Nota di Rischio Calcolato: questo post è tratto dalla rivista on-line EffediEffe
sito di informazione a cui consigliamo caldamente un abbonamento (50€
spesi benissimo). Come al solito la penna del “Direttore” coglie nel
centro il cuore del problema. Buona lettura.
L’eurocrazia ha concesso alla Francia ( e Spagna e Portogallo) due
anni di proroga per il rientro dal deficit entro il 3% del Pil, e ha
negato lo stesso sollievo all’Italia. Enrico Letta va da Angela Merkel a
Berlino ad implorare il favore (il ministro Schauble aveva detto no
ancor pochi giorni fa). Ma Berlino ha fatto a Parigi un favore più
grande, alla chetichella: in pratica, ha permesso alla sua Banca
Centrale di stampare euro.
Lo ha scritto l’8 aprile scorso addirittura Paul Krugman sul suo blog presso New York Times, con un titolo più che ironico: «La Francia ha di nuovo la sua divisa» (France Has Its Own Currency Again).
Scarne le notizie che Krugman dà. Si limita a notare che gli interessi
che la Francia paga per indebitarsi sono crollati. Parigi non è più a
corto di soldi, i mercati non sono più preoccupati di un suo fallimento…
Un giornale economico online
francese, Atlantico, poco dopo ha
ipotizzato: i tassi bassi a cui la Francia si indebita sarebbero
effetto di una politica «generosa e discreta» da parte della Banque de
France (la loro Banca Centrale) di acquisto di attivi discutibili dalle
banche francesi. E spiega che se l’Europa ha una moneta unica, non ha
un’unica Banca Centrale. Sì, c’è la BCE; ma le banche centrali nazionali
esistono ancora «e dispongono di una certa autonomia per aiutare le
proprie banche». Possono aiutare le loro banche commerciali, appunto
decidendo quali «attivi» accettare come garanzia, ossia quali titoli di
credito che le banche vantano, e contro le quali sganciare i fondi
liquidi. Crediti andati a male, titoli di Stati in difficoltà eccetera,
insomma pretesi «attivi» che il mercato non tocca nemmeno con un dito,
che la Banque de France accetta come buoni dalle sue amate banche
nazionali. La transazione avverrebbe nel cosiddetto sistema Short Term
European Paper (acronimo: STEP): che consente a ciascuna Banca Centrale
di rifinanziare le sue banche, ma che è usato soprattutto dalla Francia.
Parigi, con quasi 500 miliardi, rappresenta da sola più della metà del
mercato europeo STEP, ed è il secondo del mondo dopo quello americano.
Inoltre, è in forte aumento: da 300 miliardi di metà 2012, era già a 483
a fine 2012.
Ciò significa non solo che la Banque de France ha il tacito permesso
di stampare euro secondo le necessità (insaziabili) delle sue banche; ma
che le sue banche maggiori (BNP, Société Générale, Crédit Agricole in
prima linea) sarebbero sull’orlo del fallimento per la loro eccessiva
esposizione ai rischi, e tenute sotto ossigeno dalla stampante della
Banque de France mascherata sotto pagamento di «attivi» che sono
equivalenti a vecchie biciclette, abiti di seconda mano e stoviglie
usate.
A tutta prima la mezza rivelazione ha fatto strillare di rabbia grossi giornali germanici come e Die Welt e Deutsche Wirtschafts Nachrichten,
che hanno accusato Mari Draghi, l’odiato italiano, di lassismo
complice. «La BCE ha dato alla Francia la possibilità di stabilizzare le
proprie banche, senza che la Germania possa far niente per opporsi (…)
Sotto traccia, si gonfia in Francia una gigantesca bolla finanziaria».
Ma dopo queste prime urla, più nulla. Silenzio. Evidentemente, i
media sono stati avvertiti discretamente di sorvolare. E ciò, quasi
certamente, per il motivo indicato da Krugman: la BCE non può lasciare
la Francia al suo destino come una qualunque Grecia (o Spagna), perché
senza la Francia «non c’è più euro».
