venerdì 24 gennaio 2014

Rocker in tribunale. Ecco le faide epocali

L’ego delle rock­star è l’ingrediente segreto che crea l’alchimia della grande musica. Ma è anche la scin­tilla che fa esplo­dere duris­simi con­tra­sti all’interno delle rock band che por­tano non solo a litigi vio­lenti, ma anche a lun­ghis­sime e costo­sis­sime lotte legali. I com­pa­gni che hanno con­di­viso tante avven­ture musi­cali e tanti tour, pos­sono improv­vi­sa­mente per diver­genze crea­tive o per­so­nali, tro­vasi l’uno di fronte all’altro in tri­bu­nale per con­ten­dersi il nome del gruppo e lot­tare per spar­tirsi un’eredità arti­stica. E chi pensa che i divi siano pieni di soldi, dovrebbe vedere le dichia­ra­zioni dei red­diti dei loro avvocati.

THE PLATTERS

Agli inizi dell’era pop-rock alcuni gruppi erano for­ma­zioni di arti­sti assem­blate per can­tare can­zoni scritte su misura per un mer­cato gio­va­nile che si stava espan­dendo sem­pre di più. Uno di que­sti ensem­ble erano i Plat­ters che nel periodo 1955–1967 riu­sci­rono a piaz­zare nelle clas­si­fi­che di ven­dita più di 40 sin­goli, tra cui i brani clas­sici Only You e The great pre­ten­der. La line-up ebbe innu­me­re­voli cambi di orga­nico, ma la voce più rico­no­sciuta era quella di Tony Wil­liams, men­tre il vero lea­der era il pro­dut­tore e autore musi­cale Buck Ram, uno dei pro­ta­go­ni­sti della scena disco­gra­fica di que­gli anni. Le lotte legali ini­zia­rono pro­prio quando, nel 1960, Wil­liams decise di lasciare il gruppo per diven­tare soli­sta e la casa disco­gra­fica, la Mer­cury, si rifiutò di pub­bli­care altro mate­riale senza di lui, susci­tando le ire di Ram che ricorse ai tri­bu­nali. Da quel momento la sto­ria dei Plat­ters è carat­te­riz­zata da miriadi di dispute giu­di­zia­rie e da una infi­nita serie di for­ma­zioni cloni che si sono con­tese il nome. Nel corso dei decenni si è arri­vati ad avere almeno una decina di Plat­ters diversi, dai Buck Ram Plat­ters (gui­dati dal pro­dut­tore), agli Ori­gi­nal Plat­ters fino a The Inter­na­tio­nal Plat­ters in cui ritornò a mili­tare Wil­liams. Insomma chi ci capi­sce è bravo. Pare che a tutt’oggi ci siano ancora in giro per il mondo 4 Plat­ters diversi, a dispetto del fatto che Ram e Wil­liams siano morti da più di vent’anni e l’ultimo mem­bro ori­gi­na­rio, Herb Reed, sia scom­parso a 83 anni nel luglio del 2012. Un destino simile ha riguar­dato anche altre band di quell’epoca come i Drif­ters di Under the Boardwalk.

