martedì 30 aprile 2013
Pubblico impiego, la guerra alla casta genera mostri
Lo Stato italiano ha tagliato 232 mila dipendenti pubblici tra il 2006 e il 2011, passati da 3.627.139 a 3.396.810. Questi numeri dimostrano che l'Italia è sotto la media Ocse per numero di occupati nella pubblica amministrazione. E tuttavia continua la campagna contro la casta per eccellenza dei "garantiti". Che tanto garantiti non sono. Scopriamo il perché in questa inchiesta.
Pubblico impiego? Solo Kasta, produce sprechi. Tagliare, risparmiare, premiare solo i meritevoli. Il resto sono cervelli all'ammasso. Licenziare, raus. Il primo ad avere creduto nella battaglia populistica per eccellenza, quella contro la casta del pubblico impiego, i garantiti, non è stato Grillo, o Brunetta quando approvò una riforma del pubblico impiego inutile. E' lo Stato italiano che, secondo i dati dell'Aran, l'agenzia che rappresenta la pubblica amministrazione nella contrattazione collettiva nazionale, ha tagliato 232 mila dipendenti pubblici tra il 2006 e il 2011, passati da 3.627.139 a 3.396.810.
Stella&Rizzo hanno fallito
Questa è la tesi dell'ex vice direttore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti esposta in un'intervista a Italia oggi <http> . I due giornalisti del Corriere, autori di un fortunato libro-denuncia contro la "Casta" dei politici e dei dipendenti, mostrarono gli sprechi intollerabili della pubblica amministrazione, prodotti da privilegi oggettivi di una élite. Quella denuncia diede la stura all'immenso risentimento popolare contro una determinata categoria della classe dirigente, scatenando un duplice processo. Il primo è politico:
Fu, quella, un'intuizione giornalistica penetrante dell'allora direttore, Paolo Mieli. Ma lo stesso Corriere e il sistema dei media nel suo complesso non sono riusciti a sfidare realmente la classe politica sul piano delle soluzioni.Quelle inchieste si accompagnavano a una campagna politica che, mettendo in luce le debolezze reali del governo Prodi, puntava sui tecnici che avrebbero dovuto avere alla loro testa Montezemolo. Una grande idea giornalistica, una piccola idea politica. E alla fine, complice una politica cieca, la guerra alla Casta senza la capacità di proporre alternative reali ha generato il Movimento 5 Stelle. Che ora attacca politici e giornalisti.
Il secondo è sociale e ha investito un aspetto particolare, e ancora misconosciuto, del grillismo e in generale dell'organizzazione del lavoro in Italia. L'odio per la "Casta" ha generato il disprezzo contro chi lavora nel pubblico impiego. Se fa il medico, lavora all'università o nella scuola, in un ufficio avrà senz'altro truccato un concorso, vanterà una raccomandazione, ha truccato le carte penalizzando i "meritevoli". Fa schifo, insomma.
Quando lo Stato è il più grande sfruttatore di precari
Come dimostrano i dati dell'Aran, la crescita del precariato nella pubblica amministrazione, e in particolare nei settori sensibili del Welfare, scuola e sanità, è avvenuta proprio negli anni in cui iniziava la campagna anti-casta. Insieme a questa crescita è avvenuta la contemporanea espulsione (dovuta principalmente ai pensionamenti) di oltre 200 mila persone. Il blocco del turnover non permetterà l'assunzione di nuovo personale, compresi i precari che attendono nel limbo una stabilizzazione impossibile.
Non solo dunque la virulenta campagna antiKasta si è ritorta contro i suoi autori, ma ha nascosto il processo di ridimensionamento del lavoro pubblico, in particolare nei settori che assicurano la riproduzione intellettuale, e la cura della persona. Insomma, direttamente o indirettamente, la guerra alla "Kasta" (cioè contro la discriminazione dei peggiori contro i migliori) ha alimentato il problema che voleva denunciare: il diritto e la libertà responsabile all'accesso ad un lavoro, nel pubblico o nel privato, in un mercato che è stato spogliato di ogni regola. A partire dallo Stato, il più grande sfruttatore di precari.
Sorpresa: l'Italia ha pochi dipendenti pubblici
Contrariamente a una delle leggende diffuse dai sostenitori dello «stato minimo», questi numeri dimostrano che l'Italia è sotto la media Ocse per numero di occupati nella pubblica amministrazione. Sono meno di quelli francesi, e lo si può capire, considerata le tradizioni dei nostri vicini d'Oltralpe. Ma, sorpresa, l'Italia si classifica sotto i paesi presi ad esempio dai sostenitori del neo-liberismo scatenato: gli Stati Uniti e la patria dell'Iron Lady Margaret Thatcher. Sotto di noi ci sono solo i «Pigs» Spagna e Portogallo e il nuovo «faro» della Germania.
