Tra i grillini pare ci sia revulsione contro Anna Finocchiaro. La
notoria senatrice del pd ha presentato una proposta di legge, che limita
la partecipazione alle elezioni soltanto alle associazioni riconosciute
con personalità giuridica e con uno statuto pubblicato in Gazzetta
ufficiale. E quindi vieterebbe di candidarsi «a qualunque livello
elettorale» proprio al M5Stelle, oltreché a tutti i futuri
raggruppamenti di cittadini che non siano dei partiti politici fatti e
finiti.
Lei naturalmente rimbecca che l’ha fatto «per attuare l’articolo 49
della Costituzione, attuazione ritardata da troppi decenni» (1).
È dunque solo la piena attivazione del diritto a muovere la sua azione,
sempre pura e disinteressata. È una regola generale: i pd agiscono
sempre e solo in obbedienza alla Costituzione. E trovano sempre nella
Costituzione un articolo a lungo dimenticato, a cui vogliono dare pieno
vigore quando spunta un partito avverso che porta via i voti a loro.
Quindi sono nella perfetta legalità, anzi altissima moralità.
Escogitare leggi per colpire avversari che non si riesce a battere
sul piano elettorale, non è – sia chiaro – qualcosa che abbia a che fare
col «conflitto d’interesse». Nel diritto piddino, «conflitto
d’interesse» è crimine che riguarda solo e specificamente Silvio
Berlusconi, e non è estendibile ad altri casi.
Anna Finocchiaro è un personaggio esemplare di questa altissima
concezione del diritto. Com’ebbe a dire lei stessa, «si tratta di
deputata, mica di bidella». Ma è molto, molto di più: è una magistrata,
non so se ex: quelli si concedono aspettative eterne, e dopo 25 anni in
parlamento mantengono il posto in magistratura, e la carriera
automaticamente avanza. Ma ciò è perfettamente legale. O almeno non è
vietato dalla legge. Ed è appunto così che la magistratura intende la
propria «autonomia» di terzo potere dello Stato: libertà di concedersi
tutto ciò che non è esplicitamente vietato dalle leggi. È inopportuno
che un magistrato, specie un accusatore pubblico, si presenti alle
elezioni nel luogo dove ha conseguito popolarità perseguendo certi
accusati? È inopportuno, ma non è vietato: dunque lo fanno. Se il
parlamento lo vietasse per legge, se ne asterrebbero: ma nelle camere
sono numerosi i giudici a difesa del loro privilegio (legalissimo), e
quelli che non sono giudici, temono di essere intercettati dalla
Giustizia. Dunque la legge «opportuna» non passa. Ma non si parli di
conflitto d’interesse.
La Finocchiaro è una accumulatrice storica di questi vantaggi
legalissimi, magistratuali. È inopportuno usare la scorta di poliziotti,
concessile dallo Stato in protezione della sua maestà, come servi a
tirare il carrello della spesa? Forse: ma vi sfido a trovare una legge
che lo vieti espressamente. La Finocchiaro, magistrata, sa che quella
legge non esiste, e dunque risponde sprezzante a chi la critica.
Inopportuno disprezzare le bidelle, ossia le umili lavoratrici? Sì, ma
mica è vietato: dunque lei lo fa.
Altro esempio. Il partito stesso della Finocchiaro, nel suo stesso
statuto – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, mica sono grillini –
limita a tre il numero dei mandati dei propri parlamentari. La
Finocchiaro ha sulle spalle 7 (sette) mandati, è parlamentare da 25
anni. Mica è vietato dalla legge; è solo vietato da uno statuto (su
Gazzetta Ufficiale), e quindi il Segretario in carica lo può violare a
favore di candidati favoriti. La Finocchiaro ha sempre chiesto ed
ottenuto «la deroga». L’ultima volta l’ha pretesa con la sua ben nota
energia, mai scossa dalla sempre più evidente «inopportunità»: persino
D’Alema, offesissimo da Renzi, non s’è ripresentato; persino Veltroni (6
mandati), persino la Melandri (5). Ebbene: la Finocchiaro se ne frega,
dell’opportunità. Il Partito le deve una carica eterna, come la
magistratura una eterna aspettativa.
