INTERVISTA L'antropologa Anna Maria Rivera
Proprio ieri è uscito un libro disperante (per «noi italiani») nella
sua drammatica attualità, Il fuoco della rivolta. Torce umane dal
Maghreb all'Europa (edizioni Dedalo). Lo ha scritto Anna Maria Rivera,
antropologa all'università di Bari.
Perché un libro così?
Ho seguito da vicino la rivoluzione del 14 gennaio in Tunisia e cercando
di ampliare le mie ricerche con un taglio antropologico mi sono resa
conto che il nodo era quello dell'autoimmolazione, un fatto drammatico
che ha favorito lo scatenamento della rivoluzione e il rovesciamento del
regime. Il ragazzo che si è dato fuoco a Tunisi non è un caso isolato,
il fenomeno è molto diffuso e continua tutt'ora nei paesi del Maghreb,
in Algeria soprattutto. Solo che nessuno ne parla più. Ero convinta che
prima o poi sarebbe arrivato anche in Europa. A Palermo, il caso di
Mourredine Adnane presenta analogie impressionanti con il caso tunisino,
si è dato fuoco il 10 gennaio 2011, era un ambulante e aveva subìto
delle vessazioni da una squadretta di vigili urbani. E dopo di lui ce ne
sono stati altri. Ho intuito subito che sarebbe toccato molto presto
agli italiani.
Sono fenomeni comparabili?
Penso che appartengano alla stessa ondata - Emile Durkheim direbbe che
sono fenomeni che si espandono per cicli - e che si inseriscano in un
contesto abbastanza simile, la crisi economica e la sua gestione errata
che non fa altro che riprodurre l'impoverimento delle classi medie.
Quello che accomuna questi casi di suicidio è che sono espressione del
conflitto sociale, l'elemento della rivendicazione estrema della
dignità, anche se i mass media e la politica continuano ad occultarli.
Darsi fuoco è una scelta precisa?
E' il modo più spettacolare di torgliersi la vita, non si può non vedere
una torcia umana in una piazza, è il suicidio pubblico più eclatante.
Non a caso ci si dà fuoco davanti a un luogo che rappresenta il potere,
grande o piccolo che sia. Si tratta della forma di protesta per
eccellenza.
Eppure in Italia sono morti totalmente cancellate dall'indifferenza.
Anche in Francia è così... li chiamano faits divers, i giornali non
scrivono nemmeno i nomi dei suicidati. Il paradosso è proprio questo.
Sono convinta che si tratti di una espressione fenomenica del conflitto
sociale, sono morti atroci che tentano di scuotere l'opinione pubblica e
vengono soffocate dalla politica e dai media. In Italia ci sono
sociologi di grido che negano l'aumento dei sucidi per motivazioni
economiche, ma esiste un recente studio inglese che afferma proprio il
contrario. In Grecia e in Israele non è così, quei martiri sono
rivendicati come propri dai movimenti di protesta, alle manifestazioni
gridano il loro nome dicendo è uno di noi. In Italia, invece, non accade
nulla. Sto ascoltando il Gr3: non hanno nemmeno dato la notizia
dell'uomo che si è dato fuoco davanti al palazzo del Quirinale. Ho
scritto il mio libro anche per la rabbia.
Forse non è solo colpa dei media e della politica, l'opinione pubblica italiana sembra defunta.
Intendo dire del fare politica nel suo complesso, non parlo solo dei
partiti e delle organizzazioni. Angelo Di Carlo, lo scorso agosto, si è
suicidato davanti a Montecitorio, possiamo dire che era un compagno
molto attivo: è stato dimenticato da tutti. Le torce umane sono indizio
di un malessere sociale profondo ma sono anche un grido strozzato,
soffocato, mutilato, che la politica dovrebbe sforzarsi di raccogliere e
articolare.
Lei dice che questi suicidi col fuoco esprimono un conflitto
sociale.Montaigne, nei Saggi, scrisse che i «selvaggi» del nuovo mondo
davanti alla povertà che videro a Bordeaux un giorno gli chiesero come
mai i poveri non appiccassero il fuoco ai palazzi. Ecco, come mai?
Queste non sono tutte morti solitarie, spesso si innesca la spirale
suicidio di protesta/rivolta, sono gesti che contengono la volontà di
colpire il potere, ma trasformando questa ansia di vendetta in una forma
non violenta. Capisco la metafora del Palazzo... credo che le persone
che oggi trovano questo coraggio intuiscano anche che il «movimento» -
inteso nella sua accezione meno definita - non abbia la forza di dar
fuoco al Palazzo, o che non sia sua intenzione.
Soli e suicidi di fronte alla disperazione, è l'espressione del conflitto sociale più drammatica che ci sia.
Nessuno vuole comprendere e raccogliere quel grido, non i partiti e non
il sindacato, che non ha nemmeno la forza di dare un senso alle ragioni
che possono spingere un uomo che perde il lavoro a togliersi la vita con
un gesto così drammatico.
Luca Fazio
Fonte: www.ilmanifesto.it
19.10.2012
postato da Tao su comedonchisciotte.org
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