lunedì 25 marzo 2013

La rottamazione dell'Europa

di Ida Magli
(Tratto dal libro “Dopo l’Occidente”,  Ed. BUR. Maggio 2012)
….Quali caratteristiche presenterà quella parte geografica del mondo che corrisponde all’Europa, in particolare all’Europa d’Occidente , verso la metà del 2.000? SI può affermare con quasi assoluta certezza che la cultura che oggi siamo soliti indicare con il nome di “occidentale” e che la caratterizza, sarà quasi del tutto scomparsa.
Si può anche presumere che il processo di estinzione avverrà molto rapidamente. Il motivo è evidente: le culture vivono attraverso gli uomini che ne sono portatori.
Verso il 2050 l’Europa sarà abitata da un gran numero di Africani insieme a gruppi di media consistenza di Cinesi e di Mediorientali a causa della continua e massiccia immigrazione dall’Africa e dall’Oriente e dal’altissima prolificità di queste popolazioni, superiore in genere di almeno 5 volte a quella degli Europei.
Il 1° Gennaio del 2012 tutti i giornalisti hanno gridato di esultanza perché i primi nati in Italia durante la notte di Capodanno erano stranieri: un dato di fatto sufficiente a far capire quale sia il destino dell’Italia e dell’Europa: la scomparsa dell’italianità e la fine degli Europei è già in atto.  Tanto più poi la fine è assicurata perché i governanti ed i loro sacerdoti -giornalisti ne godono. Come ho già rilevato più volte, è questo il segno più sicuro. Ci troviamo nella paradossale situazione in cui il medico è felice che i suoi pazienti muoiano e vi contribuisce attivamente esortandoli a fare presto.

La morte dell’Italia è già in atto soprattutto per questo: perché nessuno combatte per farla vivere; persino perché nessuno la piange. E’ contro natura, contro la realtà dei sentimenti umani , ma è così: stiamo morendo nel tripudio generale, con una specie di suicidio “felicemente assistito” dai nostri stessi leader, governanti e giornalisti.  Non per nulla l’idea del suicidio assistito è nata in Occidente.
Le cifre sull’incremento demografico europeo sono abbastanza diverse passando da una Nazione all’altra (di solito più alte in Francia, in Svezia e negli altri Paesi del Nord), ma le previsioni sulla fine della società europea rimangono più o meno le stesse. I gruppi che popolano l’estremo Nord europeo, anche se più prolifici degli italiani, sono però poco numerosi e di conseguenza non incidono in modo significativo sull’incremento totale; ma soprattutto quello che conta è la particolare dinamica dei singoli fattori culturali  che sostengono la civiltà europea e che influiscono in modo diverso nelle varie Nazioni.
La conclusione in ogni caso è chiara: i “portatori”, i soggetti agenti della cultura europea, saranno sempre più in minoranza.
Per  “minoranza” non si deve intendere infatti esclusivamente quella numerica in quanto gli europei continueranno anche oltre il 2.050 ad essere, almeno in alcune zone, più numerosi degli Africani- ma quella psicologica: essere invasi e sopraffatti senza aver combattuto induce all’estinzione. Si tratta della situazione opposta a quella dei popoli conquistati con le guerre. Questi covano anche per secoli la propria resurrezione , resistendo alle imposizioni del nemico proprio perché è “nemico” ed impegnano tutte le proprie energie nel conservare la propria lingua, i propri costumi, la propria religione. In Europa una degli esempi più famosi da questo punto di vista sono i Polacchi e gli Ungheresi che hanno resistito sotto il dominio straniero, russo e tedesco, con la consapevolezza orgogliosa della propria storia, del proprio coraggio, delle proprie virtù. Malgrado fossero costretti all’uso della lingua straniera, i Polacchi si sono rifugiati nella propria come la più forte arma di difesa, convinti che lì si trovasse il principale strumento di salvaguardia della propria identità. L’hanno adoperato perciò con gioia in privato, nell’ambito della famiglia, ma soprattutto gridandone la bellezza nel canto dei loro poeti, innamorati della “polonità” come Adam Mickiewicz, pronti a combattere per la sua libertà- Si tratta di una condizione istintiva, anche se sono moltissimi gli scrittori che l’hanno affermato con assoluta sicurezza.  Fra quelli italiani, volendoli citare, ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta, visto che non c’è stato nessuno, a partire da Dante, via via attraverso i secoli fino all’unità d’Italia, da Petrarca a Galileo a Leonardo a Machiavelli a Vico a Cesarotti a Leopardi a Carducci a Pascoli a D’Annunzio a Croce, che non abbia difeso con tutte le sue forze la lingua italiana affermandone, oltre alla supremazia espressiva ed alla ricchezza melodica in confronto a tutte le altre lingue, proprio la funzione di linfa vitale per l’identità del popolo che la parla: la lingua “sostituto della patria” come dice Luigi Settembrini.
