articolo di Gerolamo Di Michele www.carmillaonline.com visto su megachip.info
1. Nel maggio 1967, quando viene pubblicata la Lettera a una professoressa,
quasi due terzi degli italiani – il 63%, per l'esattezza – non sono in
grado di riassumere un articolo di giornale dopo averlo letto, e più
della metà – il 52% – è incapace di applicare nella realtà quotidiana le
nozioni di base della matematica. La capacità di comprendere un testo
complesso – un romanzo, un articolo di approfondimento corredato da
tabelle e cifre – era limitata all'1.9% della popolazione, compresa
quella scolarizzata. Mi sembra un quadro eloquente di cos'era
l'analfabetismo ai tempi di quella scuola pre-sessantottarda tanto
citata, come esempio positivo, da chi si riempie la bocca di stronzate.
Nei 30 anni che sono
seguiti al fatale 1968, la percentuale di analfabeti di ritorno è scesa a
poco più del 20% degli scolarizzati, e quella di cittadini attivi,
dotati degli indispensabili strumenti per comprendere il mondo ed essere
attivi nell'esercizio dei diritti, è salita al di sopra del 10%. Lo
ricordo a chi si riempie la bocca con il mantra degli insegnanti che non
vogliono farsi valutare: sono questi dati il vero test di valutazione
della scuola. E ricordo che stiamo parlando non di risultati rilevati
all'uscita dalla scuola, ma di competenze e capacità che si sedimentano
nella società attraverso gli anni. Questa è la colpa della
scuola italiana: aver combattuto la battaglia di don Milani contro una
scuola di classe, cinghia di trasmissione e di assoggettamento del
potere e del sapere dominanti. Quando la scuola italiana ha cominciato a
scalfire questo dispositivo, sono iniziati gli attacchi alla scuola
pubblica.
2. Il neo-sottosegretario all'Istruzione Rossi Doria
ha rilasciato inequivoche dichiarazioni sui test INVALSI. La più
sconcertante è quella del consenso: appena il 5% delle scuola si sono
dichiarate contrarie ai test di valutazione. Forse il sottosegretario
Rossi Doria ignora che quel 5% è la percentuale delle scuole che sono
riuscite, nonostante tutto, a esprimersi sui test di valutazione: perché
alla quasi totalità degli insegnanti è stata impedita la libera
espressione sul proprio luogo di lavoro, sancita dall'articolo 1 dello
Statuto dei Lavoratori.
Attraverso le circolari-bavaglio,
cioè con un mero atto amministrativo, si è impedito l'esercizio di un
diritto costituzionale regolamentato da una legge dello Stato: e quando
le circolari-bavaglio non bastavano, si è ricorso a ben altri strumenti.
Ad esempio, un'altra circolare riservata del dottor Limina,
dirigente scolastico regionale dell'Emilia-Romagna, con cui si
sollecitava il monitoraggio dei siti e dei blog che si occupano di
scuola. Ad esempio, il decreto-Brunetta che ha riformato in senso
autoritario il ruolo dei dirigenti.
In questo modo, la scuola
pubblica è stata usata come laboratorio, non a caso assieme alla FIAT,
per sperimentare quel processo di decostituzionalizzazione
– di sostituzione dei diritti sanciti dalle costituzioni formali con
atti amministrativi fondati su una logica sedicente efficentista e
funzionale – che trova in Italia, così come in Grecia e in Spagna, la
sua logica evoluzione nel commissariamento della volontà popolare e
nella rivoluzione dall'alto, ovvero nella dittatura commissaria
esercitata dalla BCE sui paesi travolti dalla crisi del capitale
finanziario.
La priorità del
sottosegretario Rossi Doria sembra essere quella di dimostrare che il
suo ruolo non è quello della foglia di fico che nasconde le vergogne
dell'ascesa di Elena Ugolini, quinta colonna di Comunione e Liberazione all'interno del sistema di istruzione,
al sottosegretariato: Rossi Doria tiene a dimostrare di essere
organicamente inserito all'interno dei governo dei cosiddetti tecnici
incaricato di portare a compimento quel disegno di devastazione e
svendita dell'istruzione pubblica che la precedente maggioranza non era
in grado di garantire.
3. I test di valutazione, dunque. Attraverso i quali la
complessità della didattica e dei processi di apprendimento viene
ridotta a una sequenza di crocette, al ritmo di una al minuto.
La didattica e l'apprendimento hanno il loro fondamento nello spirito
critico; nella capacità di riflessione; nel saper riconoscere i propri
errori e nel maturare un'adeguata capacità di autocritica; nella
cooperazione attiva tra studenti, docenti, e tra questi e quelli;
nell'approccio pluridisciplinare; nella pari dignità di tutte le materie
e di tutti gli ambiti disciplinari.
