lunedì 12 febbraio 2018

DEBITO PUBBLICO: TRA FINZIONE E REALTA’

Per parlare correttamente di Debito Pubblico si dovrebbero evitare alcuni luoghi comuni. Di solito i commentatori non indagano le cause reali, equiparano il debito dello Stato al debito del salumiere all’angolo, usano i dati in maniera parziale e strumentale, fingono che sia un problema economico.
Tutti conoscono l’ammontare del debito pubblico italiano perché la cifra è oggetto di culto a partire dai seri telegiornali fino alla poltrona del barbiere, tutti forniscono i dati sugli interessi che siamo costretti a pagare e anche, solitamente, l’impatto percentuale sul PIL, tutti riferiscono che l’Italia ha realizzato una serie incredibile di avanzi primari a partire dal 1992 ma senza spiegare cosa questo abbia realmente significato per il nostro sistema sociale.
Certo, si concede, il debito non è una colpa come suggerisce la parola tedesca shuld, ma in ogni caso non resta che passare direttamente alle soluzioni, altrettanto “popolari”, che presuppongono l’accettazione del debito come problema il che comunque, se non si danno le giuste spiegazioni, equivale necessariamente all’accettazione di una colpa. E accettato il debito o come problema o come colpa, a questo punto le soluzioni sono l’austerità, la solidarietà europea oppure l’audit sul debito. Cosa manca?
Manca l’analisi della realtà, partiamo da un punto dando per scontato quello che è successo prima e, mancando l’analisi, si arriva a conclusioni errate. Ragioniamo cioè su come fa Babbo Natale a consegnare in una sola notte i regali non considerando un dato essenziale, cioè che Babbo Natale non esiste. Non diciamo niente del perché il debito pubblico italiano sia diventato così grande e soprattutto così insostenibile. Grande ovviamente in relazione al dibattito europeo altrimenti non si capirebbe come potremmo definire il 240% del rapporto debito / pil giapponese, un grande relativo nonché, a volte, funzionale. E anche l’insostenibile va inquadrato negli stessi argini europei perché altrettanto, e altrimenti, dovremmo chiederci perché al di fuori dell’Europa questo dibattito non trovi né spazio né senso.
Il debito pubblico accettato come problema o colpa è stato combattuto attraverso la compressione della spesa primaria, ovvero, e bisognerebbe sottolinearlo, facendo in modo che i cittadini avessero meno servizi, meno attenzioni e tutto a favore dei grandi investitori e dei mercati internazionali che contemporaneamente incassavano sotto forma di interessi i nostri sacrifici. La nostra politica ha scelto di finanziare le attività dello Stato utilizzando il mercato quando, dal 1981, non ha più permesso al Ministero del Tesoro di fissare il tasso di interesse sui titoli di stato che venivano venduti. È solo da quel momento, e solo a seguito di quella decisione politica, che i tassi sono schizzati verso l’alto.
Lo Stato, a quel punto, si è ritirato dall’economia scegliendo di disfarsi delle aziende di Stato, di privatizzare tutto, comprese le banche e quindi il credito. Abbandonando, di conseguenza, i piccoli imprenditori e le piccole aziende oltre che i lavoratori, a differenza degli Stati, tipo la Germania, che invece si teneva strette banche, credito e aziende di Stato.  Ma a parte questo e per rimanere in tema (che dimostra semplicemente che quello che succede non è ineluttabile ma segue una decisione e una volontà politica, e che quindi ne basterebbe un’altra contraria per cambiare verso), quando il debito pubblico è diventando veramente insostenibile?
Quando ci siamo messi nelle stesse condizioni dell’Argentina o della Russia che avevano agganciato le loro monete al dollaro, cioè a una valuta che non potevano controllare. Se uno Stato si indebita con una moneta che può produrre e ha una solida economia non può fallire, ma per avere una solida economia bisogna avere un piano industriale, un piano di investimenti e una direzione statale dell’economia. Bisogna insomma avere una Politica alle spalle.
Direzione statale dell’economia non vuol dire, ovviamente, URSS ma Inghilterra post rivoluzione industriale, USA seconda metà ‘800 e oltre, Giappone anni cinquanta e sessanta e Corea del Sud, quella del “miracolo”, anni sessanta e settanta. Tutti gli Stati seri pianificano, e lo fanno mantenendo il controllo dei loro mezzi di produzione, di una parte di essi, della parte strategica. Tutto quello che noi non facciamo da quarant’anni.
Il debito pubblico in sé non è mai un problema quando a gestirlo ci sono gli interessi nazionali. In Italia lo si è fatto crescere per scelte sbagliate e abbiamo persino pontificato chi quelle scelte le ha fatte. Poi l’abbiamo reso impagabile con la decisione di entrare nella zona euro. Una moneta “senza Stato”, come l’ha definita Giuliano Amato, aggiungendo: “era difficile che funzionasse e ne abbiamo visto tutte le conseguenze”.