Compariamo questo comportamento con l’invasione ricercata e voluta degli orridi anglo- americanismi nella lingua italiana in uso oggi, e sapremo perché stiamo andando verso l’estinzione. Esiste sicuramente una volontà potente ed autoritaria che guida, di nascosto ed in silenzio, tutti gli strumenti di comunicazione verso la perdita dell’Italiano con l’inserimento, ogni giorno più pressante, nella pubblicità, negli spettacoli televisivi, nei titoli dei film e delle canzoni, di un americano dialettale  da periferia che ai giovani piace assimilare e ripetere. Nulla è più significativo di questa collaborazione dei giovani al disprezzo della propria terra, dell’Italia, persino nelle cose in cui  è storicamente la più ricca, la più ammirata nel mondo.
Non è del tutto colpa loro, questo è certo. Il messaggio che arriva da ogni parte è uno solo: l’Italia deve sottomettersi ai voleri stranieri, che rappresentano quelli di una identità inesistente che porta il nome di “Europa”; sono voleri però che coincidono con quelli dei banchieri di una banca privata, detta abusivamente Banca  Centrale Europea, dei quali nessuno conosce neanche i nomi. Bisogna obbedire inoltre ai voleri, anch’essi abusivi, dei governanti di Francia e Germania in quanto hanno assunto, com’era logico aspettarsi e a preludio dei prossimi inevitabili conflitti, la leadership d’Europa.
Tutti i giornali ed i mezzi di comunicazione di massa ripetono lo stesso messaggio, appoggiato dall’indottrinamento della scuola di Stato, che naturalmente non può fare a meno di testimoniare la sua fedeltà agli ideali governativi esaltando l’unificazione europea come massimo bene.
L’Italia, insomma, deve ringraziare gli stranieri se le concedono di occupare un umile posticino nel mondo buono e giusto dei banchieri e deve imparare a governarsi in funzione non dell’arte, non della musica, non della poesia, non della cultura, ne’ tanto meno della scienza o della Storia- cose nelle quali si è inutilmente dilettata fino ad oggi -ma dei mercati, dei commerci, della moneta, della Borsa.
Giorgio Napolitano si è felicitato del fatto che, guidata da un esperto delle funzioni bancarie, l’Italia recuperasse il proprio onore in Europa. Una convinzione che fa venire i brividi. L’onore dell’Italia, Presidente? Ma cosa dice? Quale uomo può avere nelle sue mani l’onore dell’Italia ? L’onore di Galileo, l’onore di Leonardo, l’onore di Michelangelo, l’onore di Dante, l’onore di Mazzini, l’onore di Garibaldi, l’onore di  Leopardi, l’onore di Verdi? No, no, tranquillizziamoci: l’uomo di cui parla il Presidente è un banchiere , il signor Mario Monti, che non potrebbe avere in mano, con o senza l’aiuto del Presidente della Repubblica, l’onore di nessuno, salvo il proprio naturalmente. Ed anche il suo, chissà?
Come membro della Commissione europea presieduta da Jacques Santer, è stato costretto dal Parlamento a dimettersi, insieme a tutta la Commissione (di cui faceva parte anche un altro italiano, Emma Bonino), per cause veramente infime:compaiono infatti nella perizia sui bilanci della Commissione, effettuata dal comitato di esperti indipendenti nominato dal Parlamento,  insieme ad un macroscopico “buco di bilancio”, operazioni di corruzione quali frode, cattiva gestione, nepotismo, favoritismi, contratti “fittizi”: termini imbarazzanti e quasi inverosimili in rapporto a quello che avrebbe dovuto essere il governo di un grande e nobile Impero.
