martedì 9 ottobre 2018

Danimarca : ci avevano dato per morti, invece ci siamo e votiamo

Giuseppe Sandro Mela.

2018-10-09.

Aborto 001

Negli ultimi secoli ci hanno provato in molti.

Gli illuministi, quella brava gente dei giacobini, decapitarono buona parte del clero francese durante la rivoluzione, una gran parte la deportarono alla Caienna, ma la maggior quota morì durante la navigazione. Poi, quando la Francia pareva fosse un deserto ateo, arrivarono san Jean-Marie Vianney e santa Bernadette Soubirous.

Poi vennero i comunisti sovietici e non scherzarono minimamente. Venti milioni di cristiani furono assassinati, oltre centocinquanta milioni in toale al mondo. Ma dopo settanta anni, all’implosione dell’Unione Sovietica, la cristianità russa rialzò la testa: si era conservata nelle catacombe e la Chiesa Ortodossa russa è adesso più vitale che mai.

Infine ci hanno provato in Occidente i liberal. È stato un tentativo mai visto di scristianizzazione della società e delle menti e l’introduzione di tutta una serie di leggi persecutorie. Non esiste depravata e perversa pratica contro natura che non sia stata da loro propalata come cosa buona e giusta. Non sono però meno sanguinari di giacobini e comunisti.

OMS: nel mondo 56 milioni di aborti ogni anno

Cifre da capogiro: «Un genocidio silenzioso che difficilmente indigna le manifestazioni o fiaccolate del politicamente corretto

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A giustificazione del proprio essere, i liberal socialisti ripudiano le radici europee al punto tale da ritenerle inesistenti. Odiano Dio e la Religione di odio profondo e tenace.

Ma nell’ultimo lustro i cristiani residui si sono organizzati, e sono diventati parte attiva dello sconvolgimento elettorale che sta cambiando il volto dell’Occidente. Lavorano senza fanfare e senza mezzi, che peraltro non servono poi a molto. Nessuna sigla, nessuna organizzazione istituzionalizzata, nessun distintivo, nessun raduno pubblico. Ma la loro operosità ha generato i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Lascia sorridenti il fatto che se ne siano accorti tutti tranne che i liberal socialisti.

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I segni dei tempi mutati sono numerosi, ma quello danese da molta soddisfazione.

«The new contract for public service broadcasting between the Danish Ministry of Culture and broadcaster DR emphasises the importance of Christianity, while the word ‘integration’ has been removed»

 Dr’s Public Service-Kontrakt For 2019-2023.

«The contract, which was published on the ministry’s website yesterday as DR announced implementation of budget cuts including up to 400 job losses, will be the basis for significant changes at the broadcaster in coming years»

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«The new contract states that DR’s programming must make it clear that “(Danish) society is based on democracy and has its roots in Christianity”»

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«A sentence from the previous contract, stipulating that DR “must work for the promotion of integration in Danish society” has, meanwhile, been cut»

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«The government passed the bill providing for the new media contract with the parliamentary support of DF earlier this year»

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«This is a tightening-up we have had put in relative to the previous wording, which only obliged DR to particularly recognise Christian cultural legacy»

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«DR must present Christian cultural heritage to a greater degree»

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«Il ministro della Cultura ha reso pubblico il contratto di governo fino al 2023, spiegando che le emittenti statali dovranno sottolineare il valore fondante del cristianesimo per la società e la democrazia»

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«Radio e televisioni statali, quindi, avranno il compito di sottolineare che la società danese si basa sui principi della democrazia, che hanno le loro radici nel cristianesimo»

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«Dev’essere chiaro nei programmi e nelle piattaforme statali che la nostra società è radicata nel cristianesimo»

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Questo ottobre sarà mese elettorale: ci conteremo.

Ci vedremo a Filippi.


→ The Local. 2018-09-19. Christianity in, integration out in new guidelines for Danish public broadcaster

The new contract for public service broadcasting between the Danish Ministry of Culture and broadcaster DR emphasises the importance of Christianity, while the word ‘integration’ has been removed.

The contract, which was published on the ministry’s website yesterday as DR announced implementation of budget cuts including up to 400 job losses, will be the basis for significant changes at the broadcaster in coming years.

In the 20-page agreement, smaller details as to what DR will and will not be allowed to do are also given.

These include a restriction on publishing long-form written journalism on its website as well as demands on content.

The new contract states that DR’s programming must make it clear that “(Danish) society is based on democracy and has its roots in Christianity”.

A sentence from the previous contract, stipulating that DR “must work for the promotion of integration in Danish society” has, meanwhile, been cut from the new agreement, replaced with a different line which says that “DR must work to promote a Denmark based on community, built on values of democracy, equality and free speech”.

Those changes can be traced to the influence of the anti-immigration Danish People’s Party (DF), according to the party’s own media spokesperson Morten Marinus, who spoke to newspaper Politiken on Tuesday.