THE BEATLES



I Fab Four sono stati leg­gen­dari da tutti i punti di vista, ma la loro fine non fu esat­ta­mente idil­liaca. Il 31 dicem­bre del 1970 Paul McCart­ney decretò uffi­cial­mente la fine del gruppo por­tando in tri­bu­nale i suoi com­pa­gni e la com­pa­gnia che lui stesso aveva fon­dato, la Apple Corps. I due anni pre­ce­denti erano stati per la band un alter­narsi di litigi e ricon­ci­lia­zioni. Ma quando Paul pub­blicò il suo primo disco soli­sta nell’aprile del 1970, dif­fuse un comu­ni­cato in cui annun­ciava che era fuori dal gruppo. McCart­ney scelse poi anche la via dei tri­bu­nali, ma non tanto con­tro Len­non, Starr e Har­ri­son, ma con­tro l’ingombrante mana­ger Allan Klein, scelto con­tro la sua volontà nel 1969 per rap­pre­sen­tare la band. Klein era un agente spre­giu­di­cato e senza scru­poli. Si era gua­da­gnato la fama negli anni ’60 per essere stato in grado di far otte­nere i con­tratti migliori ai musi­ci­sti e faceva le pulci alle case disco­gra­fi­che impo­nendo ricon­teggi delle royal­ties a favore dei pro­pri clienti. Alla metà degli anni ’60 ini­ziò a lavo­rare con i Rol­ling Sto­nes con cui nego­ziò un nuovo lucroso con­tratto. Paul non si fidava per niente di lui, avrebbe pre­fe­rito che gli affari della band venis­sero gestiti da suo suo­cero, l’avvocato John East­man. Gli altri tre, temendo un trat­ta­mento pre­fe­ren­ziale, anda­rono avanti con la deci­sione di inca­ri­care Klein. McCart­ney decise quindi di andare fino in fondo chie­dendo i conti aggior­nati della Apple Corps, accu­sando Klein di mala gestione e rite­nendo che, non dovendo suo­nare più insieme, il mar­chio Bea­tles andasse sciolto. Nel gen­naio del 1975 i tri­bu­nali misero fine uffi­cial­mente alla sto­ria dei Fab Four. Macca ci aveva visto giu­sto: Klein era non certo un mana­ger fedele, aveva infatti truf­fato gli Sto­nes diven­tando tito­lare all’insaputa di tutti dei diritti d’autore di parte del loro cata­logo degli anni ’60, si inta­scò alcuni dei pro­venti del cele­bre con­certo bene­fico per il Ban­gla­desh orga­niz­zato da George Har­ri­son e nel 1979 fu anche con­dan­nato a due mesi di car­cere per eva­sione fiscale. Anche gli altri Bea­tles fini­rono suc­ces­si­va­mente per fagli causa. McCart­ney ha ricor­dato così in una recente inter­vi­sta quella dolo­rosa disputa legale: «Fu un incubo. Non li odiavo, ma in qual­che modo dovevo sal­vare il mar­chio dei Bea­tles per­ché gli altri tre rischia­vano di but­tare tutto nel cesso. Dissi agli avvo­cati: ‘Voglio far causa a Allen Klein’. Mi dis­sero che non era pos­si­bile, per­ché lui non faceva parte del con­tratto alla base del gruppo e che potevo solo far causa agli altri tre. Ci pen­sai per quat­tro mesi, la cosa mi fece impaz­zire. Ma alla fine l’ho fatto. E la sto­ria mi ha dato ragione».