Berlino, che è severissima con noi, con Hollande tace e acconsente,
perché ha bisogno della «relazione speciale» con Parigi, secondo
pilastro dell’euro e della sua ideologia.
Se l’ipotesi è vera, inutilmente il nostro Letta (e la sinistra
italiana) sperano di trovare in Parigi l’alleato e guida dei Paesi
mediterranei che dicono basta all’austerità e mettono in minoranza la
Merkel: Hollande, la Merkel se l’è comprato col permesso di stampa
dissimulata. Il permesso (tedesco) a Francia, Spagna e Portogallo di
ritardare di due anni il rientro del deficit, che viene negato a noi, è
fatto proprio per spaccare il fronte. L’Italia è isolata. Divide et impera.
Anche se Enrico Letta, mettendo all’economia Saccomanni, ossia il
servile e strapagato funzionario di Bankitalia, non ha certo dato l’idea
di voler andare all’attacco. Bankitalia è nota per la sua subalternità a
Francoforte e Berlino.
Questa faccenda, più o meno soppressa, rivela un’altra disfunzione
della Babele monetaria che è l’euro (moneta unica con banche centrali
«con parziale autonomia», se la prendono), e che i padroni dei nostri
destini vanno avanti a forza di pezze, trucchi nascosti, strappi
inconfessati alle regole che loro stessi ci hanno imposto, omertà e
favoritismi collaterali e severità disumane – come nella Fattoria degli Animali di Orwell, tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.
Ché poi, chissà che non ci convenga tacere. Dopotutto, ad ogni asta
dei nostri Btp, i tassi d’interesse si abbassano, fra gli applausi dei
media: «I tassi tornati ai minimi del 2010! I mercati ci ridanno
fiducia!». Oddio, i tassi sono ancora alti: 3,94, anche se in calo
rispetto agli orribili 4,66 di un mese prima. Lo spread non cala
veramente. Ma perché, di grazia, «i mercati» ci danno fiducia? Non
abbiamo fatto le riforme, né tagliato l’enorme spesa pubblica
parassitaria, né snellito la burocrazia, né reso rapidi e produttivi i
magistrati, né reso competitivo il lavoro, né alleviato o almeno
semplificato la tassazione sulle imprese; le nostre ditte produttrici
sono strangolate dallo Stato e dalle banche , il credito è azzerato, non
circola denaro: viviamo il blocco di liquidità tragico che perpetuò la
crisi del 1929 fino al ’39. Perché i mercati ci darebbero fiducia,
quando noi italiani di fiducia non ne abbiamo nemmeno un po’, e chi ha
soldi ha mandato 200 miliardi in Svizzera, per paura del prelievo
forzoso alla cipriota? Chi è, insomma, che compra i nostri titoli? E a
retribuzione calante per giunta?
Certo, si dice, il mondo è inondato di liquidità dalla Federal
Reserve e dalla Bank of Japan che hanno intrapreso il più oltraggioso e
svergognato quantitative easing; dei colossali fiumi di dollari
e yen devono per forza andare in titoli pubblici del mondo; qualche
rivolo si «investe» in Italia, dove ottiene ancora quasi il 4% sicuro.
Sarà. Ma magari c’è un aiutino anche ai nostri titoli pubblici
da parte della BCE, o di Bankitalia col permesso occulto della BCE? Come
la Francia, ma pochino pochino? Con la Germania che fa finta di niente,
almeno fino alle elezioni di settembre, perché deve tener nascosto ai
suoi cittadini l’enormità del problema e la disonestà dei mezzucci usati
per rappezzarlo?
Chissà. Facciamo solo notare questo paradosso: c’è una enorme liquidità globale, e le banche strapiene di titoli pubblici; e alle nostre imprese non arriva un euro.
Non pagano i fornitori perché non vengono pagate a loro volta; tutto si
paralizza perché manca denaro liquido e il credito è prosciugato, ma
altrove scorrono Mississippi di liquidità.