Nessun problema, l'Italia la raggiungerà presto, anche grazie al rinvio dei pensionamenti voluti dalla riforma Fornero, il blocco delle nuove assunzioni e al mancato rinnovo degli interinali, tempi determinati e flessibili, già in atto da tempo. Secondo la Ragioneria generale dello Stato sono diminuiti di oltre il 26% negli ultimi 5 anni. Per l'Aran nel 2012 il calo sarà del 2,3% e continuerà nel 2013. Il risparmio sugli stipendi sarà notevole: nel 2011 la spesa è stata di 170 miliardi (-1,6% sul 2010). Nel 2012 è calata a 165,36 miliardi (-2,3%).
Siamo tornati al 1979
Anche nelle retribuzioni lo stato italiano viaggia a ritroso nel tempo. Oggi è tornato al 1979. E, purtroppo, non si fermerà.I settori dove i tagli si sono fatti sentire di più sono quelli che garantiscono il Welfare, scuola e sanità, e poi gli enti locali e i ministeri. Il processo è iniziato con l'ultimo governo Prodi, ma l'onda si è ingrossata rovesciando qualsiasi cosa davanti a sé quando Giulio Tremonti è tornato ad occupare la scrivania di Quinto Sella al ministero dell'Economia, spalleggiato da Renato Brunetta alla funzione pubblica e da Maria Stella Gelmini all'istruzione. Un concerto che ha posto le basi per i tagli del futuro che colpiranno in Lombardia (dove lavora il 25% dei dipendenti pubblici), il Trentino e il Lazio con il 19% e il 18% di dipendenti in eccesso. In Calabria gli uffici sono invece sotto organico del 23%.
Una controprova che l'austerità di Stato continuerà la offre il «rapporto Giarda» sulla spending review. Ci attendono nuovi tagli da 135,6 miliardi di euro sui beni e i servizi, 122,1 miliardi di retribuzioni nel pubblico, e un altro 5,2% a scuola e università che dal 2009 hanno già perso quasi 10 miliardi di euro. Sono previsti tagli del 33,1% alla spesa sanitaria, oltre a un'altra sforbiciata del 24,1% agli enti locali, già taglieggiati dal patto di stabilità interno.
Che fine fanno queste risorse finanziarie? Dovrebbero ripianare il debito, che però è aumentato nell'ultimo anno di 19 miliardi. È probabile che anche i prossimi tagli sulla pubblica amministrazione avranno lo stesso effetto. Questa è la regola dell'austerità: più tagli il debito (Monti l'ha fatto per 21 miliardi in 400 giorni), più il debito cresce a causa degli interessi pagati dallo Stato, mentre l'«efficienza» della spesa pubblica tagliata non migliora, deprimendo gli stipendi dei dipendenti (fermi al 2000 e in diminuzione dello 0,8% rispetto al 2011 e di un altro 0,5 e l'1% nel 2012). Nel privato, invece, sono aumentate del 2,1% negli ultimi 11 anni dove però l'Aran registra un calo dell'occupazione.
L'austerità è un circolo vizioso, anche se c'è chi ancora pensa di reinvestire i «risparmi» fatti sui ministeri e gli enti locali per finanziare il debito che la P.A. ha con le imprese.
Due anni di Gelmini, -160mila insegnanti
Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato i docenti e il personale amministrativo precari nella scuola italiana erano nel 2011 301.075. Un esercito che rappresenta il 46% dei precari nel pubblico impiego. I dipendenti nella scuola sono 882.033 e i precari rappresentano il 15% del totale di 1.183.108. Dall'inizio della cura da cavallo imposta dalla coppia Tremonti-Gelmini nel 2008, i dati dell'agenzia Aran dimostrano che il personale nella scuola è diminuito tra il 2009 e il 2011 a 1.025.326 persone, quindi di 157.782 persone. Nel 2012 diminuiranno ancora. Dove sono finite? Considerato che dalla pubblica amministrazione nessuno può essere licenziato, e che per smettere di «prestare servizio» per lo stato bisogna dimostrare fondate ragioni, buona parte di queste persone sono andate in pensione.
Ci sono i precari, usati come un esercito di riserva per colmare i «buchi» provocati dalle malattie dei titolari di cattedra, oppure da chi ha un posto regolare tra il personale di servizio (i «bidelli»). Ma la proporzione tra un posto a tempo indeterminato che si libera e un precario che si vuole occupare non è automatica. Gelmini ha diminuito le cattedre e ha aumentato gli «spezzoni» di cattedra, cioè le singole ore di insegnamento che i 133.932 precari censiti nel 2011 si contendono per tutto l'anno. Passano la vita ad aspettare la chiamata del preside di turno.
