venerdì 13 marzo 2015

Diminuire la spesa pubblica? Semplicemente la forma più feroce di tassazione

di Marco Mori
Ieri a quinta colonna, al di là del rammarico per non essere intervenuto a causa della repentina chiusura del collegamento, ho purtroppo assistito al consueto minestrone di luoghi comuni della peggiore falsa propaganda mainstream.
Ho potuto sentire gli interventi in studio dei vari parlamentari, da PD a FI, ed è stato chiaro il bassissimo livello di cultura giuridica ed economica di ciascuno di essi. Purtroppo nessuno dei presenti aveva la minima idea di cosa sia la contabilità pubblica e di come la si debba gestire, ovviamente con la necessaria piena sovranità economica e monetaria.

Avessi avuto i 2 minuti per i quali mi sono fatto 8 ore di viaggio avrei semplicemente ricordato un fatto. Diminuire la spesa pubblica equivale a tassare indirettamente, ma ancor più ferocemente, i cittadini. Questo accade perché la spesa pubblica è sic et simpliciter il nostro reddito (reddito indiretto e reddito differito come spiega favolosamente dal Pres. Luciano Barra Caracciolo). La spesa pubblica è la ricchezza dei cittadini. Avrei poi certamente chiesto se qualcuno in studio conosce un metodo per aumentare la base monetaria che non passi attraverso una spesa pubblica più alta della tassazione complessiva. Avrei in definitiva chiesto se i Parlamentari sanno da dove “esce” il denaro di cui disponiamo.
Il deficit pubblico è un preciso obbligo costituzionale imposto dall’art. 47 per la creazione di un risparmio diffuso, ma oggi viene demonizzato in dibattiti dove si ragiona della contabilità pubblica del paese su logiche microeconomiche. Se poi qualcuno avesse risposto che la moneta può entrare nell’economia reale anche con le esportazioni, sarebbe stato semplice rilevare che esse, in ogni caso, non consentono un risparmio “diffuso” ma per definizione lo concentrano nelle imprese esportatrici. Peraltro già Keynes ben spiegava che una nazione non può vivere di sole esportazioni in quanto non sostenibili nel lungo periodo. La domanda interna resta la componente più importante di qualsiasi economia nazionale.
A chi invece avesse ricordato che la moneta la creano le banche commerciali all’atto dei prestiti, sarebbe stato altrettanto facile replicare che esse aumentano solo temporaneamente la base monetaria, con ovvi riflessi positivi sull’economia, ma che alla fine di ogni prestito drenano più moneta di quanta ne immettono, rendendo inevitabili crisi cicliche al momento in cui si cessa di erogare nuovo credito. Peraltro i tassi d’interessi del credito privato sono estremamente elevati.
Detto con un banale esempio, se il monte spesa pubblica nel mio paese è 10 e tasso 5, il risparmio sarà possibile. Se invece spendo 0 per tassare 0 , il risparmio diverrebbe impossibile a prescindere dal calo della pressione fiscale e sparirebbe letteralmente dalle tasche dei cittadini esattamente come se aumentassi il livello di tassazione fino a coprire l’intera spesa pubblica. Anzi in questo secondo caso grazie ad un po’ di evasione connaturale al prelievo fiscale qualche effetto benefico in più si avrebbe. Insomma dire che diminuendo la spesa si possono abbassare le tasse è una sciocchezza perché spesa e tasse sono due facce della stessa medaglia, ciò che conta è il loro saldo differenziale. Se vi è troppa moneta nel sistema si può decidere di fare austerità, se ne abbiamo troppo poca va ovviamente aggiunta.
L’economia dunque ha solo bisogno della quantità giusta di moneta nel proprio motore, il valore di quella moneta dipende unicamente dal nostro lavoro. Oggi siamo in deflazione e dunque abbiamo bisogno di più moneta che va immessa con più spesa pubblica o diminuendo le tasseFare austerità oggi è un errore clamoroso, se lo si fa volontariamente, al fine di obbligarci a cessioni di sovranità, invece si deve parlare di atto criminale.
Ricordo infine a tutti (è scritto nei manuali di economia) che l’aumento della spesa pubblica ha un effetto moltiplicatore del pil (effetto largamente positivo) superiore alla diminuzione della tassazione. Questo accade perché l’allocazione della spesa ha un’efficacia redistributiva migliore, la moneta così immessa è “subito pil” mentre, quando un cittadino mantiene nelle tasche più moneta con la riduzione delle imposte, potrebbe anche decidere di accumularla nel risparmio (o spenderla fuori dal paese) e dunque non incidere affatto sul nostro pil.
Diffondete questo post. La comprensione della contabilità pubblica è semplice ma, ciò nondimeno, è una vera e propria emergenza nazionale. Chiedete alla stampa e alle tv che questo concetto venga spiegato da me o da qualsiasi altro membro, anche ben più qualificato, di www.riscossaitaliana.it

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