PINK FLOYD

Roger Waters decise di lasciare i Pink Floyd nel 1985. La regi­stra­zione del con­tro­verso album The Final Cut aveva ormai dan­neg­giato irri­me­dia­bil­mente i rap­porti all’interno della band. Waters, che con­si­de­rava il gruppo ormai una crea­tura al ser­vi­zio dei suoi pro­getti arti­stici, aveva dato il ben­ser­vito al tastie­ri­sta Richard Wright ed era ai ferri corti con Dave Gil­mour, che non apprez­zava né il suo atteg­gia­mento dit­ta­to­riale né le sue osses­sioni. Il lea­der, con il suo addio, avrebbe voluto scri­vere la parola fine alla car­riera del gruppo. Gil­mour si oppose, Waters, come nar­rano le bio­gra­fie, lo minac­ciò dicen­do­gli You never fuc­kin’ do it!. Ne nac­que una lunga bat­ta­glia legale. Intanto nel 1987 il mar­chio Pink Floyd era tor­nato sull’album ‘A Momen­tary Lapse of Rea­son’ crea­tura arti­stica frutto soprat­tutto del lavoro di Dave Gil­mour che deluse forse i fan sto­rici, ma ebbe un grande suc­cesso di ven­dite. Waters era livido. Definì il gruppo ‘una truffa’ e stroncò il disco giu­di­can­dolo una rac­colta di can­zoni ‘povere’ con testi ‘di terza classe’. Arrivò anche a ten­tare di impe­dire il tuor ame­ri­cano della band, minac­ciando cause ai pro­mo­ter e dif­fi­dando gli ex com­pari dall’uso durante i con­certi del maiale volante, un sim­bolo della band che lui aveva ideato. Alla fine la con­tesa legale arrivò a un accordo che pre­ve­deva che Gil­mour e il bat­te­ri­sta Nick Mason pote­vano pro­se­guire a usare il nome del gruppo. Waters man­te­neva i diritti su ‘The Wall’. Wright per ragioni legali rimase un membro-ombra. Ma anche senza il padre padrone, i Pink Floyd con­ser­va­rono un gran­dioso suc­cesso e riu­sci­rono a tenere in vita la loro leg­genda. Il tempo e l’età hanno reso via via la loro riva­lità sem­pre più insi­gni­fi­cante. Il 2 luglio 2005 Waters, Gil­mour, Mason e Wright ritor­na­rono ad esi­birsi insieme per la prima volta in 24 anni a Lon­dra al con­certo bene­fico Live 8 presso Hyde Park. Wright è scom­parso nel 2008. In un’intervista dello scorso set­tem­bre Waters, oggi set­tan­tenne, si è detto pen­tito della dolo­rosa e ran­co­rosa bat­ta­glia legale. Ha dichia­rato: «Loro sba­glia­rono, ma sba­gliai anche io. Ma ormai a chi importa? Alla fine ho dovuto impa­rare una lezione di diritto. Quando andai da loro e dissi ‘Siamo sciolti. I Pink Floyd non esi­stono più’. Loro mi dis­sero ‘Che cosa dici? Non è pos­si­bile farlo. E’ un mar­chio, ha un valore com­mer­ciale. Non può finire di esi­stere’. La legge gli ha dato ragione e la legge è tutto quello che abbiamo. E’ que­sto di cui parla The Wall».

THE DOORS

Il mito dei Doors è cre­sciuto negli anni. Per molti aspetti Jim Mor­ri­son è stato una rock­star più da morto che da vivo. Nel 1981 fece scal­pore la coper­tina di Rol­ling Stone che lo con­sa­crò come il divo del momento: E’ hot, è sexy ed è morto!. Que­sta fama postuma è stata fonte di nume­rose dispute legali circa la pro­prietà del mar­chio della band tra i tre mem­bri super­siti, il tastie­ri­sta Ray Man­za­rek (fon­da­tore della for­ma­zione), il bat­te­ri­sta John Den­smore e il chi­tar­ri­sta Robby Krie­ger. Nel 1970, con Jim ancora vivo, la band siglò un con­tratto che pre­ve­deva che ogni accordo d’affari fosse appro­vato una­ni­me­mente da tutti. La band già allora aveva spe­ri­mento le prime liti interne, infatti la can­zone Light My Fire era diven­tata la colonna sonora di uno spot della casa auto­mo­bi­li­stica Buick, senza che Mor­ri­son avesse dato l’ok. Dopo la morte di Jim, l’accordo sull’unanimità rimase in vigore diven­tando perio­dico ter­reno di scon­tro. I Doors sono tor­nati insieme in varie incar­na­zioni a più riprese e tra mille pole­mi­che. Il ver­detto più recente del tri­bu­nale è datato 2008 quando Man­za­rek e Krie­ger furono rite­nuti col­pe­voli di aver usato senza auto­riz­za­zione il nome Doors per la reu­nion del 2003. Ai tempi i due anda­rono in tour con una nuova band. Alla voce c’era il can­tante dei Cult Ian Ast­bury alle prese con un’imitazione parec­chio riu­scita del grande Jim. «Non potete chia­marvi Doors per­ché non pos­sono esserci i Doors senza Jim Mor­ri­son» fu l’argomentazione di Den­smore che si era escluso dal revi­val. Alla fine si trat­tava di una que­stione di soldi. I con­certi erano andati molto bene incas­sando più di 8 milioni di dol­lari. Il conto sta­bi­lito dal giu­dice fu salato, dap­prima venne proi­bito l’utilizzo del nome senza per­messo a Man­za­rek e Krie­ger che furono di seguito con­dan­nati a sbor­sare 5 milioni di dol­lari in spese legali e risar­ci­menti da ero­gare a Desn­more e ai geni­tori di Mor­ri­son e ai geni­tori di sua moglie Pamela Cour­son (scom­parsa tre anni dopo Jim, nel ‘74). Man­za­rek e Krie­ger con­ti­nua­rono comun­que ad esi­birsi con il nome di Riders on the Storm. Il bat­te­ri­sta Den­smore è sem­pre stato il bastian con­tra­rio del gruppo. Nel 2001 pose il veto sull’uso di Light My Fire in uno sport della Gene­ral Motors, nono­stante i 15 milioni di dol­lari messi sul tavolo dalla casa di auto­mo­bili. Disse anche di no all’utilizzo del mar­chio dei Doors alla Apple per il lan­cio dell’ iPod. Le pole­mi­che oggi non hanno più senso dopo la morte anche di Ray Man­za­rek, scom­parso per un tumore nel mag­gio del 2013.