The government passed the bill providing for the new media contract with the parliamentary support of DF earlier this year.

“This is a tightening-up we have had put in relative to the previous wording, which only obliged DR to particularly recognise Christian cultural legacy. We felt that was too weak. That’s why we demanded this specification, which makes it clear that DR must present Christian cultural heritage to a greater degree,” Marinus told the newspaper.

Marinus also said that DR had “misused” the statement relating to integration in the previous agreement, citing an event held by the broadcaster in 2017 to mark Eid, the celebration that marks the end of the Islamic holy month of Ramadan.

“DR must still work to promote integration, but they have also misused the interpretation of it, because they hosted an Eid celebration. DR should not be the co-organiser of an Eid celebration. We don’t think that’s part of the public service remit,” he told Politiken.

News and programmes about good and bad integration should continue to be part of DR’s output, he added.

Opposition parties have criticised the wording of the new agreement and noted DF’s sway over it.

“The DF influence is clear (on the contract) and I think it is an incorrect prioritisation of conservative values. It’s another step towards a political agenda that does not want to integrate people,” Jacob Mark, media spokesperson with the Socialist People’s Party, told Politiken.

“This is alarming because the wording is exclusionary in a diverse society like Denmark. Danish society is built on Christian values, but also just as much on free speech and diversity,” Marianne Jelved, media spokesperson with the Social Liberal (Radikale Venstre) party, said to the newspaper.


→ Occr. 2018-09-30. Danimarca, le nuove linee guida del governo: riscoprire l’”eredità cristiana”

Danimarca e cristianesimo. Il ministro della Cultura ha reso pubblico il contratto di governo fino al 2023, spiegando che le emittenti statali dovranno sottolineare il valore fondante del cristianesimo per la società e la democrazia. Una scelta dovuta di fronte al secolarismo radicale che ha lacerato la società.

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Da diversi anni giungono notizie che a Copenaghen gli ex terroristi islamici trovano aiuto, studi pagati e offerte di lavoro salvo poi, due anni dopo, apprendere che gli stessi hanno ringraziato prendendo di mira i locali pubblici, chiedendo loro il pizzo.

E poi ancora: gare pubbliche di auto-erotismo, abolizione del divieto di sesso con animali, aborto selettivo ai bambini con Sindrome di Down, guerra al Natale e alle feste cristiane, inverno demografico ecc. Insomma, quello che si dice un perfetto Paese progressista.

Questa premessa rende ancor più sorprendente la notizia che il Ministero della Cultura daneseha preso una decisione in forte contro-tendenza. Il 18 settembre scorso, in diretta su Danish Radio, ha infatti descritto quale sarà l’impegno del governo per il 2019-2023, annunciando che le emittenti pubbliche dovranno rafforzare il patrimonio culturale nativo della Danimarca e sottolineare il ruolo fondante del cristianesimo nella società danese. Radio e televisioni statali, quindi, avranno il compito di sottolineare che la società danese si basa sui principi della democrazia, che hanno le loro radici nel cristianesimo.

Ecco le parole del ministro Mette Bock: i media danesi «dovranno rafforzare la propria offerta per quanto riguarda i valori culturali, democratici e storici nella società danese, compresa una chiara diffusione della cultura danese e del patrimonio culturale danese. Dev’essere chiaro nei programmi e nelle piattaforme statali che la nostra società è radicata nel cristianesimo».

Di fronte ad una secolarizzazione pronunciata, un secolarismo radicale, un femminismo estremo, ed il conseguente lassismo dei valori sociali, sembra dunque che il governo cerchi di correre ai ripari, riscoprendo le proprie radici. La frase “kristne kulturarv”, traducibile come “eredità cristiana”, è ripetuta ben cinque volte nel contratto di governo, assieme a iniziative civiche come la conservazione della cultura e l’educazione pubblica.

In Danimarca dunque ci si vorrebbe ora difendere da una deriva che loro stessi hanno entusiasticamente abbracciato, volendo ricorrere all’eredità cristiana per contrastare il progressivismo distruttivo e l’islamizzazione della società che sta erodendo il carattere distintivo danese. Questa preoccupazione si riflette in gran parte dell’Europa, un continente che un tempo era ritenuto irreversibilmente laico e che ora, invece, pare voler riscoprire la cultura cristiana per mantenere l’unità nazionale e la stabilità sociale.

Siamo certamente favorevoli a questa ripresa culturale del cristianesimo ma, ben sappiamo, che una cristianità proclamata ma non vissuta ha poca credibilità ed è priva di quella vitalità e di quella novità che riesce a penetrare il radicato scetticismo. Proclamare un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo è proprio l’errore di molti conservatoriattuali, che non sentono l’esigenza di convertire profondamente loro stessi all’eredità cristiana che tuttavia vorrebbero presente e viva nei loro Paesi. Per questo Giovanni Paolo IIchiedeva il percorso inverso: è dalla fede che deve nascere la cultura, perché -disse- «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» (Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”, aprile 1985).

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