Dal primo gennaio 2013, i pagamenti da effettuare a titolo di corrispettivo in una qualunque transazione commerciale, saranno soggetti ai termini espressamente indicati dal nuovo decreto legislativo n. 192 del 09/11/2012, il quale fissa un regime di pagamento delle fatture commerciali nell'ordine di trenta giorni. Tempi maggiori sono possibili solo se espressamente previsti nei contratti e solo in casi particolari e in presenza di obiettive giustificazioni.
Pensateci un attimo cari lettori, fra un
po' dovremo giustificare allo stato anche il quando, il perché e il modo
in cui, ogni giorno, tutti noi dobbiamo andare al bagno!
Con una simile disposizione normativa, lo stato sottrae ancora più libertà alla contrattazione privata.
Esso si immischia sempre di più nella vita delle persone, laddove
invece esse dovrebbero godere di meno interferenze da parte di uno stato
già eccessivamente tassatore. Infatti, dall'anno
prossimo, un installatore di caldaie, già oberato da una pressione
fiscale senza precedenti, il quale abbia effettuato la propria
prestazione per la realizzazione di un edificio in costruzione, rischia
di trovarsi costretto a pagare i propri fornitori entro un termine
(quello di trenta giorni) eccessivamente ridotto rispetto a quello
necessario affinché l'edificio venga effettivamente ultimato e sia
pronto per generare i ricavi, quelli utili affinché il costruttore possa
poi pagare l'installatore di caldaie.
Non solo, laddove i termini non sarebbero
rispettati dal debitore, il fornitore potrà pretendere gli interessi per
il ritardato pagamento, senza che sia necessaria la costituzione in mora del debitore, con un saggio maggiorato dell'8 percento rispetto all'interesse legale di mora.
Certo, qualcuno mi dirà che sia normale il
fatto che l'imprenditore debba anticipare i costi della propria
attività, in attesa dei guadagni sperati. Come anche che sia giusto
rendere oneroso un ritardo di pagamento rispetto alla scadenza
stabilita. Ma ci mancherebbe altro! Permettete però, che sia
l'imprenditore, autonomamente, a determinare la soglia
limite sotto la quale gli conviene attendere i profitti del suo sudore?
Permettete che siano le parti in causa, che conoscono meglio
di chiunque altro, meglio del legislatore, la situazione del proprio
settore e della loro controparte per stabilire che tipo di flessibilità
concedere ai termini del loro commercio? E il tutto senza dover
giustificare ogni minima decisione! Permettete che un soggetto terzo, il
quale non c'entri nulla (ma proprio nulla) con
l'operazione commerciale instaurata fra due soggetti, non si metta in
mezzo ad ogni occasione per spillare soldi o per fare un favore chissà a
chi?
Oggi le imprese sono oppresse dalla
tassazione, sono in balia di una situazione economica fortemente
compromessa, dove i valori di mercato non rappresentano
più la realtà e ingannano gli imprenditori, inducendoli a gravi errori
economici e quindi a fallire. E ciò non per una loro incapacità ma a
causa di una sleale interferenza sul mercato da parte
di soggetti, come lo stato e le banche, i quali godono di privilegi
normativi esclusivamente a loro riservati.
Lo stato sta imbrigliando
sempre con più corde il cittadino, immobilizzandolo dalla testa ai
piedi; come un salame. E queste corde si fanno tanto più stringenti da
vincolare ogni movimento del singolo individuo, da non consentirgli più
di muoversi liberamente così da poter, non solo servire
spontaneamente la comunità, ma soprattutto effettuare le manovre
necessarie affinché si recuperi in autonomia l'equilibrio perso, ed
evitare di cadere quando le avversità spingono pericolosamente a terra
l'imprenditore.
Ma non pensiate che la cosa sia finita qui. Dal 24 ottobre è già in vigore un altro decreto (il D.L. n. 1/2012 art. 62 e relativo decreto attuativo)
fortemente vincolante per la libera contrattazione, ancora di più
rispetto al decreto citato in apertura del post, il quale si applica a
tutte le transazioni commerciali che avvengono in Italia fra aziende e
che abbiano ad oggetto prodotti agroalimentari. In buona sostanza, questo decreto obbliga il contratto scritto per le transazioni di prodotti agroalimentari (pena la nullità dell’operazione) e ne fissa i tempi legali di pagamento:
30 e 60 giorni, a seconda che si tratti di beni deteriorabili o meno e
da fatturare separatamente (cioè se l’azienda prima risparmiava più
carta fatturando tutto in una sola fattura, ora non lo può fare più: e
allora, vai con gli sprechi!). Entro tale termine i debitori devono
regolare i relativi documenti di compravendita. Il mancato rispetto di
questi termini legali comporta per il debitore, non solo il pagamento di
una mora per il ritardo causato, ma anche il pagamento allo stato di
una sanzione che oscilla fra un minimo di 500 euro ad un massimo di 500.000 euro (quasi, quasi ti mandano anche in galera!) Pensate per quale altra diavoleria i poveri imprenditori devono preoccuparsi!
La forma scritta può essere il contratto di cessione, il DDT, la fattura o l’ordine d’acquisto. Mentre la decorrenza del
termine parte dalla data di ricevimento della merce oppure da quella di
ricevimento della fattura, comprovata dalla ricevuta di invio della
raccomandata, dalla firma per accettazione se consegnata a mano, oppure
dalla data di invio tramite PEC. Andateglielo a dire al piccolo
contadino di farsi una PEC e di ricevere così la fatture! Oppure
andateglielo a dire alle imprese di pagare migliaia di raccomandate per
l’invio di altrettante fatture intestate a piccole aziende sparse su
tutto il territorio nazionale: e vai, su con i costi!