TALKING HEADS

Le teste par­lanti, pro­ta­go­ni­sti della scena new-wave ame­ri­cana, annun­cia­rono uffi­cial­mente la pro­pria fine nel dicem­bre del 1991. La scelta di farla finita appar­te­neva in gran parte al lea­der David Byrne, ormai orien­tato verso altri pro­getti musi­cali. Qual­che anno dopo però il resto della band (Tina Wey­mouth, Chris Frantz e Jerry Har­ri­son) cercò di ripro­porre il mar­chio Tal­king Heads, rice­vendo però una denun­cia da parte di Byrne. I reduci deci­sero quindi di gio­care sul nome e si chia­ma­rono The Heads e inti­to­la­rono il loro disco di esor­dio No Tal­king, Just Head e reclu­tando come can­tanti un gruppo vario­pinto di guest star tra cui Deb­bie Harry, Andy Par­tridge degli XTC, Gor­don Gano dei Vio­lent Fem­mes, Ed Kowalc­zyk dei Live e Michael Hut­chence degli INXS. «Ho pen­sato – ha spie­gato Byrne – che fra qual­che tempo ci sareb­bero forse stati tutta una serie di dischi con il nome Tal­king Heads e la gente si sarebbe con­fusa su quali dischi fos­sero quelli auten­tici e quali no. Anche se gli altri pos­sono pen­sarla diver­sa­mente, il loro è solo un ten­ta­tivo per incas­sare sul nome dei Tal­king Heads, ma stanno facendo qual­cosa di nuovo. Non è solo il gruppo senza il can­tante, è qual­cosa di diverso e deve avere un nome diverso». Dif­fi­cile dare torto a David. La for­ma­zione da allora si è esi­bita insieme per un’ultima volta. Il 18 marzo 2002 quando i Tal­king Heads diven­nero parte della Rock and Roll Hall of Fame. Ma non ci fu un ritorno di fiamma. «Una reu­nion? E’ scorso troppo san­gue – disse David Byrne -. E poi ora siamo musi­cal­mente troppo distanti». «David è un uomo inca­pace di con­trac­cam­biare un’amicizia– replicò Tina Wey­mouth — e non ha nes­sun amore né per me né per Frantz e Har­ri­son». Teste par­lanti davvero.