Nulla di tutto questo è passibile di misurazione con i test a crocette. Come scrive Chris Hedges [http://www.carmillaonline.com/archives/2012/03/004228.html#004228],
«il superamento di test a scelta multipla celebra e premia una forma
peculiare di intelligenza analitica, apprezzato dai gestori e dalle
imprese del settore finanziario che non vogliono che dipendenti pongano
domande scomode o verifichino le strutture e gli assiomi esistenti:
vogliono che essi servano il sistema. Questi test creano uomini e
donne che sanno leggere e far di conto quanto basta per occupare posti
di lavoro relativi a funzioni e servizi elementari. I test
esaltano quelli che hanno i mezzi finanziari per prepararsi ad essi,
premiano quelli che rispettano le regole, memorizzano le formule e
mostrano deferenza all’autorità. I ribelli, gli artisti, i pensatori
indipendenti, gli eccentrici e gli iconoclasti – quelli che pensano con
la propria testa – sono estirpati».
4. A chi giova questo stato di cose?
Scrive ancora Chris Hedges: «Una nazione che distrugge il proprio
sistema educativo, degrada la sua informazione pubblica, smantella le
proprie librerie pubbliche e destina le proprie onde radio a un
intrattenimento stupido e dozzinale, diventa [come il Tommy del musical
degli Who] cieca, sorda e muta. Stima i punteggi nei test più
del pensiero critico e dell’istruzione, celebra l’addestramento
meccanico al lavoro e la singola, amorale abilità nel far soldi. Sforna
prodotti umani rachitici, privi della capacità e del vocabolario per
contrastare gli assiomi e le strutture dello stato-azienda, e li
incanala in una casta di gestori di droni e di sistemi. Trasforma uno Stato democratico in un sistema feudale di padroni e servi delle imprese».
La scuola che viene è una
scuola classista, nella quale solo una piccola parte di studenti,
provenienti dall'attuale classe dirigente e destinati ad essere la
classe dirigente del futuro, potrà permettersi l'acquisizione di quegli
strumenti critici che la scuola non riuscirà più a fornire. I dati delle
iscrizioni scolastiche sono un primo campanello di allarme: aumentano
le iscrizioni agli Istituti tecnici, che pure sono progressivamente
declassati ad Istituti professionali di fatto, da parte di studenti che
non hanno nel proprio orizzonte la prosecuzione degli studi.
Che tipo di lavoro aspetta – posto che ce ne sia all'orizzonte – questi studenti?
Senza le competenze per leggere, comprendere e interpretare i contratti
di lavoro, ben più complessi e tortuosi di quel contratto nazionale dei
metalmeccanici la cui comprensione don Milani intendeva come
imprescindibile competenza di lettura, parte di loro sarà soggetto
docile e disciplinato, flessibile e flexicurizzabile, come Marchionne,
Marcegallia & gli Ichino Brothers desiderano. Il resto – e con loro i
figli dei migranti scivolati rapidamente dalla formazione professionale
al mondo del lavoro – avrà come orizzonte il lavoro in nero nei
cantieri edili controllati dai consorzi camorristici e ndranghetini: se
non sei in grado di comprendere un contratto di lavoro, perché fare la
fatica di firmarlo? Lavoreranno al traino della produzione di valore
finanziario attraverso opere il cui solo utile è l'accumulazione e la
circolazione di capitale, nelle cui maglie si risciacqua il nero
dell'usura, dello spaccio e dell'estorsione; senza alcuna consapevolezza
del danno sociale che cementificazioni e traforazioni selvagge prima
ancora che inutili andranno a provocare.
5. Quanto alle macerie del sistema-istruzione, esse saranno just in time
raccolte e riutilizzate dalla lobby della Compagnia delle Opere alias
Comunione e Liberazione, che procede spedita nella sua campagna di
infiltrazione dei gangli vitali della società. Non tarderà molto un
convegno sull'emergenza educativa promosso, ipotizziamo, dall'ex
Miglio-boy Ornaghi, con le autorevoli presenze di Elena Ugolini e del
neo presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, tutti firmatari
dell'appello ciellino del 2005 "Se ci fosse una educazione del popolo
tutti starebbero meglio".
Nessun linguaggio è innocente,
scrive il mio amico Gianni Biondillo: dietro questa frase banale come
un "amico di Maria" c'è un preciso messaggio, c'è un'intera visione del
mondo. Un mondo nel quale non la plurale e moltitudinaria
autonomia critica, ma l'uniformità all'interno della norma e della legge
dominante di un popolo è soggetta, cioè assoggettata, a un'educazione
calata dall'alto e presentata come impermeabile alla critica e alla
messa in discussione in quanto pretesa testimone di verità: è la scuola-parrocchia, degno complemento della scuola-azienda, nella quale il buon pastore conduce le greggi. E del resto, se lo chiamano gregge un motivo ci sarà.
