mercoledì 13 giugno 2012

Piangere, sì e senza vergognarsene

Diverse volte nella mia vita ho pianto ma sempre in solitudine, per vergona credo. Da bambino feci mia la convinzione che i sentimenti non dovessero essere così manifesti,anzi che era meglio controllarli: in questo forse hanno giocato un ruolo decisivo la mia educazione familiare e certe letture fumettistiche , dove l'eroe di turno si controllava e non manifestava mai le proprie emozioni.
Cresciuto inconsapevole di questa promessa fatta a me stesso, ho sì manifestato emozioni nel rapporto con l'altro sesso, ma come ricordavo prima non ho mai pianto in pubblico nè esultato troppo in occasione di manifestazioni sportive. Di sicuro mi sono comportato da coglione. Anche la disponibilità che ho nei confronti del prossimo e ancor più verso i miei figli, cozza un po' allorchè viene spontaneo abbracciarli o dare un bacio. E' un po' come se vivessi in compartimenti stagni e il mio autocontrollo mi porta a essere espansivo quanto basta: è come se mi dicessi, frena e fermati, basta così. Come se una carezza in più fosse ,se non peccato, fuori luogo e non necessaria. Ma potrebbe anche essere che il mio timore di lasciarmi andare e quindi di mostrarmi per quello che sono (quindi posso essere un coglione e uno stronzo,ma anche uno con i controcoglioni e uno con cui ci si diverte: dipende dai punti di vista) abbia delle motivazioni che affondano, guarda caso , le radici ai tempi delle scuole medie, anzi della quinta elementare. Come alcuni sanno non ho mai sopportato le ingiustizie, se poi si tratta di subirle è ancora peggio: magari non avrò il fegato di andare in tribunale, e di fatti mi hanno dovuto costringere e inutilmente ho testimoniato, però per gli altri ho sempre dato il massimo spremendo il mio cervello e cercando e trovando soluzioni ad hoc. Ci sono alcuni episodi come quando giocando a pallacanestro (allora si chiamava ancora così) in una partita importante, fui oggetto di un fallo ben evidente, visto che mi uscì ,copiosamente, sangue dal naso : la gomitata me la diede il capitano dell'altra squadra che però era il figlio di un pezzo grosso, nonchè finanziatore della scuola privata dove studiavamo e giocavamo. Era anche un bravo giocatore ma non il migliore, al mio stesso livello che pur bravino non ero "er mejo", anzi tanti erano più bravi di me e lo dimostreranno. Anch'io me la cavavo sopratutto come regista, come suggeritore, caratteristica che mi porterò appresso anche nella vita: vedere ciò che altri non vedono, intuire e dare le dritte, rileggere un testo per vedere se e che cosa non va. E quindi non vedere quel fallo punito, anzi lasciar perdere e invitare a continuare a giocare, mi ha fatto montare di rabbia. Il risentimento che provavo troverà modo di sfogarsi in maniera palese ma con risultati deludenti, almeno per come la vedo : ebbi la fortuna di poter giocare al palazzetto dello sport e davanti a non so quante persone , ma di certo più di mille (mi pare che ne contenga oltre tremila, quindi se mettiamo che i ricordi siano esagerati...mille di sicuro erano presenti).Mi toccò di avere una palla d'oro, un passaggio che mi trovò da solo all'altezza del centrocampo: e invece di continuare a correre, forse per un motivo o forse per un altro, tirai da quella distanza: feci ancora qualche passo e poi, impaurito o invece prepotente, tirai e per un soffio sbagliai. Ciò che conta fu l'errore, che mi costò caro.I miei anche se non erano venuti a vedermi , ritennero che non ero quel fenomeno che gli avevo fatto credere e decisero che non era saggio investire su di me.Un infortunio, non raro nei ragazzini, un braccio fratturato, mi impedì due anni dopo, di partecipare ai campi estivi ma non mi tolse la voglia di riprovarci. E così mentendo ai miei e a scuola, un pomeriggio scappai da scuola e andai agli allenamenti: dissi che ero autorizzato ma poco dopo fui portato via da mio padre. Da allora,nonostante due medaglie di bronzo e una coppa, vinte dalla mia squadra, dato che ero capitano, mi fu impedito di proseguire. Analogie nella vita? Mia moglie ha avuto in iter simile, almeno nel finale: ossia, fu impedito anche a lei di proseguire. (So che lei è stata molto ma molto più brava di me: ma non glielo dico,anzi...)Piansi quando mi fu vietato di andare agli allenamenti? Sì ma in privato. Ecco un altro episodio di gioventù: al ginnasio fui per due anni rappresentante di classe e tutelai ,secondo me bene, i miei compagni. Ricordo che non ci furono bocciati e che personalmente avevo un discreto ascendente nella classe, anche con gli insegnanti. Non ero e non sono mai stato un leccapiedi, anzi. Tuttavia il terzo anno ebbi un crollo sia a scuola che nella vita.Sì, questione di cuore. Intanto avevo pure ritrovato un compagno delle medie che pur essendo (alle medie) un anno avanti si era fatto raggiungere per via di una bocciatura: lui avrà un certo