BLACK FLAG

Molte band har­d­core punk che negli anni ’80 face­vano fatica a soprav­vi­vere, si sono tro­vate più di vent’anni dopo a essere ormai punti di rife­ri­mento per un’intera nuova gene­ra­zione di gio­vani gruppi e di appas­sio­nati di musica. Que­sto ha dato luogo a una serie infi­nita di lucrosi reu­nion tour che hanno il sapore di revi­val. Tra que­ste band non pote­vano man­care i Black Flag. Sciol­tisi uffi­cial­mente nel 1986, in ter­mini non molto ami­che­voli, erano sem­pre stati una band dalla line-up fluida che girava attorno al mem­bro fon­da­tore, il chi­tar­ri­sta Gregg Ginn. Nel 2013 Ginn ha pen­sato di ripor­tare sulle scene il mar­chio della ban­diera nera, ma si è tro­vato di fronte un’altra reu­nion for­mata da mem­bri che a vario titolo ave­vano mili­tato in pas­sato nella band (Keith Mor­ris, Chuck Duko­w­ski, Dez Cadena, Bill Ste­ven­son). Ginn si è allora pre­mu­rato di con­tat­tare gli avvo­cati che hanno fatto causa ai rivali e, già che c’erano, all’ex-frontman Henry Rol­lins, can­tante che tutti ancora oggi iden­ti­fi­cano con il gruppo, ma ormai lon­tano dalla musica. La causa è ancora in corso, ma quest’estate erano in tour con­tem­po­ra­nea­mente i Black Flag di Gregg Ginn, che aveva ripe­scato uno dei primi can­tanti della band Ron Reyes, e i suoi con­cor­renti, gui­dati da Keith Mor­ris, con il nome Flag. Ginn, noto per non essere certo un per­so­nag­gio acco­mo­dante, ha ben pen­sato anche di pub­bli­care un disco di can­zoni nuove inti­to­lato What The… sono­ra­mente stron­cato da tutti. Non con­tento ha licen­ziato a novem­bre Ron Reyes cer­cando un nuovo can­tante. Rol­lins ha espresso il suo giu­di­zio cau­stico su que­ste reu­nion: «Ci sono gruppi che erano scom­parsi da anni che si sono rimessi insieme e vanno sul palco a suo­nare vin­tage music. Sem­brano in una mis­sione prou­stiana di ricerca del tempo per­duto. Leggo nelle loro inter­vi­ste che pen­sano oggi di essere dav­vero in grado di suo­nare quella musica. Ma que­sto è il pro­blema per quanto mi riguarda. I musi­ci­sti non dovreb­bero suo­nare la musica. E’ la musica che suona i musi­ci­sti». Nella loro sto­ria 20 per­sone si sono alter­nate nei Black Flag, que­sto lasce­rebbe lo spa­zio ad almeno altre due reunion.

DEAD KENNEDYS

Chi volesse appro­fon­dire la sto­ria del punk ame­ri­cano deve forse fare un giro nei tri­bu­nali. Qui sono finiti anche i Dead Ken­ne­dys, eroi della scena cali­for­niana anni’80. La loro prima e ori­gi­na­ria incar­na­zione si sciolse nel 1986, dopo otto anni di bat­ta­glie poli­ti­che e dischi al ful­mi­co­tone. Circa dieci anni dopo la loro fine, tre dei mem­bri ori­gi­nari (East Bay Ray, Klaus Flou­ride e D. H. Peli­gro) si accor­sero che la loro eti­chetta, la Alter­na­tive Ten­ta­cles, li teneva a secco delle royal­ties e dei diritti di ven­dita a bene­fi­cio del lea­der della band Jello Bia­fra, che era anche il padrone della casa disco­gra­fica. Il passo suc­ces­sivo fu la denun­cia. Bia­fra ebbe la peg­gio e venne con­dan­nato per frode e fu costretto a pagare ai suoi ex-compagni più di 200mila dol­lari. Secondo la corte era discu­ti­bile anche il fatto che il can­tante avesse fir­mato tutti i brani della band e rico­nobbe anche agli altri musi­ci­sti i diritti d’autore e i diritti sui vec­chi album della for­ma­zione. La disfatta di Bia­fra fu com­pleta. Nel 2001, i tre musi­ci­sti usciti vit­to­riosi dal pro­cesso deci­sero così di rimet­tere insieme il gruppo e chie­sero a Jello di sot­ter­rare l’ascia di guerra e di rimet­tersi insieme. Bia­fra li mandò a quel paese defi­nen­doli la più avida karaoke band del mondo, invi­tando i vec­chi fan a boi­cot­tarli e a non com­prare più le ristampe dei dischi dei DK. Ha dedi­cato loro anche una can­zone “Those Dumb Punk Kids (Will Buy Any­thing)” (que­gli stu­pidi ragazzi punk com­pre­reb­bero di tutto). I tre super­stiti, nono­stante gli attac­chi del loro ex lea­der, hanno con­ti­nuato a esi­birsi in festi­val in giro per il mondo alter­nando alla voce diversi cantanti.