Uno studio della KPMG calcola che le banche della zona euro detengono
ormai 1670 miliardi di euro di titoli del debito sovrano (chiamiamolo
sovrano) degli Stati europei; un enorme montante sottratto all’economia
produttiva. Le banche fanno credito illimitato (non coi soldi loro) ai
governi, sotto l’ombrello protettore e complice della BCE, lucrando en passant notevoli
interessi senza rischio, e contemporaneamente negano credito a famiglie
e imprese. Secondo KPMG negli ultimi 4 anni le banche hanno ridotto di
365 miliardi di euro le loro aperture di credito alle imprese: -7,5%.
Sono le colpevoli reali e primarie della recessione diventata
depressione, dei disoccupati che crescono e dei suicidi di imprenditori.
Per contro, secondo KPMG, i crediti dubbi delle banche europee
ammonterebbero a 1500 miliardi (di cui 600 per le sole banche
britanniche, spagnole e irlandesi). Anziché ripulire i loro bilanci
vendendo i loro portafogli, esse da anni preferiscono nascondere il
problema prorogando i loro prestiti più o meno inesigibili. Gli Stati
avrebbero dovuto, fin dall’inizio della crisi, intervenire imponendo ad
azionisti e creditori di accollarsi la loro parte di perdite; non
l’hanno fatto – come opporsi alla lobby bancaria? – fino al giorno in
cui l’hanno fatto per banche e correntisti di Cipro. Allora, non si ebbe
il coraggio di assumere le conseguenze sistemiche che ciò avrebbe
comportato, con la conseguente rivoluzione del sistema bancario europeo,
la scomparsa dei vecchi azionisti e dei banchieri nella latrina della
storia, e la ristrutturazione (default parziale) dei debiti sovrani.
I poteri forti e i loro caudatari governativi non hanno voluto. Da
allora, si sono susseguiti «salvataggi» di banche che avevano in comune
il rimandarne la necessità. Si sono chiusi gli occhi davanti alla crisi
finanziaria per non vedere di essa che una giustificazione di più
all’ideologia ultra-liberista, «anzi profittando dell’occasione per
accelerare brutalmente l’applicazione del programma» (Fançois Leclerc).
Ed oggi siamo a questo: che invece di mettere in discussione la
strategia seguita e fallimentare (austerità per chi «ha vissuto al
disopra dei propri mezzi») si suggerisce solo di ammorbidirne
l’applicazione. La Commissione ha concesso alla Spagna di ritardare il
rientro del deficit, stavolta di due anni; poi l’ha concesso al
Portogallo, poi alla Francia. L’allungamento del calendario è diventato
regola? Ma no, si decide caso per caso – per salvare la faccia – e
quindi si dice no a Roma, che conta come il due di picche ed ha ministri
tanto tanto europeisti, la Bonino che vuole accelerare gli Stati Uniti
d’Europa: a noi, si può fare di tutto, e continuiamo a scodinzolare. (Emma Bonino: Stati Uniti d’Europa o non c’è via d’uscita)
Del resto, gli alleviamenti concessi agli altri non solo non
risolvono nulla. Sono accompagnati ogni volta da ingiunzioni di nuovi
rigori di bilancio, che aggravano la recessione e creano di conseguenza
(tramite diminuzione del gettito fiscale) le condizioni di un ulteriore,
futuro allungamento della data del fatale rientro del deficit sotto il
3%: cifra peraltro del tutto arbitraria.
«Rigore di bilancio e controllo delle spese non spariranno dal
vocabolario del partito socialista», ha annunciato Antonio José Seguro,
il segretario del PS portoghese, che spera di tornare al potere e
chiede, contemporaneamente, una rinegoziazione del costosissimo piano di
salvataggio del Portogallo; le stesse cose più o meno dicono i
governanti spettrali a Madrid, a Parigi e il nostro Enrico Letta.
«Crescita» accompagnata a «rigore», come sempre. Senza spiegare come
fare. Senza mai mettere in discussione i paradigmi adottati una volta
per tutte, il pensiero unico eurocratico-globalista. Fino al crack
sociale e politico?
http://www.rischiocalcolato.it/2013/05/se-la-francia-stampa-euro-di-maurizio-blondet.html
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