Terminati gli scrutini, è emerso il nuovo Parlamento: il Movimento 5 Stelle ha riportato, grazie alla rapida decomposizione del Partito Democratico, un risultato superiore alle previsioni, mentre la coalizione di centrodestra, pur risultando prima, è lontana dalla maggioranza. Come prevedibile, è già iniziata la manovra per defenestrare il segretario del PD, maggiore ostacolo ad un governo con i 5 Stelle: “architetti” dell’operazione sono Sergio Mattarella e Giorgio Napolitano, massimi esponenti dell’establishment liberal, talvolta chiamato “gruppo Bilderberg” o “commissione Trilaterale”. Se il progetto andasse in porto, l’Italia sarebbe sottoposta ad un ultimo saccheggio prima di essere spinta al default e/o balcanizzata. L’unica incognita è la maggioranza in Parlamento, dove una resistenza di Renzi al Senato impedirebbe la nascita dell’esecutivo M5S-PD.
La Trilaterale alla prova della maggioranza parlamentare
Il “Rosatellum” ha fatto il suo lavoro. Certo, se si fosse votato con il “Consultellum”, ossia due leggi diversi per Camera e Senato, l’effetto sarebbe stato ancora più dirompente: tuttavia, il voto non ha prodotto nessuna chiara maggioranza parlamentare ed è questo il punto cruciale. Perché un Parlamento “impiccato” implica necessariamente una grande coalizione e, nella fattispecie, implica la convergenza tra il Movimento 5 Stelle ed il Partito Democratico, come auspicato dall’establishment “liberal”, chiamato anche “gruppo Bilderberg” o “Commissione Trilaterale” in base al conciliabolo considerato. Benché M5S e PD siano rispettivamente il grande vincitore e il grande sconfitto delle politiche 2018, i due partiti sono in realtà riconducibili allo stesso corpo. È questa la raffinatezza (o la diabolicità) della manovra con cui si sta portando l’Italia alla bancarotta: presentare come alternanza (governo Monti, centrosinistra e M5S), la continuazione della stessa strategia di saccheggio e destabilizzazione dell’Italia.
Si parte nel 2011 col governo di Mario Monti, imposto all’Italia sull’onda dell’emergenza “spread”. La massiccia dose di austerità getta il Paese in recessione (PIL a -2,8% nel 2012 e -1,7% nel 2013), imprimendo nuovo slancio al debito pubblico: parallelamente le prime aziende strategiche finiscono all’estero e, un po’ alla volta, si aprono le porte all’immigrazione clandestina. I pessimi risultati macroeconomici del governo Monti non sono un “effetto indesiderato” dell’austerità: l’indebolimento dell’Italia è scientificamente perseguito ed è la missione dei “tecnici” calati da Obama, Merkel, Cameron e Sarkozy, con il decisivo avvallo di Giorgio Napolitano.
Subentrano le elezioni del 2013: il senatore Monti ha la sfacciataggine di presentarsi alle elezioni con un proprio soggetto politico (Scelta Civica) che si ferma ad un 10% per poi sciogliersi nel corso della legislatura e confluire nel PD. Poco male, a ricevere il testimone dal governo tecnico, c’è infatti proprio il centrosinistra, che porta avanti le medesima politiche economiche/migratorie, formalmente volte a “risanare il bilancio” e “salvare vite umane”, in realtà mirate al preciso scopo di sfiancare/destabilizzare l’Italia: il debito pubblico continua a crescere e tocca livelli record, i bilanci delle banche si caricano di sofferenze, le coste meridionali sono prese d’assalto dai flussi migratori poi bloccati alle Alpi, un numero crescente di aziende strategiche (Telecom ed Unicredit) passa un mano straniera. Dopo l’esperienza Monti, il M5S conosce il primo exploit (25%), ma non è ancora tempo di portarlo al governo: occorre che l’austerità indebolisca ulteriormente il Paese e, in parallelo, gonfi il partito anti-sistema creato ad hoc.
Arrivano le elezioni del 2018. Se il partito di Monti si è ormai dissolto nel nulla, tocca questa volta al Partito Democratico incassare alle urnel’onda d’urto delle politiche che stanno sfibrando il Paese: il PD subisce un vero e proprio tracollo, scendendo al 18% dal 25% di cinque anni prima. Poco male, perché a ricevere il testimone dal Partito Democratico, che a sua volta l’aveva ricevuto dal governo tecnico, c’è il Movimento 5 Stelle, che svetta col suo 32% di preferenze. Ma come, qualcuno potrebbe chiedersi, i grillini sono la continuazione dell’esecutivo Monti? Luigi Di Maio, sebbene ormai su posizioni “europeiste”, è l’epigono di Monti?
Sì, perché M5S non è soltanto la continuazione della strategia di annichilimento del nostro Paese, ma ne è addirittura il culmine: i grillini sono il virus inoculato insieme all’austerità. Traggono forza e si alimentano dalle politiche della Troika e, quando il Paese è sufficientemente esausto ed il malessere acuto abbastanza, sono infine portati al governo per terminare il lavoro iniziato da Monti: il default, il saccheggio e, se possibile, lo smembramento geografico dell’Italia.
