mercoledì 9 maggio 2012

Per non dimenticare

Ieri commentavo su comedonchisciotte.org un articolo sui suicidi degli imprenditori, dove non si mostrava nessuna pietà o pena per persone che avrebbero sfruttato i lavoratori, non rispettato le norme di sicurezza. L'articolo, che ho letto fino a un certo punto, mi ha indisposto perchè quando sono stato
imprenditore, se per imprenditore si intende chi effettua forniture o chi ha un negozio, ho sempre pagato fino all'ultima lira il dovuto, ho sempre dotato gli operai di scale di sicurezza e tutto ciò che era ed è ritenuto necessario per la sicurezza. Mi è stato detto, tra le righe e mai riferendosi ai miei commenti, che avrei compiuto lo stretto necessario: ovviamente come imprenditore sono sempre andato oltre, interessandomi dei miei collaboratori, dandogli le dritte e cercando di aiutarli sia economicamente, con extra, sia per questioni personali o familiari. Ma anche questo non viene riconosciuto come merito. Chi ha scritto e sopratutto chi ha commentato,in maniera opposta alla mia, il post aveva i paraocchi: nel senso che vedeva l'imprenditore come un cane o meglio come un aguzzino, intento a controllare se uno va in bagno e quanto ci rimane, o come uno che vieta la pausa caffè o che impedisce di sgranchirsi le gambe o prendere aria. Sarebbe come se avessi scritto che gli operai sono dei piantagrane, che rubano di nascosto in azienda, che aumentano le ore di straordinario, che impiegano più tempo del dovuto per valorizzare e giustificare la propria presenza. Ma non è così: così come a me sono spariti attrezzi o pezzi di mobili, ricambi eccetera, ci sono di sicuro imprenditori carogne che sono fiscali fino a controllare quanto dura una pisciata, e di sicuro sono quelli che comprano la carta igienica monovelo, che non si usa più nemmeno nelle stazioni ferroviarie o nei treni (dove forse non c'è).So bene che ci sono operai che arrivano in ritardo, e so che possono avere giustificazioni valide, così come ci sono quelli che alle 13 precise vanno via: ma ciò non vuol dire che devo far viaggiare i miei operai, i miei collaboratori con i miei mezzi non sicuri, con le gomme consumate o senza olio freni. Ritengo che debba esserci collaborazione: ho sempre sostenuto che se uno dovesse lavorare con me, nella mia azienda (quando l'avevo, logicamente), doveva non dico esserne fiero ma almeno contento. Ho sempre aiutato,quando è stato possibile o quando mi è stato anche chiesto consiglio, le persone a "fare il salto qualitativo": un bravo ragioniere, per esempio, è riuscito a mettersi in proprio. E non oggi ma a fine anni 80 e ancora ,per sua fortuna, lavora con la proprio azienda: quindi non è fallito, ma prosegue abbastanza bene la propria strada. Idem per un venditore, cui sempre a fine anni 80 ho presentato un agente anziano (che operava in un settore diverso dal mio) e che ricercava un "delfino", un erede: col tempo ha preso il posto del "vecchio collega". Questo deve fare una persona , sia essa imprenditore o altro: dare una mano. Se invece si insinua nel cervello di chi legge la certezza che gli imprenditori sono tutti dei figli di puttana, credo sia sbagliato: non penso sia neanche giusto citare i casi di furti da parte dei propri dipendenti in azienda, perchè così si generalizza e si tende a creare l'equazione dipendente uguale ladro. Si è arrivati,nei commenti, a definire falliti ,come persone oltre che come imprenditori, coloro che stanno economicamente peggio dei propri dipendenti e a sostenere che siccome non si riesce più a mantenere un elevato tenore di vita,allora preso dallo sconforto uno decide di uccidersi: invece , potrebbe continuare a vivere come fanno i suoi operai e dipendenti. E' proprio un diverso modo di intendere la vita e il lavoro. 

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