Il Partito Democratico, quantomeno nella sua
classe dirigente, si sta confermando ogni giorno che passa non solo per
il partito delle banche, quelle che scuciono i soldi, ma ultimamente
anche il partito difensore delle multinazionali. Nello specifico quelle
operanti nel settore della trasformazione industriale dei prodotti
agricoli.
Il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, pressato dalle
lobby industriali, ha infatti compiuto un'autentica giravolta a 180° per
ribaltare completamente il voto favorevole della Commissione Politiche
Agricole che aveva votato per innalzare dall'attuale 12% al 20% la quota
minima legale italiana di succo di frutta vera nelle bibite che vengono
presentate e rivendute come succhi di frutta e simili.
La commissione politiche europee, su impulso dello stesso esimio
ministro, da parte sua aveva infatti votato no. Ora la parola passerà
all'Aula della Camera e sarà curioso vedere come andrà a finire perché
il PD è di fatto spaccato. I deputati peones del PD, quelli senza
incarichi a Montecitorio e al governo, sono piuttosto irritati e la Lega
si è schierata con loro. Resta da vedere come si schiereranno i vari
gruppi del cosiddetto centrodestra, difensori a parole degli interessi
degli agricoltori e della salute dei cittadini, ma troppo spesso pronti a
piegarsi ai desideri e agli interessi delle multinazionali.
Il no del ministro del governo Renzi ad un innalzamento della quota
minima, che da tempo viene richiesta dai medici, specie per tutelare la
salute dei bambini, è semplicemente criminogeno per non dire peggio. Si
tratta peraltro di un emendamento presentato da due deputati piddini
(Anzaldi e Oliverio) già approvato in gennaio dalla Commissione Affari
Costituzionali. Un voto favorevole che si scontrò con il no dell'allora
governo di Enrico Aspen Letta, a dimostrazione che il marcio sta già
nella testa. Nel partito erede del Pci-Pds-Ds che non prova più
vergogna. Il marcio sta insomma nel direttivo del PD e nei suoi stretti
legami con certi ambienti internazionali. Da qui nasce infatti anche la
difesa a spada tratta di tutte le misure e di tutti i regolamenti
partoriti dalla Commissione europea, anche i più idioti e i più dannosi
per l'Italia.
In questo caso dannosi per la salute dei cittadini, in particolare i
bambini che di quel tipo di bevande sono grandi consumatori. I deputati
del PD hanno fatto notare che la misura del 20% oltre che sacrosanta
finirà per dare un sostegno concreto ai nostri agricoltori che potranno
contare su una maggiore richiesta dei loro prodotti. Ma evidentemente né
Renzi né Martina, al pari di Letta e soci, hanno alcun interesse a
tutelare gli interessi nazionali ma soltanto il ruolo e gli interessi
delle multinazionali alimentari per le quali è del tutto irrilevante
cosa ci sia nei prodotti che vengono smerciati ed è del tutto secondario
da dove provenga la materia prima.
Il fatto è che pure le aziende italiane del settore partecipano a questo
andazzo tanto che il presidente della associazione produttori di
bibite, senza alcun senso di vergogna, è arrivato a dichiarare che la
scelta di portare la quantità minima non esiste in nessun Paese europeo e
impedisce il rilancio delle imprese e dell'economia. Gli italiani, a
suo dire, godono di ampia scelta di bevande con diversi tenori di succo
di frutta. Oltretutto, ha precisato ancora, la media europea di succo di
frutta presente nelle bottigliette e nelle confezioni è appena del 5%.
Insomma, non si tratta di succhi di frutta.
Poi uno va a controllare e scopre che il capo di questa associazione di
bibitari è un dirigente di Coca Cola Italia. Ma guarda un po'. A luglio
scorso, in un articolo pubblicato su questo sito, sottolineavamo il
fatto che in Europa il settore agricolo è marginalizzato dal peso
dell'industria trasformatrice alimentare e dalla grande distribuzione
che obbligano gli agricoltori a vendere il prodotto di base al prezzo
stabilito da loro altrimenti rimarrà a marcire nei campi. Una industria
trasformatrice, collocata per lo più nell'Europa del Nord. Un'industria
che non ama la differenziazioni tra prodotti che, grazie al clima mite e
variato, è tipica dei Paesi mediterranei come Italia, Spagna, Grecia e
Francia. Una industria trasformatrice che si è mossa tramite le proprie
lobby per bloccare a Bruxelles le norme in favore della tracciabilità
dei prodotti con l'indicazione della loro origine geografica
sull'etichetta. Una industria trasformatrice che è riuscita a fare
passare il principio che non importa da dove provenga un prodotto come
l'olio extravergine d'oliva ma conta invece dove viene imbottigliato.
Tanto che oggi è normale leggere sulle etichette di extravergine:
“prodotto con olii comunitari”. Sì, ma di dove?
Non è un caso che dal 1973 ad oggi non c'è stato alcun commissario
europeo dell'area Sud. Ma invece due olandesi, tre danesi, un irlandese,
un lussemburghese, un austriaco, un lettone ed un romeno. Paesi che,
con tutto il rispetto, non vantano una agricoltura variata come quella
italiana o francese. Paesi del Nord Europa dove, in quel settore, è
l'industria casearia a farla da padrona e dove la frutta è un optional.
Una mancanza che si cerca di compensare con intrugli a basi di zuccheri
che hanno effetti devastanti (diabete in primo luogo) per chi ha la
sventura di berli.
Irene Sabeni
Fonte: http://www.ilribelle.com/
5.04.2014
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=69564#top
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