La spesa sanitaria tiene... fino alla prossima spending review
Nella sanità l'austerity di stato ha tagliato 14.697 posti tra il 2008 e il 2011. Lo sostiene l'Aran secondo la quale i tagli imposti ad un altro settore, quello della scuola storicamente più numeroso per numeri di dipendenti impiegati, porteranno tra poco tempo a rovesciare un primato consolidato nel tempo. Nel 2011 la spesa per il personale della scuola superava quello della sanità per solo mezzo punto percentuale, il minimo mai raggiunto in precedenza. In attesa di una nuova rilevazione, nel 2012 la spesa della sanità avrebbe superato quella per la scuola.
I «tagli lineari» praticati da Tremonti, e quelli che a leggere il progetto di spending review consegnata al parlamento dal governo Monti (si parla di un altro -5% sul budget attuale) permetterà alla spesa per il personale del servizio sanitario nazionale di superare quella prevista per la scuola. Ma sarà un primato di breve durata. Nel caso della sanità la spending review prevede un «risparmio» del 32,7%. La condizione dei 35.193 precari censiti nel 2011 dalla Ragioneria generale (su 682.477 dipendenti) è destinata a peggiorare.
La terza fase della spending review: tagli al pubblico impiego e privatizzazione
Nel Documento di economia e finanza (Def) approvato dal governo Monti mercoledì esiste un capitolo dedicato al «Piano nazionale delle riforme» (Pnr). Più che alle cifre sulla «crescita» di un'economia in recessione tecnica da almeno due anni, numeri scritti sull'acqua come ad esempio l'aumento dell'1,3% del Pil nel 2014, è più interessante annotare le «riforme» che le cadreghe tecniche lasciano in eredità al prossimo governo (quando ci sarà). E che dovranno essere rispettate se l'Italia vuole mantenere il suo buon nome nel salotto europeo dell'austerità, e non essere considerata uno «stato fallito», cioé quello che è oggi.
In quello che Monti ha considerato solo un «work in progress» esistono in realtà tutte le decisioni prese nel «rapporto Giarda» sulla spending review: entro il 2016 bisogna recuperare fino a 15 miliardi di spesa pubblica. Questo significa tagliare il pubblico impiego tra i 2 e i 5 miliardi di euro e dismettere almeno 30 miliardi di immobili pubblici, pari all'1% del Pil. Sono i «famosi» 45 miliardi di euro da destinare all'ammortamento del debito sovrano che, secondo il Def, raggiungerà quest'anno il record del 130,4% e diminuirà entro il 2017 al 117%. Una quota gradita alla Troika che sorveglia l'Italia.
Le prime due fasi della spending review, si legge nel Def, garantiranno 13 miliardi di «risparmi» entro il 2015. Ma bisogna continuare, altrimenti si ritorna nel «baratro». Il Pnr stabilisce la regola d'oro che i prossimi interventi dovranno rispettare: prime vengono le città metropolitane, poi il taglio delle provincie che il governo non è riuscito ad imporre - nonostante la retorica del «fate presto!» alla «strana» ex maggioranza Pd-Pdl-Udc che ha sorretto le stanche membra dei tecnici. In realtà è una goccia nell'oceano dell'austerità: la loro riduzione da 86 a 51 comporterà tra i 370 e i 535 milioni di euro di risparmio. Poi viene il piatto forte. anzi fortissimo. Bisogna tagliare su tutte le amministrazioni locali, già taglieggiate dal patto di stabilità interno. Tagliare i «rami secchi» degli enti pubblici (si preparino gli enti di ricerca, ad esempio), dei ministeri.
Si annuncia già una stretta sulla spesa per beni e servizi, ma soprattutto un taglio al pubblico impiego. Tra pensionamenti ordinari e in deroga, part-time, mobilità volontaria e obbligatoria di due anni (dopo c'è il licenziamento) Monti prevede di risparmiare l'1% della spesa nel 2014 per poi tornare a salire dell'1% dal 2015. Può darsi, ma senza assumere nessuno. Poi un memoir sull'Imu, già oggetto di contesa elettorale tra Monti e Berlusconi. L'avvertimento al prossimo governo è chiaro: se non sarà riconfermata la tassa sulla prima casa fino al 2017, saranno necessarie due finanziarie straordinarie da 3,3 miliardi nel 2015, 6,9 nel 2016, 10,7 nel 2017. Per rispettare l'austerità saranno necessarie nuove privatizzazioni.
E' iniziata la terza fase dell'austerità.
Roberto Ciccarelli
Fonte: http://temi.repubblica.it
Link: http://temi.repubblica.it/micromega-online/pubblico-impiego-la-guerra-alla-casta-genera-mostri/
15.04.2013
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