una cotta per lui, ma non lo sapeva e non ho mai potuto dirglielo
perché finì ammazzato in un regolamento di conti (dissero) sulla
squallida piazzola di una statale, una notte d’autunno.
Non era tanto roba dei miei tempi, il suicidio: la tendenza cominciò ad
affermarsi sul finire dei Settanta, ma ormai stavo crescendo ed ero
fuori dalle secche di quell’età in cui si può ancora fare ed essere
tutto ciò che si vuole, o quasi — e comunque lo si crede (o lo si spera)
fermamente. Ma non è un’età dell’oro, l’adolescenza: chi pensa che sia
così, e liquida quegli anni di crescita e tormento come “gli anni più
belli”, peste lo colga.
Sono anni duri, in cui una cotta non ricambiata è l’Amore perduto per
sempre; un insuccesso scolastico è il Fallimento della vita;
un’incomprensione in famiglia è l’Abbandono senza remissione; la rottura
di un’amicizia è il Tradimento rovinoso. Non conoscono mezze misure,
gli adolescenti; e se da un lato è questo il segreto della loro
generosità e del loro entusiasmo, dall’altro è la chiave per la loro
strumentalizzazione ideologica — oh, come lo sanno bene i capi/capetti
d’ogni risma e colore, e com’è giovane il sangue che inzuppa bandiere e
divise d’ogni epoca…
Ma questo nostro tempo convulso eppure inerte soffoca la freschezza di
queste esistenze in divenire con un artificio che avrebbe sgomentato
anche il più azzardoso degli apprendisti stregoni: la possibilità di
vivere una vita fittizia e parallela, nella quale tutto viene
amplificato; e nella quale, a dispetto della “tutela della privacy” —
etica nuova e malcompresa — gusti e sentimenti e segreti vengono buttati
senza ritegno in pasto al tritacarne mediatico, moderno Moloch mai
sazio di vittime.
È questo, pare, che ha ucciso Carolina spingendola nel vuoto fisico che
le deve essere parso l’unico rimedio al vuoto virtuale nel quale era
stata già precipitata. La solitudine e l’incomprensione che affollavano
la sua vita parallela devono aver fatto credere a Carolina che la sua
vita vera non valesse nulla — o comunque valesse meno della chiassosità
irreale dei social network (si chiama così, quell’artificio di cui
dicevo sopra).
Eppure questa perdita di contatto col reale non è un male che guasta
soltanto le giovani generazioni: si avvia anzi a diventare, o forse è
già — e la cosa dovrebbe preoccupare ai piani alti — il male oscuro di
questi anni ipertecnologici, che vedono andare di pari passo la
digitalizzazione dei rapporti sociali e la fragilizzazione dei rapporti
interpersonali.
Così, caro diario, ultimamente ho potuto toccare con mano la distorsione
del reale imposta da questi meccanismi perversi e pervertitori: in
grazia dei quali non conta chi sei, ma cosa dicono che tu sia entità
virtuali che non sanno nulla di te — insieme non avete mai guardato un
tramonto, notato il particolare di un dipinto, riso a una battuta o
gustato un buon vino. Questa distanza irreale permette tutto, e non
spiega nulla. Soprattutto non dà ragione dell’essenza di una persona:
invece di costituire una modalità conoscitiva dell’altro da aggiungere a
quelle già note, si limita a sostituirle azzerando ogni dialogo per
lasciar spazio a monologhi shakespearianamente pieni di furia e di
rumore — “il vaso vuoto è quello che rende il suono più ampio”.
Ma Carolina aveva soltanto 14 anni. I suoi assoluti non si erano ancora
relativizzati, e quelle nubi di passaggio devono esserle sembrate un
uragano devastante: per non esserne spazzata via, ha scelto di fuggire
come poteva. Una finestra aperta, un salto — e Carolina avrà sempre 14
anni. Niente potrà più sporcarla.
Alessandra Colla
Fonte: www.alessandracolla.net
Link: http://www.alessandracolla.net/2013/01/08/carolina-morta-di-virtuale/
8.01.2013
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=55445
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