venerdì 29 settembre 2017

Di bene in meglio

Ogni tanto si sente suonare la carica di coloro che sono stati costretti a emigrare. Questi, giustamente, hanno dovuto prendere la strada che porta a sradicarsi e mettere al servizio ,di una nazione diversa, le proprie capacità: di qualunque natura esse siano. Tuttavia e dati i tempi, mi chiedo se è ancora valido tutto questo, perché sempre a sentire i media e alcuni politici, siamo in un mondo globalizzato, dove non ci dovrebbero essere patria, e quindi , se una persona lavora in un paese diverso , in realtà è come se stesse lavorando un po' più lontano da casa. O no? Potrebbe anche trovare un ambiente che accoglie, un po' come sostengono sempre e a ogni ora i media nostrani. Peccato che secondo dove si finisce, puoi anche essere nato lì che ti sogni cittadinanza e doppio passaporto. La cosa curiosa è anche l'affermazione che devi adattarti, cioè tutto il contrario di ciò che viene chiesto ai cittadini italiani quando vengono costretti ad accogliere i migranti: sembra quasi che debba tu conoscere ,per forza, una lingua come l'inglese o il francese, mentre sappiamo bene che se tu vai in vacanza all'estero, col cavolo che ti accolgono nella tua lingua. Forse, ma dico forse, se incontri una guida turistica: quest'obbligo, anche qui da noi, di dover parlare con i turisti in inglese, a me non piace. 
Un altro punto che non mi piace è quello che riguarda i migranti, o meglio il fatto di dover spendere dei soldi per l'integrazione: mi starebbe anche bene, ma non certo il fatto di doverli andare a prendere a casa loro per portarli qui da noi a sottrarre lavoro a chi, di noi, lo sta cercando. Il discorso collegato del caporalato va di pari passo, perché ,almeno in teoria questi nuovi immigrati potrebbero essere inquadrati come lo sono quelli che ,stabilmente, lavorano negli Usa: intendo dire con un sistema simile, che prevede una trattativa diretta tra chi assume, chi cioè ha cercato e vuole o gli viene proposto quel lavoratore, quella persona e l'immigrato. E' una cosa loro, non ci sono contratti collettivi o cose simili, per costoro ovviamente: ed è qui che viene il bello, perché queste persone vengono, di norma , pagate meno dei locali, che appunto per questo stentano a trovare lavoro, o peggio, rischiano (ma non sono informato in merito) di essere sostituiti. Motivo questo di ulteriore allarme, in chi italiano cerca lavoro e non lo trova. Ora uno come me, un po' coglione e pure stronzo, pensa: ma come mai si stanno dando da fare tanto per ius soli e similari, e non fanno lo stesso, non usano la stessa energia e determinazione, per gli italiani? Anzi, perché in tutti questi anni non lo hanno fatto? 

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