ascendente su di me ma non riuscirà a convincermi a giocare a basket: lui era il capitano della squadra avversaria che riuscimmo a battere e per cui vincemmo la coppa. (Non è lui che mi ha fatto sanguinare)Sapeva che ero bravo ma non ci fu niente da fare: col senno di poi mi pento di non aver raccolto quell'invito. Dicevo che il cuore , gli ormoni, la curiosità, ed è così che mi innamorai e ,come sempre, di persone nei casini, casini peggio dei miei.Perchè lei era una delle tante ragazze che venivano picchiate e trattate male dai genitori, nel caso suo e per quanto ne ho sempre saputo, dal padre. Senonchè ricevetti allora la prima lezione di vita: occhio perchè puoi essere usato e ,quando te ne accorgerai sarà troppo tardi per rimediare o uscirne bene. E infatti lei mi usò,così seppi quando trovai consolazione altrove, per far ingelosire un altro, uno che lavorava e aveva la macchina, mentre invece io studiavo e andavo a piedi . Soltanto che io allora avevo già le idee più chiare,almeno di lui: non tanto per il sesso, dove proprio quell'anno avrei imparato per bene tutto da due compagne di viaggio durante una gita all'estero, ma perchè sapevo ascoltare.Ascoltare non sempre è sinonimo di comprensione e infatti alcune sfumature ,importanti, non le afferravo. Avevo 15 io e 16 lei e 20 l'altro. Un giorno vidi dei segni rosso scuro sul suo viso: chiesi chiarimenti e lei non mi disse niente. Ne parlai con una comune amica (preciso che lei non era una compagna di liceo ma di "muretto") che cadde dalle nuvole: ma come, non sapevi che il padre la picchia?E così seppi ciò che non sapevo o che non avevo percepito ,preda come ero stato dei sensi e degli ormoni: le mie erezioni avevano avuto il sopravvento, nelle mie lettere d'amore non c'era traccia di questi episodi che,chissà da quanto duravano. Ma ecco che arriva il finale, per me inaspettato. Per farla breve: suo padre e il mio si sono conosciuti per motivi di lavoro, in quanto il mio gli aveva venduto degli arredi.Purtroppo lei giocò sporco e per togliermi di mezzo e ritornare con il ganzo 20enne, disse al padre che la seguivo, che l'aspettavo fuori di casa. Oggi forse sarei stato denunciato per stalking ,ma volevo solo invitarla a scappare: allora,ben più di 30 anni fa, non so se e come lo stato tutelava i casi,non di stalking ma di violenza domestica. Comunque un giorno mia madre,perchè mio padre non aveva le palle per dirlmelo, mi dice di lasciare in pace quella ragazza, di non aspettarla eccetera eccetera. Ovvio che ci rimasi di merda, perchè non sapevo che loro sapessere e nemmeno che cosa di me e di lei. Per anni mi hanno rinfacciato che fossi possessivo e appiccicoso: 10 anni dopo, in una strada, i nostri sguardi si incontreranno di nuovo. La guarderò negli occhi e lei abbasserà lo sguardo. Le avrei anche parlato volentieri, le avrei detto che ero sposato e che avevo un figlio eccetera e le avrei chiesto che cosa faceva ,ma non me ne ha dato l'occasione, fissando il marciapiede e proseguendo il suo cammino. Ognuno per la propria strada e nessun chiarimento. E proprio il non poter chiarire che mi ha sempre fatto rabbia e piangere: certo lei è stata poi sostituita da altre ma quasi sempre le cose sono andate a finire che "non ci siamo chiariti". E quando lo si poteva a volte è stato il capriccio mio o anche loro che ha detto no, lasciamo le cose così come stanno. Una sorta di "peggio per te che mi hai mollato o che mi hai asfissiato". Oggi a distanza d itempo e di situazioni diverse ricordo con un certo rammarico i momenti in cui avrei potuto cambiare in meglio la mia vita: e invece ho agito male. Tuttavia il mio reprimere certe manifestazioni affettive, soffocare le emozioni, non significa che non le provi. Temo forse il giudizio, come in quella partita, in quella finale, dove mi saranno piovuti addosso maledizioni e giudizi negativi: l'occasione l'ho avuta e l'ho sprecata. La seconda me l'avrebbe fornita il mio avversario e l'ho rifiutata. Uno psicologo forse mi direbbe così: sei tu che non hai voluto rimetterti in gioco, ergo è colpa tua e solo tua. Aspetto adesso, la seconda possibilità, nel lavoro, dato che il fallimento è stato chiuso: quella non penso di rifiutarla. 


per la cronaca:il mio avversario, purtroppo, è rimasto vedovo e con un bambino ed è abbastanza depresso ,almeno così mi ha fatto capire mostrandomi i farmaci che gli hanno prescritto. L'altro, quello della gomitata che mi ha provocato l'uscita di sangue, è un tipo sanguigno o meglio prepotente, che ha pure passato ,pochi anni fa, una notte in guardina per aver messo le mani addosso a un vigile urbano che gli stava multando l'auto. Le mie navi scuola erano,allora, all'ultimo anno di scuola, e avevano circa 8 anni più di me: erano ripetenti e oggi non so dove siano nè le ho cercate, dato che ricordo gli episodi ma non i loro nomi.

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