E’ stato poi consulente della banca Goldman Sachs, una delle maggiori protagoniste della diffusione dei titoli “derivati “ che hanno provocato il crack mondiale del 2008 e, con tale noncuranza dei conflitti d’interesse, è stato anche consulente dell’importante agenzia Moody’s (l’agenzia di rating che ha declassato i titolo di credito italiani).
Finalmente, dopo le operazioni di distruzione dei titoli sovrani degli Stati, appositamente messe in atto da quei potenti dietro le quinte che perseguono l’unificazione mondiale, è giunto al posto cui aspirava da molto tempo, quello di capo del governo italiano.
Malgrado tutto, però, il salto non è stato facile: gli Stati sono lenti a morie e i banchieri sempre più impazienti.  C’è voluta una bella spinta: con un atto di forza del Presidente della Repubblica ha preso corpo, fra tutte le falsificazioni del bene a cui assistiamo impotenti in questo periodo, anche la “falsificazione della democrazia”.
Povera Italia! Una persona autoritaria che al momento giusto coglie la palla al balzo per instaurare la  dittatura, non le è mai mancata. Questa volta però perfino come dittatura è talmente grottesca che non si sa in quale modo definirla: “il governo dei tecnici”.
….C’è da aggiungere un particolare ai “meriti” di un banchiere capo del governo, un particolare interessante dal punto di vista del problema della lingua di cui ci siamo occupati: nel mondo dell’economia e della finanza ci si vanta di parlare soltanto in Inglese. Non parlare la propria lingua madre è stato sempre per qualsiasi uomo, come abbiamo già visto, un enorme sacrificio, una privazione dipendente dalla necessità, come per chi è emigrato e si trova in terra straniera.
Nulla quanto la rinuncia alla lingua madre rappresenta e allo stesso tempo da’ sostanza alla condizione dell’esilio, dell’estraneità. Evidentemente non è così per banchieri ed economisti ma forse un motivo c’è. La propria lingua è tutt’uno con il pensiero: avviene molto raramente che uno scrittore non si serva nelle sue opere della propria lingua madre, anche quando viva da moltissimi anni in una Paese straniero e ne parli abitualmente la lingua. Il fatto è che economisti e banchieri non sono persone di pensiero. Anzi ne rifuggono, così come rifuggono da qualsiasi sapere che non rientri nell’economia.
Il rifiuto di uscire dal proprio ristrettissimo campo d’azione, cosa che nell’universo scientifico moderno caratterizza soltanto gli economisti, dipende da alcuni precisi dati psicologici. Il primo ed essenziale è il primato di se stessi: se l’economia interessa me significa che è l’unico sapere realmente “sapere”, un sapere assoluto che non ha bisogno di nulla che lo completi così come Io sono assoluto e nulla è maggiore di me. Si tratta dunque di una convinzione che fa parte della personalità dell’economista e che naturalmente contraddice il concetto stesso di “scienza”, portando a pericolosi errori. L’economia sarebbe in questo senso la scienza delle scienze, così come è stata per molto tempo la teologia.
Di fatto per molti economisti e finanzieri l’economia è davvero una teologia, con il medesimo assunto di partenza dei teologi: chi non conosce l’economia è analfabeta, è escluso dal mondo del sapere, così come il non iniziato, il non circonciso è escluso dal mondo “vero” quello del “ mito” fondante della tribù e della capacità d’azione che ne discende. Per questo i cultori dell’economia formano una società chiusa, forte e solidale soltanto all’interno del proprio cerchio, stranamente simile a quella società segreta potentissima e piena di conoscenze magiche che nelle culture primitive è costituita dai “lavoratori del ferro”, quelli col fuoco sempre acceso. La Borsa è questo fuoco.

Tratto dal libro “Dopo L’Occidente” Maggio 2012 Ed. BUR
Ida Magli è antropologa e saggista. Ha collaborato per anni con “La Repubblica” e ha insegnato Antropologia all’Università di Roma. Fra i suoi testi principali: Contro l’Europa (Bompiani 1997),Gesù di Nazareth BUR 2004, Omaggio agli Italiani (BUR 2005), Il Mulino di Ofelia (BUR 2007), La Dittatura europea, BUR 2010). I suoi testi sono tradotti in numerosi paesi.
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