Dimenticate Vanuatu, Antigua e Bermuda: sì, sono i paradisi fiscali più chiusi, “riservati” per i loro clienti e coi prelievi fiscali minimi (o zero). Però, se alle loro legislazioni di opacità fiscale concepite per attrarre capitali sporchi unite anche la loro importanza nella finanza mondiale – come ha fatto un centro studi chiamato Tax Justice Network (TJN) questi minuscoli paradisi tropicali scendono molto nella classifica. E al primo posto sale la Svizzera. Al secondo, gli Stati Uniti, per cui passa il 22,3% dei flussi internazionali di capitale.
E al sesto posto troviamo il Lussemburgo (chi l’avrebbe mai detto?), che ci ha dato generosamente il capo morale e legale commissione eurocratica, seguito immediatamente dalla Germania: sì, Germania. Secondo la valutazione del TJN, la Germania è più paradiso fiscale del Dubai. Decimo paradiso fiscale, l’isola di Guernsey, che è pur sempre Europa.
Strano che questi paesi non compaiano nella “Lista Nera” che l’Unione Europea, misura di ogni eticità, ha approntato e che aggiorna spesso (per lo più riducendo il numero dei dannati: nella lista UE sono rimasti solo 9 paesi; Panama ha ringraziato). “Contrariamente ad altre, la nostra lista non è basata su decisioni politiche”, spiega TJN
E’ discutibile aver messo la Svizzera al primo posto, chiunque sa che se un italiano o un francese apre un conto là, lo stato francese o italiano ne riceve comunicazione obbligatoria. TJN riconosce che la Svizzera è aperta coi paesi dell’OCSE; ma, dice, rifiuta di fornire i dati ai paesi del Terzo Mondo. Usa due pesi e due misure. Però si riconosce che la Confederazione si sta regolarizzando.
Molto più interessante il secondo posto assegnato agli Stati Uniti: la fonte stessa della Moralità Occidentale, l’unica superpotenza necessaria, che giudica e punisce tutti coloro che trasgrediscono al suo diritto commerciale e fiscale, colpendo stati e individui e aziende con sanzioni e sequestri dei beni. Qui,addirittura, il TJN afferma che Washington ha aggravato la sua natura di paradiso fiscale negli ultimi anni. L’America si è rifiutata di unirsi allo scambio automatico dei dati bancari vigente dell’OCSE . Con l’alta motivazione che si è dotata della propria legge, FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), la quale è più nobile e morale di tutte le altre. Il punto, spiega il centro studi, è che il FATCA obbliga sotto minacce (eseguite) di sanzioni, i paesi esteri a inviare a Washington tutti i dati sui cittadini americani che hanno attività e conti all’estero; però non fornisce le stesse informazioni su cittadini stranieri che hanno conti in USA.
Un tipico diritto talmudico, diremmo: fai agli altri quel che non vuoi gli altri facciano a te. Un vertice della civiltà giuridica.
Ci sono stati americani, Delaware, Wyoming,Nevada, che lasciano registrare ditte presta-nome e “trust” completamente anonimi, per attrarre capitali esteri sporchi. Non solo: “hanno montato un marketing molto aggressivo all’estero, sottolineando che il FATCA non implica reciprocità”. Decisamente, jus talmudicum.
Grazie a questo “marketing” (il centro studi lo chiama “il Far West”), gli Stati Uniti hanno visto aumentare i flussi di capitali mondiali transitanti nel loro Far West fiscale dal 19,6 per cento nel 2016, al 22,3 % oggi.
Passiamo alla Germania: perché solo al settimo posto fra i primi dieci paradisi fiscali del mondo? Non è solo che a Bruxelles opera sottobanco per evitare l’instaurazione di un registro dei beneficiari dei veicoli finanziari, e che ancora non ha firmato gli accordi di scambio-dati coi paesi emergenti. E’ che se la consideriamo un tutt’uno con il Lussemburgo con cui forma effettivamente un compatto sistema “europeo”, dovrebbe salire molto più in alto nella lista: congiuntamente, il flusso di capitali mondiali che attraggono supera il 17% mondiale, quasi al livello USA; molto distante dal povero 4,5 % svizzero: molti capitali della UE ovviamente che vengono ospitati molto volentieri lì, sfuggendo ai regimi fiscali degli altri paesi della (cosiddetta) Unione Europea, meno generosi. Ecco perché Bruxelles fa finta di non vedere il semi-furto delle risorse fiscali degli Stati UE senza voce in capitolo verso gli stati fiscalmente generosi coi ricchi;e come mai gli europei si vedono imporre austerità senza fine dal padrino del “dumping fiscale” lussemburghese, questo Juncker messo lì dalla Merkel.
Sebbene la Germania non pratichi il segreto bancario al modo della Svizzera, molte scappatoie nelle leggi fiscali, la loro applicazione di manica larga per i non residenti, un informale ma fortissima riservatezza sulle informazioni fiscali, hanno reso la Germania molto attraente per i capitali illeciti.
La sua stessa anormale crescita economica attrae sostanziose quantità di capitali da riciclare: lo stesso ministero Finanze tedesco l’ha calcolati in 100 miliardi nel 2014. Nel 2010 la Germania “ospitava” depositi di non-residenti per 1,8 trilioni di dollari; nel solo mese di agosto 2013, l’autore del saggio “Tax Haven Germany” Markus Meinzer ha valutato l’ammontare delle attività fruttifere esenti da imposta dei non-residenti, tra i 2,5 e i 3 trilioni di euro. Piove sul bagnato, potremmo dire.
Mi raccomando, Più Europa.
fonte https://www.rischiocalcolato.it/2018/02/quei-paradisi-fiscali-chiamati-germania-lussemburgo-usa.html
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