Il bello è che s’è fatta candidare a Taranto, lei catanese: nella sua
Catania non ha mai preso i voti, ha sempre perso nei collegi
uninominali, persino quando si candidò al Comune. I candidati di
centro-destra l’hanno sempre stracciata, il suo elettorato non l’ha mai
voluta (che sia antipatica?). Fatto sta – potrebbero insinuare i maligni
– che la legittimità della Finocchiaro, come presentatrici di leggi
anti-altri, è un po’ diminuita: a dirla tutta, lei non dovrebbe essere
lì dov’è (al Senato) in base allo statuto del suo partito. È stata
votata non da elettori, ma dalla posizione che Bersani il Segretario le
ha dato nelle liste del pd di Taranto, dove gli elettori non la
conoscono.
In realtà, dapprincipio la nostra giurista-magistratual-senatrice per
7 volte contava di poter rinunciare al seggio parlamentare per farsi
assegnare (dal partito) al Consiglio Superiore della Magistratura quale
membro eletto dal Parlamento. Con ciò, hanno spiegato quei maligni del
Giornale, sarebbero «quattro anni di auto blu, un buon
appannaggio e il presentat’arm del piantone all’ingresso», e la scorta
di poliziotti da usare come sporta per il supermercato. Purtroppo suo
marito, tal Melchiorre Fidelbo, è stato rinviato a giudizio per abuso di
ufficio e truffa. «È balzato alle cronache per avere ottenuto – in favore di Solsamb, srl cui è cointeressato – un appalto regionale di 1,7 milioni per informatizzare il presidio sanitario di Giarre»,
secondo la stampa locale. Sicuramente una calunnia, intesa a colpire
con le leggi la senatrice, e ad impedirle il balzo da una autoblù
all’altra, da un emolumento principesco a quello regale: c’è qualcuno,
nella magistratura, che usa le leggi come corpi contundenti ad personam?
Non si può dire quando il colpito è Berlusconi o Grillo; ma è lecito
sospettarlo, quando il danneggiato è un magistrato di sinistra diventato
senatore, tanto più «in quanto donna» e (s’intende) «anti-mafia».
Fatto è che stavolta «l’inopportunità» non ha potuto essere
scavalcata: certo nessuna legge vieta espressamente che nel CSM sia
membro uno il cui coniuge è rinviato a giudizio, ma effettivamente
l’hanno trovato poco opportuno in tanti, anche nel pd, il Custode della
Costituzione. La Finocchiaro ha dovuto accontentarsi della carica con
minor potere: senatrice. Attivissima però contro i nemici interni ed
esterni: dopo il trionfo elettorale del M5S, in una delle riunioni del
pd, ha proposto la formazione di ronde popolari, ossia la «vigilanza
democratica e antifascista» (l’ho sentita con le mie orecchie, in
diretta da Radio Radicale) come ai tempi della Resistenza e la lotta
partigiana alle Brigate Nere; poi anche contro Renzi. Sta sicuramente
cercando un articolo nella Costituzione, da lungo tempo inattuato, che
consenta di proibire a uno che si chiami Matteo di presentarsi alle
elezioni «a qualunque livello»…
Ciò spiega perché il pd non ha potuto privarsi dei servizi della
Finocchiaro: è lei la ninfa egeria, la vestale del Diritto che il
Partito ha sempre voluto attuare; lei, la «legge» l’ha nel sangue; sotto
la sua mano sapiente, il Diritto Piddino avanza verso sempre più alte e
luminose cime, libero da ogni ripugnante conflitto d’interesse. Non a
caso già Bersani aveva presentato la legge anti-Grillo oggi riproposta
dalla Vestale, quando aveva subodorato l’insuccesso elettorale; ed anche
lui unicamente preoccupato di attuare – finalmente! dicono in coro i
giuristi – l’articolo 49 della Costituzione, tanto trascurato (anche dal
pd nell’ultimo mezzo secolo).
È anche il partito che, adesso, vuole dare attuazione ad una legge
emanata nel 1957, quella che sancisce l’ineleggibilità di chiunque abbia
concessioni governative, ossia – per puro caso – a Berlusconi, che
coincide con la descrizione e che elettoralmente ha vinto su Bersani.
Anche in questo caso è un giudice in aspettativa, il Casson, diventato
parlamentare pd, a pretendere l’attuazione della vecchia trascurata
legge: scuola Finocchiaro. Il partito aveva tutto il tempo e il modo di
dare applicazione a detta legge? E allora non l’ha fatta valere mezzo
secolo fa? O almeno nel ’92, quando Berlusconi cominciò a far politica?
