Nell’udienza a porte chiuse per il ritualist nigeriano Innocent Oseghale, assassino di Pamela e abile smembratore-macellatore del suo corpo, i giornalisti hanno avuto il permesso di restare in aula. Hanno visto quelle che – con l’immaginifico linguaggio dei cronisti da quattro soldi- ha definito “foto choc”. Punto e basta.
Gli articoli di quel che han visto e sentito dai tre medici legali che hanno parlato e spiegato, sono di poche righe.
Sappiamo che il tossicologo, professor Rino Froldi, ha escluso che Pamela fosse in overdose – come sostiene l’assassino – spiegando che “senza più sangue ed urine” [tutto perfettamente ed accuratamente dilavato e pulito anche con la varechina] ha dovuto anche cercare la sostanza stupefacente nell’umor vitreo dell’occhio”.
Il medico legale Antonio Tombolini, che ha condotto la prima autopsia sul corpo a pezzi, “ha parlato del trattamento con varechina sulla pelle e sui genitali della diciottenne, “finalizzato a cancellare ogni traccia di un precedente rapporto sessuale”. Incidentalmente viene aggiunto che “i genitali sono stati tagliati via” e poi lavati con la varechina.
Il nigeriano sostiene che, appunto, Pamela era già morta quando lui l’ha fatta a pezzi. Invece “il medico legale Mariano Cingolani ha dimostrato che le due coltellate al fegato erano state inferte quando Pamela era viva” – colpendola deliberatamente e con perizia di esperto e sperimentato omicida. “La disarticolazione invece è avvenuta dopo la morte”. Meno male, almeno questo.
Una mano così esperta deve essersi esercitata. Molto
La “disarticolazione” è spiegata molto rapidamente – come sanno essere delicati i colleghi giornalisti – citando pochissime parole de professor Cingolani. “I tagli sono precisi, alla schiena ad esempio all’altezza dei dischi, che sono più elastici. Un’opera molto raffinata: io faccio autopsie da 40 anni e lo avrei fatto in modo analogo». Il professore ha aggiunto che “in Italia non ci sono casi di disarticolazione” prima di questo.
Bisogna cercare articoli di mesi prima per ricordare come il professor Cingolani fosse sorpreso: “Se per assurdo avesse dovuto fare quest’operazione un medico legale, in un laboratorio e con tutti gli strumenti del caso a sua disposizione, ci sarebbero volute almeno otto ore”.
Ora, se il nigeriano è capace di smembrare il corpo di Pamela in modo così raffinato da meravigliare un perito settore che fa autopsie da 40 anni, dovrebbe venire da sé la domanda: quante altre volte l’ha fatto, prima, il negro? Perché deve aver imparato certi segreti del mestiere, come tagliare all’altezza dei dischi perché sono più elastici. Una pratica che comporta altre esercitazioni, su altri corpi. In Nigeria, sicuramente. Ma in Italia, quanti? Quanti altri corpi ha magari fatto a pezzi qui, il negro, per acquistare quella mano e quell’esperienza.
E’ certo che non sono state uccise e tagliate a pezzi altre Pamele? Perché non se lo domandano gli investigatori? Se lo domandano i giudici?
Sopire, troncare, sminuire…
Perché in tuta questa storio orribile sembra aleggiare nell’ambiente di Macerata dove Oseghale era proteto, dove la Caritas gli pagava l’affitto eccetera, un velo protettivo? Perché il GIP, appurato che Oseghale aveva portato i due trolley col corpo da casa sua a qualche chilometro fuori Macerata, ha detto che non c’erano prove che l’avesse uccisa?
Mi sono domandato: se venissi sorpreso io, Maurizio Blondet, mentre porto un cadavere a pezzi in due valige, non sarei immediatamente accusato anche dell’omicidio?
E perché non sono stati i giornali cosiddetti seri e i tg mainstream, ma il settimanale di cronaca nera “Giallo” – un giornalaccio, Dio lo benedica – a raccontare i particolari più importanti che descrivono tutto un ambiente? La storia di “Patrick”, vero nome Mouthong Tchomchoue, del Camerun, tassista abusivo. “Quella sera ha prelevato Oseghale in via Spalato alla 22.55. Il nigeriano è sceso da casa con due trolley che ha voluto personalmente caricare in auto, senza che il “tassista” lo aiutasse. Quindi, gli ha detto di portarlo a Tolentino. Qualche chilometro fuori Macerata, però, Oseghale ha detto all’autista di fermarsi, ha scaricato sul ciglio della strada le due valige e s’è fatto quindi riportare a Macerata in via Spalato”.