QUEENSRŸCHE

A cavallo tra gli anni ’80 i Queen­srÿ­che sono stati per un decen­nio una delle band più rispet­tate della scena hard rock e metal. Negli anni ’90 dopo l’esplosione del grunge si tro­va­rono improv­vi­sa­mente con un pub­blico ridotto e senza casa disco­gra­fica. Il loro prin­ci­pale motore arti­stico, il chi­tar­ri­sta Chris De Garmo, decise di lasciare la band e la musica (oggi è pilota di aerei). La band ha pro­se­guito con qual­che alto e molti bassi sotto la guida del can­tante Geoff Tate. Nell’aprile 2012 nella band scop­piò la guerra. I musi­ci­sti del gruppo (il chi­tar­ri­sta Michael Wil­ton, il bas­si­sta Eddie Jack­son, il bat­te­ri­sta Scott Roc­ken­field e il secondo chi­tar­ri­sta Par­ker Lund­gren) deci­sero di orga­niz­zare un vero e pro­prio golpe con­tro Tate accu­sato di gestire l’intera band come un soli­sta. Il lea­der aveva infatti piaz­zato la moglie Susan nel ruolo di mana­ger e la figlia­stra Miranda alla guida del fan club. I com­pa­gni deci­sero di libe­rarsi dal nepo­ti­smo di Tate cac­ciando le due donne. Il can­tante non la prese bene. Aggredì Win­ton e Roc­ken­field tirando loro addosso anche una bat­te­ria. Il tour della band venne can­cel­lato e il gruppo annun­ciò di aver dato il ben­ser­vito al front­man. Tate dal canto suo non accettò la deci­sione e sporse denun­cia in un tri­bu­nale di Seat­tle rite­nendo ingiu­sti­fi­cato il suo licen­zia­mento e pro­cla­man­dosi l’effettivo tito­lare del mar­chio Queen­srÿ­che. La prima deci­sione del tri­bu­nale fu salo­mo­nica. In attesa di un ver­detto, entrambi i con­ten­denti ave­vano diritto all’uso del nome della for­ma­zione. Da quel momento esi­stono due Queen­sÿ­che. Geoff Tate guida una band in cui com­pare solo un ex mem­bro della band, Kelly Gray, che aveva mili­tato bre­ve­mente nel gruppo. Gli altri, sotto la guida di Wil­ton, hanno reclu­tato un nuovo can­tante, Todd La Torre (sosia vocale del loro vec­chio com­pare). Le due band dallo stesso nome nel 2013 hanno pub­bli­cato entrambe un album e sono andate entrambe in tour creando non pochi grat­ta­capi ai fan. I Queen­sÿ­che –Tate hanno dato alle stampe Fre­quency Unk­nown dove le ini­ziali F.U. stanno per un Fuck You rivolto agli ex-amici. I Queen­sÿ­che — La Torre hanno pub­bli­cato un disco omo­nimo. La bat­ta­glia del pub­blico e dei cri­tici l’hanno vinta, per ora, que­sti ultimi, rice­vendo ottime recen­sioni e con­ser­van­dosi la mag­gior fetta dei fan soprav­vis­suti alle loro liti. Ora spet­terà al giu­dice sce­gliere il vero vincitore.

Guido Mari
Fonte: www.ilmanifesto,it
23.01.2014
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=67182#top 

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