Dovrebbe almeno spiegare, il partito, come mai il suo senso del diritto a
volte dorma per decenni, poi si risvegli di colpo quando gli elettori
non votano. Altrimenti, daranno ragione un’altra volta a Berlusconi:
«C’è chi vuole la mia ineleggibilità, e l’incandidabilità del M5S…
eliminato Berlusconi e Grillo il Pd correrebbe da solo»
Ovviamente ci dissociamo: il rispetto del Diritto nel cavaliere è
notoriamente bassissimo. Parla per conflitto d’interesse, lui. Ma
dobbiamo con rincrescimento far notare, che ha ragione. E non solo in
questo caso: quando dice che la magistratura è politicizzata e ce l’ha
con lui, mostra un certo aggancio con la realtà. Contro avversari
politici che cercano di vincerlo lanciandogli contro leggi fatte apposta
contro di lui (ad personam), lui si difende quando può, facendo varare leggi ad personam.
Così, accade che il pd e il suo concetto di Diritto siano il miglior
alibi per Berlusconi, come Berlusconi è il miglior alibi per il pd a non
intraprendere mai la riforma della magistratura, la più inefficiente
d’Europa: è assenteista, vìola lo spirito della legge, è incompetente ed
usa arbitrariamente il suo potere: ma è militante anti-Berlusconi, e
dunque è «cosa nostra». A forza di colpi e contraccolpi, il Diritto di
Parte si perfeziona, ed ogni giorno diventa migliore: Cosa Nostra. I
cittadini che cadono sotto le sue grinfie, specie se innocenti, ne sanno
qualcosa.
I due partiti anzi tre (la casta magistratica) si combattono come i
vecchi pugili sfiatati: sostenendosi a vicenda, appoggiandosi l’uno
sull’altro. Sicché la speranza di vedere un sistema giudiziario civile,
non da dispotismo orientale, svanisce nelle nebbie del nullismo
italiota.
Si poteva sperare che il trionfo del Movimento 5 Stelle portasse un
cambiamento. Loro, l’ineleggibilità di Berlusconi l’hanno sempre
sostenuta apertamente, mica da pesci in barile giuridici, come minaccia
da far pendere e mai attuare, come ha sempre fatto il Pd.
Benissimo: c’è anche la maggioranza in parlamento, se il PD vuole. Il
Diritto trionferà: eliminazione dell’avversario per legge impolverata.
Ma almeno sgombrerebbe il campo da un attore, e sarebbe tutto più chiaro
in certo senso. Ma il Pd vuole?
Vuole e non vuole. Vuole liberarsi per legge anche di M5S, con la
proposta Finocchiaro: il che in qualche modo rende difficile raggiungere
la maggioranza per liquidare Berlusconi «legalmente». E i grillini?
Protestano così, come un certo Fgico eletto da loro: «i pd pensassero
alla ineleggibilità di Berlusconi». Insomma, sono
contemporaneamente a favore una legge contro una persona, e si indignano
per la legge Finocchiaro che è contro di loro personalmente. Insomma
non hanno capito che il Diritto è violato, nel suo spirito, da entrambe.
Come tutti gli altri, del Diritto vogliono scegliere fior da fiore,
secondo i calcoli del momento, gli interessi temporanei, o anche secondo
la pancia, le viscere, i rigurgiti e gli schifi. Galera preventiva? Sì
per i nemici, ma non per gli amici. Intercettazioni: bene se le fate a
«loro», male se le fate a «noi» o ai «nostri».
Hanno la stessa concezione del diritto di Berlusconi. Tutti sono lì a
distorcere in qualche modo la legittimità e maestà della legge per i
loro più corti interessi. Se ne accorgono almeno? O manca loro il
livello intellettuale per capire a cosa riducono la legge, lo stato di
diritto, la sua autorità e credibilità? Temo che sia questo il caso:
sono così stupidi, da non pensare che la legge che hai varato contro il
nemico, domani può essere usata contro di te: ed è appunto per questo,
perché il diritto è «erga omnes», che bisogna andarci piano a
distorcerlo secondo i propri interessi minimi e le proprie vedute
cortissime.
Un esempio e chiudo: le intercettazioni giudiziarie all’insaputa dei
parlanti, sempre difese e pretese dal pd come pietra miliare della
legalità. Come saprete, adesso la procura di Palermo pretende di
ascoltare il presidente della repubblica, Napolitano, «come testimone
nel quadro delle indagini sulla trattativa Stato-mafia», specificamente
in relazione alle «richieste provenienti dall’imputato Nicola Mancino»
che come noto, telefonò al Quirinale per cercare qualche conforto, o
appoggio, contro gli esimi procuratori tipo Ingroia. La procura di
Palermo, è noto, possiede le intercettazioni di quelle conversazioni; ha
una gran voglia di farle ascoltare e pubblicare sui giornali amici,
nonostante la Corte Costituzionale ne abbia richiesto la distruzione.
