mercoledì 5 dicembre 2012

I contributi pubblici agli oratori e il loro utilizzo (talvolta illecito)

 
"Malversazione ai danni dello Stato”: è questa l’imputazione per cui sono indagati tredici sacerdoti del savonese, insieme a tre altri dirigenti del mondo cattolico. L’accusa è di aver utilizzato per altri fini i contributi per gli oratori ricevuti dalla Regione Liguria. Un caso isolato?
Un fenomeno in crescita La secolarizzazione avanza, la fede arretra, e sempre meno genitori sono propensi a inviare i propri figli agli oratori: un luogo, anche etimologicamente, dove “si prega”. E tuttavia, molti di essi si scontrano con l’assenza di alternative laiche. Le amministrazioni pubbliche, dallo Stato al più piccolo comunello, fanno di tutto per supplire alle carenze evangelizzatrici della Chiesa cattolica e per trattenere in oratorio chi non vorrebbe essere catechizzato. Individuano pertanto nell’oratorio un “servizio” ed erogano munifici contributi per il suo funzionamento. L’ennesimo ambito, insomma, in cui politiche sussidiaristiche pagate da tutti i contribuenti finiscono per beneficiare una sola parte della società, quella cattolica.

Gli oratori beneficiano, in base alla legge nazionale 206 del 2003, dell’esenzione per l’Ici-Imu. Il mancato introito per lo Stato è di circa 2,5 milioni di euro l’anno. La norma stabilisce che stato ed enti locali possono concedere in comodato beni mobili e immobili agli oratori, “senza oneri a carico della finanza pubblica”. E gli oratori, essendo assimilati alle pertinenze del luogo di culto come anche le attrezzature sportive e ricreative di proprietà delle parrocchie, possono ricevere fondi destinati agli oneri di urbanizzazione secondaria. Oltre a ciò, gli oratori ricevono almeno 50 milioni di euro l’anno in contributi dalle regioni, come stimato prudenzialmente nell’inchiesta Uaar I Costi della Chiesa.
L’enorme flusso di denaro e i controlli poco stringenti generano una mancanza di trasparenza che può anche dar adito ad abusi. L’ultimo, eclatante, da Savona. Tredici sacerdoti chiedevano finanziamenti alla Regione per le attività dell’oratorio, ma secondo la procura i soldi venivano usati per altre finalità. Come il pagamento delle rate di un mutuo e fondi obbligazionari. I parroci e tre collaboratori non religiosi sono finiti sotto inchiesta, dopo l’esposto di un altro sacerdote. Si parla di decine di migliaia di euro erogati nel giro di pochi anni che dovevano essere utilizzati ad esempio per lavori di pavimentazione di campetti di calcio, ma che non sono stati spesi o sono stati ‘investiti’ in tutt’altro.
Tredici sacerdoti solo a Savona non sono pochi. Fanno pensare a un fenomeno diffuso. E poiché non c’è motivo di pensare che la diocesi di Savona sia più criminogena di altre, è probabile che il fenomeno sia diffuso anche in altre regioni d’Italia. Le leggi e le delibere che finanziano gli oratori non prevedono quasi mai controlli, e spetta quindi alla magistratura indagare. A Savona è successo, scoperchiando il verminaio: ma quanti giudici hanno tempo e voglia altrove di avviare indagini simili?
Un servizio davvero per tutti? Gli oratori estivi, in un momento di crisi e di tagli da parte dello Stato, stanno riscoprendo un boom. Nel nome di una sussidiarietà orientata in senso cattolico, che preclude alternative laiche e favorisce il gigantismo di quelle clericali. Le amministrazioni considerano gli oratori, soprattutto quelli estivi, un “servizio”. Ma i servizi, anche quando sono riconosciuti dalle istituzioni (e a maggior ragione se vengono sussidiati), devono essere controllati e lasciati nel solo ambito privato, se non soddisfano stringenti e determinati requisiti. Le istituzioni si sono chieste quali requisiti deve avere un luogo preposto all’educazione dei ragazzi come l’oratorio, prima di finanziarlo “a prescindere”?
Un servizio riconosciuto dovrebbe davvero essere aperto a tutti. Dovrebbe avere educatori qualificati e controllati e un’organizzazione che rispetti principi e diritti fondamentali. Ma gli oratori non sono in realtà davvero aperti a tutti, come dimostrano casi quali l’allontanamento di un ragazzo di Arcisate (Va) perché ’sbattezzato’. Inoltre, sorge qualche sospetto su un’organizzazione come la Chiesa cattolica nota soprattutto negli ultimi anni per aver coperto e insabbiato casi di pedofilia e molestie nei propri ambienti.
I responsabili di questi oratori sono parroci e vescovi: categorie che non si distinguono di certo per il rispetto nei confronti di donne, omosessuali e non credenti. È noto che le donne non possano accedere al sacerdozio nella Chiesa, che l’omosessualità sia considerata “contro natura” secondo la dottrina cattolica e che atei e agnostici siano oggetto di una sistematica e secolare campagna di demonizzazione.
Bisognerebbe anche capire in base a quali criteri gli operatori impiegati negli oratori, al di là del fatto che siano volenterosi, risultino anche qualificati. Quali titoli di studio e abilitazioni hanno? Che tipo di contratti sottoscrivono? E se sì, vengono retribuiti?
Per essere davvero tale, infatti, un servizio aperto a tutti e laico dovrebbe assumere educatori e istruttori qualificati e retribuiti, fornire bilanci trasparenti e non dipendere da gruppi di potere o chiese. Spetta dunque alla politica muoversi. Cominciando a individuare criteri rigidi e trasparenti per l’accesso alle risorse pubbliche, per evitare che tali risorse siano destinate a organizzazioni confessionali soltanto in nome di un “pregiudizio positivo” che alla prova dei fatti si dimostra frequentemente immotivato. E valorizzando strutture come i centri estivi pubblici, in modo che possano rappresentare un’alternativa pubblica credibile, laica, accogliente e magari estesa anche all’attività quotidiana.
È vero che gli oratori sono spesso percepiti come l’unica risposta concreta che la società riesce a dare alle famiglie per lo svago e l’educazione dei figli. Ma non devono essere i cittadini laici a finanziare la sudditanza psicologica dei politici italiani. La politica ha il dovere di presentare delle alternative laiche e davvero inclusive per tutti.


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