martedì 18 giugno 2019

Italia. Tribunali, Tempi dei procedimenti. Ere geologiche.

Giuseppe Sandro Mela.

2019-06-18.

Giustizia 101

La giustizia ai tempi dell’Impero Romano poteva avere molti difetti, ma non certo l’inedia.

Arrestato il giovedì, il Cristo andò a processo il venerdì mattina e quindi la sentenza fu eseguita immediatamente. Non stavano con le mani in mano.

Il tempo che intercorre tra il deposito delle accuse e l’emissione della sentenza di primo grado è un segno tangibile e facilmente misurabile della efficienza di un sistema giudiziario, cui però dovrebbero essere aggiunti il tempo necessario per addivenire alla sentenza di secondo grado, oltre a quello per l’eventuale ricorso in Cassazione.

L’articolo 27 della Costituzione dovrebbe essere chiaro:

«L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.»

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Gli atti d’indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

Nei fatti, essendo oramai tutto pubblico, l’imputato è soggetto ad un pressing mediatico che spesso arriva al livello di un vero e proprio linciaggio. Non solo, al solo avviso di reato persone di alcune categorie, quali i politici, i medici, etc, sono spesso sospesi dal lavoro, quando poi non siano anche licenziati.

Un solo avviso di reato e tempi lunghi per arrivare a sentenza sono ingredienti micidiali di un tritacarne dei nemici politici.

Un caso per tutti: Calogero Mannino si ritrovò la sentenza di assoluzione ventiquattro anni dopo le prime contestazioni.

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Senza voler scendere nei dettagli, un nodo severo consta nel magistrato che per primo tratta la denuncia, che ha il potere di archiviare o di far procedere l’iter. Una gran parte di accuse che approdano nei tribunali avrebbero dovuto essere archiviate, ma per far ciò sarebbe stato necessario essere onesti, competenti e responsabili. Sarebbe sufficiente pensare a cosa stia succedendo nel Consiglio Superiore dell Magistratura per capire come questa sia merce ben rara.

Un capitolo a parte verte sulle spese, grosso modo ripartibili in spese di giudizio e spese per gli avvocati.

Gli onorari degli avvocati sono parte consistente delle spese legali in generale.

Si constata come in sentenza il giudice possa indicarne l’ammontare, che però nei fatti è solo ben misera parte del versato.

Similmente si potrebbe dire per le spese giudiziarie, anche esse lasciate al parere del giudice.

In molti paesi, ivi compresi quelli europei, chi depositasse una denuncia dovrebbe lasciare un sostanzioso diritto e, nel caso poi che soccombesse, i giudici gli addebitano costi pieni e penali.

A parte il discorso sulla intrinseca giustizia di questi atti, porgere denuncia e poi soccombere in giudizio costituisce in molti paesi un deterrente micidiale a scremare le cause fin dagli inizi.

Si pensi solo a tutto il contenzioso condominiale, che costituisce parte significativa del peso giudiziario nazionale. La stragrande maggioranza dei casi verte cifre irrisorie, questioni di principio che nascondono rancori personali e problemi giuridicamente inesistenti. Se per tale categoria di atti giudiziari il soccombente si trovasse a dover pagare centomila euro di spese giudiziarie tutto questo contenzioso svanirebbe come neve al sole, con grande dolore per i molti avvocati che vi vivono sopra.

Non a caso stiamo assistendo ad un nuovo mercato o meglio mercimonio. Tizio denuncia Caio al solo fine di transare poi una cifra minore di quelle che sarebbero le spese legali per la difesa: in altri tempi ciò era definito essere un ricatto.

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«Nel 2010 siamo stati ultimi tra tutti i membri Ocse in quanto al tempo necessario per chiudere una causa civile: 564 giorni rispetto ai 238 degli altri paesi»

«Giorni che diventavano in appello 1.113, contro una media Ocse di 236, e 1.188 in Cassazione, per un totale stratosferico di 2.866 giorni»

«La media degli altri Paesi industrializzati era di 788 giorni.»

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Che dire?

Un’ultima cosa ci sarebbe, ma non la si può dire.

La situazione migliorerebbe molto se i magistrati lavorassero, ma questo sarebbe chieder troppo.

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Su questo argomento è uscito di recente un ottimo articolo che riportiamo a seguito.

La classifica ragionata dei peggiori tribunali d’Italia.

I dati della Giustizia. A Patti 4 anni solo per smaltire l’arretrato. Disastro Napoli

La lentezza dei processi, in particolare quelli civili, è nella top 5 dei motivi per i quali la giustizia italiana non funziona.

Ecco la classifica dei peggiori tribunali

Ma cosa intendiamo per lentezza? Di cosa stiamo parlando? Innanzitutto della durata dei procedimenti civili in termini di giorni. Nel 2010 siamo stati ultimi tra tutti i membri Ocse in quanto al tempo necessario per chiudere una causa civile: 564 giorni rispetto ai 238 degli altri paesi. Giorni che diventavano in appello 1.113, contro una media Ocse di 236, e 1.188 in Cassazione, per un totale stratosferico di 2.866 giorni. La media degli altri Paesi industrializzati era di 788 giorni.