Tutto ciò può far piacere a chi pensa con le viscere intestinali, e
detesta il re Napulitano. Però, prima di applaudire e dire che «ogni
cittadino deve difendersi nei processi e non dai processi», quindi anche
il capo dello Stato come «normale cittadino» deve essere chiamato in
giudizio (e magari da testimone diventare imputato con arresto in aula),
dovrebbe capire che cosa ciò comporta. Non solo la caduta del governo.
Non solo la crisi parlamentare. Non solo il crollo della presidenza
della repubblichetta, con la sua funzione oggi enormemente ingigantita
di «garante». Cadute tutte le istituzioni, a prendere il potere assoluto
sarà la magistratura. Questa magistratura, che ci ha dato gli Ingroia,
Finocchiaro, Casson. L’impero totale delle manette, il dominio senza
appello della illegittimità legale, in mano ai peggiori «inopportuni»
che fanno tutto ciò che non è espressamente vietato dalle leggi – leggi
che si fanno loro.
Pensateci. Per capire sotto a che mani stiamo cadendo, consiglio la lettura di «La qualità della democrazia in Italia»,
un recente saggio del Mulino, scientifico-giuridico, coordinato da
Leonardo Morlino (ordinario di Scienza politica alla Luiss), Daniela
Piana (professore di Scienza politica all’Università di Bologna) e
Francesco Raniolo (ordinario di Scienza politica all’Università della
Calabria). I tre luminari hanno scoperto che la nostra magistratura
«massimizza così tanto le garanzie di indipendenza da essere considerato
un modello di qualità», mentre invece «presenta livelli di efficienza e
fiducia non in linea con gli standard internazionali di diritto».
Vi si legge: «La magistratura italiana soffre di uno
sbilanciamento eccessivo in favore dell’indipendenza, senza che ad essa
corrispondano meccanismi di controllo organizzativo interno». Per
questo, i tribunali italiani sono cronicamente inadempienti, e
peggiorano di anno in anno. La nostra casta giudiziaria resta «l’ultima
dei Paesi Ocse per capacità di esecuzione dei contratti con uno scarto
di 158 a 1 con il primo della graduatoria, il Lussemburgo».
E infine: «Il punto di criticità maggiore della giustizia penale
italiana è la visibilità mediatica e la personalizzazione. Soprattutto
nelle grandi procure, come quella di Milano, di Roma, di Napoli, di
Palermo, l’esposizione dei sostituti procuratori a cui sono assegnati
fascicoli politicamente salienti perché coinvolgono esponenti della
classe politica, l’altissima eco creata dai quotidiani e dai programmi
televisivi di inchiesta e l’assoluta difficoltà a impedire che i
risultati spesso parziali delle indagini preliminari siano diffusi
presso l’opinione pubblica, rendono una immagine della magistratura
particolarmente attivista».
I giuristi scoprono l’acqua calda, in fondo, quando puntano il dito sulla malattia istituzionale centrale italiana: «Una
struttura istituzionale a chiasmo: politicizzazione delle istituzioni
apolitiche e depoliticizzazione delle istituzioni politiche». Che è un modo colto per avvertirci: guardate, il potere ormai è tutto in mano ai magistrati, senza pesi e contrappesi.
Una volta correva fra gli avvocati una battuta: l’Italia è la culla
del diritto, dove il diritto non è mai uscito dalla culla. Ora vediamo:
siamo caduti dalla culla. Nello strame.
1) La suddetta ha altezzosamente replicato sul suo blog o tweet o comesichiama:
La proposta di attuazione dell’art.49 della Costituzione non è,
malauguratamente per chi ne scrive e per chi vi trova elemento di
polemica, una succulenta notizia che rivelerebbe l’avversione del Pd per
il Movimento 5 stelle.Il ddl è infatti presentato nell’identico testo
in cui venne depositato nella precedente legislatura, sia alla Camera
che al Senato e riguarda tutti i partiti. Era (e resta) un
pezzo di programma del Pd. Si tratta dell’attuazione – ritardata per
troppi decenni e sollecitata più volte anche dal Capo dello Stato – di
una decisione dei costituenti di particolare rilievo e pienamente
coerente con il modello di democrazia parlamentare scelto per il nostro
Paese.
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