6. Si vuole quindi
completare, col silenzio-assenso di una sinistra parlamentare che quando
non è complice connivente è silenziosamente assente, un disegno
iniziato quarant'anni fa. Quarantanni nel corso dei quali – mi prendo la
libertà di citarmi – «ci è stato insegnato che le parole servono per
litigare, non per intendersi. In questi quarant’anni è stata messa
all’opera ogni sorta di strategia retorica, comunicativa, discorsiva per
avvelenare la capacità di giudizio, la stessa facoltà di ragionare di
una nazione.
Basta pensare alla televisione:
alla sostituzione dell’informazione e dell’inchiesta con la telerissa,
dei programmi educativi con programmi soft-porno; i cosiddetti reality
educano a «nominare», cioè a discriminare ed escludere, e insegnano che
l’unico modo per stare insieme è in una classifica nella quale uno
vince, e gli altri perdono; i quiz educano a considerare la cultura come
una domanda elementare la cui risposta è solo Sì/No; il culto di santi
miracolosi, la moltiplicazione delle madonne piangenti, l’orgia di
misteri ed eventi inspiegabili si abbatte come l’onda di un maremoto
sullo spettatore, persuaso a una fede nell’irrazionale che contrasta con
l’idea che cultura e intelligenza rendano l’uomo libero perché
autonomo.
Questa
proliferazione di discorsi, di comportamenti, di strategie persuasive ha
minato alla base la capacità di autonomia, di ragione, di coesione
della società italiana. Ha favorito la nascita di una
generazione di individui passivi, pavidi e paurosi; uomini e donne che
si percepiscono impotenti e affidano le proprie sorti ai miracoli, poco
importa se politici o religiosi. Ha sostituito l’etica con i
gratta-e-vinci, la verifica dei fatti con la cieca fiducia. È persino
ammirevole il modo in cui le parole si siano poco a poco trasformate in
pratiche, come abbiano dapprima insensibilmente, poi con sempre maggiore
evidenza modificato l’ordine delle cose. L’ordine di questi discorsi è
coerente con l’ordine delle cose che si è imposto dagli anni Ottanta:
cinismo, arrivismo, individualismo, ignoranza.
Siamo arrivati alla
glorificazione di un manigoldo che, prima ancora di incassare tangenti,
ha rubato gli ideali e i valori di un secolo: che ha tradito milioni di
uomini e donne – a partire dai miei genitori – che credevano
nell’uguaglianza, nella giustizia, nella libertà. Un manigoldo che aveva
una parte del muscolo cardiaco necrotizzata: probabilmente la sede
della coscienza morale e dei valori etici. Oggi gli si dedicano strade,
forse domani qualche scuola: un Liceo Bettino Craxi prenderà il posto
delle scuole intitolate a Sandro Pertini».
7. Questa è la posta in gioco, e contro tutto questo è necessario, urgente, indispensabile alzare la voce, e non solo quella.
Viviamo in uno strano paese, dove se capita che un ragazzo con una
felpa nera rompa per rabbia la vetrina di una banca si scatena il
finimondo, con condanne unanimi e bypartisan: ma nessuno, a quanto pare,
s'indigna se non contro una lastra di vetro, ma contro la coscienza
morale e civile della nazione, contro il diritto all'istruzione, al
libero pensiero, al futuro vengono lanciate quelle autentiche bottiglie
molotov che sono le politiche scolastiche degli ultimi anni.
Alla scuola si vuol fare ciò che si vuol fare alla Val di Susa:
e in difesa della scuola dobbiamo utilizzare ogni mezzo necessario,
prendendo esempio dalla resistenza dei valsusini, dalla loro capacità di
contagio, dalla loro determinazione. Forse dovremo imparare anche noi a
scalare i tralicci. Per citare ancora don Milani: «Ecco dunque l'unica
cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di
Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente
non chi è in basso, ma chi mira basso. Rinceffargli ogni giorno la sua
vuotezza; la sua miseria, la sua inutilità, la sua incoerenza. Star sui
coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo.
Rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili a tutti quelli che non
vogliono aprire gli occhi sulla luce».
Le alte cariche dello
Stato, i politici, i conduttori televisivi, gli editorialisti di
"Repubblica" e del "Corriere" ci toglieranno l'amicizia su facebook:
pazienza. Quando ti hanno rubato il presente, e col presente anche il
futuro, con l'amicizia degli ipocriti ti ci puoi pulire il culo.
*Il testo rappresenta le linee generali dell'intervento che Girolamo De Michele, in occasione dell'evento L’urlo della scuola terrà alla Convenzione nazionale per la scuola Bene Comune pubblica, capace, accogliente.
Fonte: http://www.carmillaonline.com/archives/2012/03/004237.html#004237
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