Gli indicatori dell’efficienza dei tribunali

I dati ora sono migliorati, ma dal monitoraggio effettuato dal Ministero della Giustizia emerge, per quanto riguarda la giustizia civile, un enorme divario tra tribunali del Nord e del Sud, qualunque sia l’indice che si utilizza.

Per il suo studio il Ministero della Giustizia ha usato gli stessi indicatori utilizzati a livello internazionale, per misurare le performances dei tribunali. Il primo è chiamato “Disposition Time”, ovvero i giorni necessari all’esaurimento degli stock di procedimenti pendenti nel caso in cui non sopravvenissero nuove iscrizioni.

Il secondo si chiama “Clearance Rate”, che misura il rapporto tra procedimenti definiti e procedimenti nuovi.

Infine il terzo è l’”Indicatore di sforzo”: l’incremento percentuale di procedimenti definiti necessario per raggiungere l’obiettivo teorico dell’esaurimento dello stock delle pendenze in un arco di tempo prestabilito, tenendo anche conto dei flussi dei nuovi procedimenti. Di fatto unifica i precedenti indici e aiuta a capire perché la giustizia italiana è in preda ad una cronica inefficienza. Ora possiamo vedere la classifica dei peggiori tribunali italiani.

Enormi i divari tra Nord e Sud

Ebbene, analizzando la classifica dei peggiori tribunali d’Italia in base al “Disposition Time” si scopre che  ci vogliono 16 posizioni prima di trovare un tribunale che non sia del Sud, e si tratta di quello di Latina. Bisogna scendere di 50 posizioni, su 140, prima di incontrare un tribunale del Nord, quello di Vicenza, come mostra il grafico sopra.

Al primo posto nella classifica dei peggiori tribunali del Paese in base al “Disposition Time”, c’è Patti, in Sicilia dove, anche senza nuovi casi, ci vorrebbero 1.193 giorni per smaltire il pendente. Di fatto un tribunale fallito. E questo nonostante sia piccolo e i procedimenti iscritti, 7.871 nel 2015, non siano stati superiori alla media nazionale.

A Vallo della Lucania ci vorrebbero invece 1.037 giorni, che paragonati ai 118 di Aosta e ai 152 di Rovereto danno l’idea dell’enorme differenza tra Nord e Sud.

Globalmente rispetto a due anni prima questo indice è calato in media di 7 giorni, la riduzione però non è stata uniforme. Per esempio: a Patti c’è stato un aumento percentuale del 45% circa, così come a Vallo della Lucania.

Aumenti e cali distribuiti a macchia di leopardo, con un’importante diminuzione, – 53,1% dei giorni di “Dispostition Time” nel grande tribunale di Napoli Nord che gestisce una buona fetta della giustizia in Campania.

Napoli Nord funziona ma non abbastanza

Anche per quanto riguarda il “Clearance Rate” il Sud guida la classifica dei peggiori tribunali d’Italia, con Napoli Nord, che, come mostra il grafico sotto, nonostante il recupero di efficienza del 2015 con circa 7 mila procedimenti definiti in più (21.446 contro 14.445) rispetto all’anno prima, vede solo al 68% la percentuale di questi su quelli nuovi.

Tra i 22 tribunali in cui questo indicatore è risultato inferiore a 100, ovvero le strutture dove si sono accumulati arretrati perché vi sono stati più procedimenti nuovi di quelli conclusi, 16 sono del Sud, in particolare si tratta dei tribunali di Sicilia, Calabria e Campania.

Se vogliamo trovare un elemento confortante vi è il fatto che i tribunali più virtuosi come rapporto tra casi definiti e nuovi sono al Sud. Per la precisioni: Foggia, Isernia e Lamezia Terme, dove si sono raggiunti tassi del 133%, 139% e 145% nel “Clearance Rate”.

L’indice rispetto al 2013 è comunque migliorato del 8%, anche in questo caso con grandi variazioni tra zona e zona, anche in territori attigui, soprattutto al Sud.

Accanto a grandi miglioramenti come quello di Napoli Nord (+45%, ma partiva da livelli veramente tragici) vi sono stati i peggioramenti di Catanzaro, Patti, Gela (tutti sopra il 20%).

Vercelli, Ferrara e Aosta potrebbero anche rallentare nella definizione dei procedimenti e sarebbero ugualmente in equilibrio.

Che lo sforzo sia con voi

Nel complesso, però, l’”Indicatore di sforzo” è quello più completo, perché misura di quanto dovrebbe aumentare il numero di procedimenti definiti per raggiungere la parità con quelli pendenti entro 3 anni.

Ebbene, tra i tribunali con le percentuali più alte di sforzo necessario vi sono stati sempre quelli del Mezzogiorno. Ancora una volta Patti, Vallo della Lucania, Barcellona Pozzo di Gotto sono stati in testa.

A Patti si dovrebbe quasi raddoppiare il numero di procedimenti definiti per raggiungere l’equilibrio con quelli nuovi. Una sfida chiaramente impossibile. E il contrasto è netto con i tribunali come il palazzo di giustizia di Milano: a quest’ultimo basterebbe per raggiungere lo scopo un aumento di appena l’1%.

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