Si noti quanto questa disposizione sia stringente ed eccessivamente oberante per il commercio, il quale si fa sempre meno libero,
ha sempre meno stimoli per favorire la nascita e lo sviluppo di nuove
soluzioni alla vita e quindi è meno capace di far progredire la società.
Infatti, per sopravvivere all'elevata
pressione fiscale, alla concorrenza sleale delle aziende di stato (o ad
esso vicine) le quali godono di privilegi normativi esclusivi, alla
ridotta funzione finanziaria del settore bancario, all'incessante
aumento della burocrazia, alle spese insostenibili della pubblica
amministrazione la quale è indotta ad indebitare il paese, al continuo
annacquamento dei valori finanziari determinato dalla politica monetaria
della BCE, gli imprenditori italiani si aiutano come
possono, cercando gli spazi dove è ancora concessa più libertà. Ad
esempio, se le banche non fanno più credito, la libertà di
contrattazione, fino ad oggi, ha permesso alle aziende di sopperire (per
quel che si può) ad una simile inefficienza bancaria, finanziandosi a vicenda.
In che modo? Concedendosi liberamente più ampi e generosi tempi di
pagamento, affinché le occasioni commerciali non andassero perse o,
comunque, non colte.
Vincolando la contrattazione dei tempi di
pagamento, così come queste due leggi fanno, si rimuovono i margini di
manovra che sono stati determinanti affinché le aziende provvedessero
spontaneamente a superare le inefficienze presenti sul mercato e a sopravvivere.
Di conseguenza, si irrigidisce il sistema e si scoraggiano le pratiche
commerciali. Ciò perché, al rischio imprenditoriale, si aggiunge anche
il rischio di subire una salata sanzione, che deve essere dolorosamente
pagata, per poi essere buttata nel pozzo senza fondo dello scandalo di stato.
Di seguito riporto alcuni dati di una recente ricerca pubblicata da Atradius (società di assicurazioni del credito) circa i comportamenti di pagamento di un campione selezionato di aziende italiane.
Le aziende italiane sarebbero più propense
a concedere dilazioni di pagamento al mercato interno piuttosto che
all'export, principalmente per fidelizzare la propria clientela e, in seconda battuta, per promuovere le vendite. Si noti in questo grafico
come il 19% delle imprese italiane intervistate ritenga che il motivo
della concessione della dilazione di pagamento sia quella di costituire
una fonte di finanziamento a breve per il proprio cliente italiano.
In quest'altro grafico, osserviamo invece che, mediamente, i giorni di dilazione concessi dalle aziende italiane sul mercato domestico siano di circa 52 giorni.
Il quasi 54% delle aziende concedono più di 30 giorni di dilazione.
Nello specifico, nel settore del commercio
all'ingrosso/dettaglio/distribuzione, i giorni medi di dilazione
arrivano a 58 circa. Pensate un po' a quante sarebbero le aziende
italiane ad essere costrette a rivedere gli equilibri raggiunti, a causa
dei vincoli imposti delle nuove leggi su descritte!
Secondo questa ricerca, quasi il 40% delle fatture commerciali emesse nel mercato domestico vengono pagate oltre la data di scadenza (vedi qui).
Per il 35% i giorni di ritardo oscillano fra 1 e 15 giorni, segue il
quasi 26% delle fatture, il cui pagamento viene effettuato fra i 30 e i
60 giorni di ritardo. Quasi il 12% delle fatture vengono pagate oltre i
90 giorni di ritardo. Si segnala inoltre che le aziende di medie
dimensioni e le microimprese registrano fatture non incassate,
rispettivamente per il 45% e il quasi 42% del totale emesse. Le piccole
imprese invece registrano la percentuale più bassa di fatture non
incassate alla scadenza (35,7%).
In quest'ultimo grafico
vediamo che per il 72% degli intervistati ammettono che, il motivo del
ritardo dei pagamenti dei propri clienti italiani, sia quello di una carenza di liquidità. Inoltre, il 21% attribuisce le ragioni alle inefficienze del settore bancario.
Come si buon ben capire, persone che evidentemente non hanno mai lavorato in vita loro e che quindi nulla sanno circa le complesse pratiche commerciali, disegnano e approvano leggi che prescindono dalla realtà.
Si giustificano simili provvedimenti con
l'intento di proteggere la debole forza contrattuale delle piccole
imprese rispetto alle multinazionali, ma così non si permette loro di trovare soluzioni
innovative per potersi ridimensionare e competere meglio sul mercato,
invogliandole a restare delle piccole realtà. Per favorire una categoria
si creano svantaggi per altre ben più numerose, se si considerano anche
gli effetti sulla categoria dei consumatori la quale,
quest’ultima, si ritroverebbe ad effettuare i propri acquisti,
scegliendo in un mercato dalle offerte più ridotte (in quanto le aziende
chiudono, a causa delle ritorsioni di uno stato nemico) e, di
conseguenza, dai prezzi più alti.
La spocchia di stato di credere di poter controllare tutto e tutti si sta facendo sempre più opprimente.
da Il Blog di Pasquale Marinellihttp://www.rischiocalcolato.it/2012/12/commercio-sempre-meno-libero-2.html
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