La calma piatta sui mercati con cui è stato accolto l’esito delle elezioni non deve ingannare. I mercati rimarranno su questi livelli o saliranno persino, prima che scatti la trappola: insediato il governo M5S, alzati i tassi delle banche centrali, allora le borse inizieranno a franare ed il differenziale tra Btp e Bund schizzerà oltre i record del 2011 (dopotutto, il quadro macroeconomico italiano è peggiorato, e di molto, da allora). A quel punto, si ripeterà lo schema già sperimentato in Grecia con Syriza o nei comuni di Torino e Roma con le giunte Appendino e Raggi: di fronte all’emergenza, di fronte alle pressioni dei creditori, di fronte ad un quadro sempre più fosco e complesso, il governo M5S si sfalderà, lasciando mano libera alla speculazione. Che rimane da saccheggiare? I risparmi delle famiglie, le partecipate della Cassa Depositi e Prestiti, gli immobili dello Stato ed una miriade di municipalizzate. Dopo l’ultimo salasso, l’Italia, esangue, potrà anche essere spinta al default, come la Russia del 1998.
Come la Russia del 1998, è ormai evidente che si tenterà anche di smembrare il Paese, esasperando al massimo i “federalismi”, le “autonomie” ed i “secessionismi”. Sedici anno di euro, hanno impoverito il Nord Italia, ma hanno prodotto effetti ancora più drammatici nel Sud Italia: il Paese è oggi spaccato in due, come ha fotografato il voto del 4 marzo, e lo Stato, sempre più debole, è in fase di ulteriore destrutturazione con i vari referendum sulle autonomie, il cui scopo è ridurre ulteriormente i trasferimenti fiscali tra zone ricche e povere. La crisi finanziaria ed il probabile default del Paese saranno così accompagnati dal tentativo di inglobare il Nord Italia nei domini franco-germanici, per lasciare il resto del Paese alla deriva. È lo stesso scenario, dissesto finanziario e balcanizzazione dello Stato, che incontrò Vladimir Putin nel 1999 installandosi al Cremlino.
Se questo è il piano che l’establishment liberal, la cosiddetta “Trilaterale”, ha in serbo per l’Italia, resta però da metterlo in pratica: resta, in sostanza, da battezzare l’esecutivo M5S. Il passaggio è decisivo ed è, probabilmente, l’ultimo ostacolo che separa l’Italia dal baratro.
M5S, a distanza di nove anni dalla fondazione, è certamente pronto per assolvere al suo compito di distruzione dello Stato italiano. Per la formazione di un esecutivo grillino, come dicevamo, è però necessario l’apporto parlamentare del Partito Democratico: non si può dire che questo sia altrettanto pronto ad immolarsi col Movimento 5 Stelle. Qualche resistenza c’è.
Lungi da noi voler rappresentare Matteo Renzi come il “salvatore della patria”: resta il fatto che, fosse anche soltanto per ripicca, screzi o ambizioni personali, l’ex-premier è il maggior ostacolo alla formazione di un governo PD-M5S, i cui massimi fautori sono, al contrario, Sergio Mattarella, Giorgio Napolitano e la corrente più liberal-atlantista del PD (Sergio Chiamparino, Michele Emiliano, Francesco Boccia, Luigi Zanda, etc.).
Bisognerebbe essere più addentro al mondo massonico per conoscere la realtà, ma è ormai evidente che Renzi ed i suoi contendenti sono separati anche da diverse “osservanze”: più legato al mondo della P2 (e quindi a Berlusconi) Renzi, più legato alle grandi logge internazionali e anglofone i vari Mattarella, Monti e Napolitano. Questa divergenza è affiorata più volte nel corso della legislatura: “no” di Mario Monti al referendum costituzionale, attacco di Renzi agli “aristocratici illuminati”1, oscure manovre di servizi e magistratura per “far fuori” l’ex-premier (il caso Consip2), tenace resistenza di Renzi all’approvazione dello “ius soli”. Persino l’opposizione di Mattarella a sciogliere le camere, dopo il fallito referendum del dicembre 2016, può essere considerata una manovra tesa a indebolire Renzi, costretto a subire l’esecutivo di Paolo Gentiloni (oggi fra i fautori dell’alleanza con M5S3).
Renzi è apparentemente deciso ad impedire qualsiasi convergenza verso il Movimento 5 Stelle: in quest’ottica deve essere letta la decisione di dimettersi “formalmente” il 5 marzo, conservando però la guida del partito sino alle consultazioni al Quirinale per la formazione del nuovo esecutivo. È una scelta, quella di Renzi, che ha subito scatenato la reazione del mondo “liberal”, consapevole che, così facendo, il segretario uscente può bloccare la nascita dell’esecutivo PD-M5S. “Dimissioni Fake” scrive Lucia Annunziata, “Renzi finge di dimettersi e prende in ostaggio il PD” le fa eco Massimo Giannini.
Riuscirà Renzi a scongiurare l’intesa tra PD e M5S, mandando così a monte i piani di Mattarella e Napolitano? Dipenderà non tanto dalla sua capacità di conservare la segretaria del partito, ma dall’oculata scelta degli eletti al Senato, dove una robusta minoranza “renziana” sarebbe in grado di impedire la fiducia a qualsiasi esecutivo grillino-democratico (M5S e PD attualmente dispongono di 167 senatori su una maggioranza di 161).
Nel Movimento 5 Stelle si è parlato di “nascita della Terza Repubblica”. Stiamo in realtà entrando nell’ultima fase della Seconda Repubblica: l’ultima occasione per scongiurare la vittoria di quei poteri che prima hanno spazzato via un’intera classe dirigente con Tangentopoli, poi hanno portato Mario Monti al governo e ora lavorano per assestare il colpo di grazia all’Italia con l’alleanza M5S-PD.
http://www.stopeuro.news/i-piani-della-trilaterale-e-lincognita-della-maggioranza-parlamentare/
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