Lasciare due grossi e pesanti trolley sul ciglio della strada, non è proprio normale. Infatti Patrick il “tassista” torna lì: per sperare di recuperare qualcosa del contenuto? Secondo il suo stesso racconto, “ha accostato l’auto e aperto uno dei trolley. Ma quando, nel buio e aiutandosi con la luce del cellulare, ha intravisto quella che sembrava essere una mano, è risalito in auto e si è allontanato velocemente”.
Non è andato subito dalla polizia, il camerunese. Quando ha sentito alla tv che un corpo smembrato era stato trovato in due valige, Patrick è tornato sul posto, ha visto gli agenti al lavoro, e solo allora è andato al commissariato a raccontare l’accaduto della notte. Non voleva guai? Aveva paura di Oseghale? Semplicemente, se ne infischia? O magari non è poi così insolito, nei dintorni di Macerata, trovare valige sui cigli con dentro altre Pamele?
Già. Se l’è chiesto anche l’avvocato Marco Valerio Verni, che è lo zio di Pamela oltre che il legale della famiglia Mastropietro: “Perché lasciare i trolley con i suoi resti sul ciglio della strada, dove chiunque li poteva vedere?”. Oseghale li ha lasciati lì perché qualcun altro sarebbe dovuto passare a prenderli e poi così non è stato? Oppure, si tratta di un avvertimento a qualcuno? E nel caso, a chi?”. Domande – ha scritto Libero – che suggeriscono il sospetto da parte di Verni che in realtà la vicenda non sia chiusa qui per quanto riguarda il numero di persone coinvolte, e che ci siano altre persone che quantomeno erano informate di quel che è accaduto in quell’appartamento di Macerata”.
Il camerunese ha testimoniato “che durante il viaggio d’andata con le valige, Oseghale ha fatto una telefonata in inglese, mentre sulla via del ritorno a Macerata dopo aver lasciato le valige ha parlato, sempre al telefono, con una donna”. Sarà stata identificata quella donna? E quello con cui parlava in inglese?
Perché in questo orrore sembra siano in atto sforzi per restringere, limitare al mero necessario l’indagine e i coinvolti, anziché allargare l’inchiesta? E’ certo che Oseghale si vanta di essere il capo della mafia nigeriana, setta Black Cat, e in carcere al compagno di cella (informatore della polizia) ha promesso: : “Ti do centomila euro se testimoni che sai che Pamela è morta di overdose. I soldi arriveranno da Castelvolturno, tramite gli avvocati”».
Magari a Castelvolturno ci sono altri specialisti della disarticolazione? Altre Pamele fatte a pezzi? Perché la tecnica raffinata di Oseghale dice che l’ha già fatto, e tante volte. Perché non si ha urgenza di sapere quante? Perché a Castelvolturno i nigeriani “sotto gli occhi di tutti, gestiscono soldi, prostituzione, armi, droga e, secondo alcuni, anche il traffico di organi”? Organi?
Non vorrei che questa restrizione mentale degli inquirenti, questa laconicità e riduzione del processo al solo Oseghale per un solo omicidio-smembramento, mentre la sua perizia ci dice che ne ha fatto chissà quanti altri, dipenda dal voler nascondere all’opinione pubblica la dimensione enorme e mostruosa del fenomeno – perché il fenomeno l’hanno importato i governi Renzi e Gentiloni, e perché si sa, gli italiani “sono razzisti” , “anti-immigrati”, e non devono essere eccitati in questi loro negativi sentimenti. Mi viene questa idea, perché abbiamo tutti visto lo sforzo enorme dei progressisti che controllano tv, radio e giornali, di imporre un linguaggio, come dire?, castigato e politicante corretto non dare adito a “percezioni” deplorevoli negli italiani fon troppo inclini al razzismo – e perciò a votare Salvini.
Dico questo perché secondo un noto giornalista radio-televisivo, la tentata strage dei 51 bambini doveva essere raccontata così: “Autista squilibrato crea code sulla Paullese. Non altro”, essendo la notizia vera da diffondere “il nostro ministro dell’Interno è razzista”.
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