Tanti mostrano dei dati che però andrebbero affiancati ad altri. Quando si danno i dati del Quantitative Easing si omette di spiegarne il significato, di dire quali inganni avrebbe dovuto svelare e che invece vengono tenuti nascosti dietro la nuda presentazione dei dati. Il QE ha dimostrato che le Banche Centrali svolgono un ruolo fondamentale, basta che comprino dei titoli di stato oppure semplicemente annunciano di volerlo fare perché lo spread diventi un lontano ricordo. A tal proposito la domanda dovrebbe essere: chi decide, e perché, quando e quanto comprare? E la risposta riporta a quanto detto sopra, la moneta è una questione politica ed immetterla in circolazione dovrebbe essere una decisione politica e non delegata al mercato. E qui ritorna il concetto della “moneta senza stato”.
Ancora, da dove arrivano gli oltre 2.000 miliardi del QE? Ho sentito una volta un politico affermare che venivano prestati alla BCE dalle banche private. Qui cerchiamo di essere un po’ più seri e diamo fiducia alle affermazioni di diversi Governatori di Banche Centrali come Alan Greenspan, Ben Bernanke, Mervyn King e Draghi che a più riprese hanno affermato che il denaro di una Banca Centrale è illimitato semplicemente perché viene creato, i soldi non vengono dai sacrifici dei cittadini né, quindi, dalle loro tasse. E allora, se viene creato: chi decide quando e quanto? Come si vede i concetti ritornano sempre e sono sempre gli stessi, ma aggiungiamo un altro spunto.
Se un titolo di stato viene ricomprato da chi lo ha emesso perché non viene eliminato? Esiste in contabilità un processo che si chiama “consolidamento” ma si spiega anche in maniera molto più semplice. Se io consegno come pegno al mio vicino un foglio di carta con su scritto “mi hai prestato 100 euro” nel momento in cui lui mi da in prestito 100 euro, cosa succede dopo la restituzione del debito? Semplice, quel biglietto non ha più ragione di esistere. Quindi diamo una notizia, dopo l’acquisto di 250 miliardi di BTP il nostro debito pubblico non può più essere di 2.250 miliardi ma al massimo di 2.000 miliardi.
Anche la società di consulenza internazionale McKinsey, a febbraio 2015, fa una differenza tra debito pubblico lordo e debito pubblico netto alle pagine 33 e 34 (https://www.mckinsey.com/global-themes/employment-and-growth/debt-and-not-much-deleveraging ), cioè separa il debito detenuto dalle banche centrali da quello in circolazione specificando alla fine del rapporto che una misura “anti debito” potrebbe essere semplicemente quella che “le banche centrali detengano il debito in perpetuo lasciando che l’opinione pubblica si concentri sulla parte rimanente”.
Quindi esiste una parte di debito più pericolosa e una un po’ meno pericolosa.  Dobbiamo però fare ancora una ulteriore operazione e separare il debito detenuto da investitori esteri e quello detenuto dalle famiglie, banche e istituti nazionali e considerare, inoltre, che la speculazione agisce solo sui titoli decennali che meglio si prestano, appunto, a operazioni speculative.
E se i BTP sono all’incirca l’80% del debito totale e gli investitori esteri ne possiedono circa il 30% ecco che il debito di cui preoccuparsi ammonta a circa 550 miliardi. E qui si vede che, in fondo, le cifre cominciano ad umanizzarsi, fanno meno paura. Ma se il debito in mano agli speculatori ci crea problemi potremmo decidere di non venderglielo. Se la moneta avesse uno Stato dietro, la politica potrebbe decidere al posto dei mercati. Altra domanda da porsi sarebbe: a chi conviene delegare queste decisioni ai mercati?
Per essere efficaci bisogna essere sintetici, indubbio. Ma inviterei a non prescindere dalla realtà e quindi le cause dei problemi (o delle colpe) andrebbero sempre indagate partendo dall’inizio, considerando diligentemente che la semplificazione eccessiva può diventare mistificazione anche se ha facile impatto sulle persone. I freddi dati ci portano la dove chi scrive ci vuole portare, e questo non è giusto, perché si spacciano contabilità e percentuali per vita reale omettendo la semplice realtà, chiara sin dai tempi del Deuteronomio e del Guanzi, che il problema non è economico ma politico. Il debito e soprattutto la moneta sono gli strumenti del sovrano e attengono prima di tutto alla sfera giuridica e politica e solo dopo all’economia, quindi se il debito viene vissuto come un problema è perché la politica ha deciso che lo sia, ma questo non vuol dire che i cittadini debbano necessariamente e acriticamente crederlo vero.
di Claudio Pisapia – La Costituzione Blog
http://www.stopeuro.news/debito-pubblico-tra-finzione-e-realta/

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