mercoledì 18 luglio 2018

17 luglio 1918. La fine dei Romanov

Giuseppe Sandro Mela.

2018-07-17.

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Cento anni fa i comunisti sterminarono tutti i membri della famiglia imperiale Romanov.

Tutte le rivoluzioni esigono la testa dei capi dei precedenti regimi. Poi, non sazie, quelle dei collaboratori e dei sostenitori, infine di tutti gli oppositori. Ed andrebbe financo bene se si fermassero lì: ma la storia insegna che non si fermano per nulla.

Olivier Cromwell fece decapitare Re Carlo I. La rivoluzione francese fece altrettanto con Re Luigi XVI. Poi, tutti gli altri.

C’è poco da fare: la storia è scritta con il sangue.

*

Questo è un sunto schematico degli avvenimenti.

«Jakov Michajlovič Jurovskij fu incaricato di occuparsi personalmente della preparazione, dell’esecuzione e del successivo occultamento dell’eccidio della famiglia imperiale e delle persone che l’avevano seguita: in totale sarebbero morte 11 persone. Venne nominato comandante della Casa a destinazione speciale, ossia della Casa Ipat’ev, dove erano detenuti lo zar deposto Nicola II e tutta la sua famiglia, e nelle loro ultime settimane di vita gestì i ritmi della casa.

I Romanov vivevano sotto stretta sorveglianza e la prolungata convivenza con le guardie rosse era costellata di soprusi e angherie da parte di queste ultime verso l’ormai impotente famiglia, specialmente verso le figlie adolescenti dell’ex sovrano Ol’ga, Tat’jana, Marija e Anastasija. Sotto il precedente comandante della casa, i furti e gli scherzi triviali verso la famiglia erano all’ordine del giorno e i Romanov avevano persino difficoltà a tutelare la salute cagionevole del figlio minore di Nicola II, Aleksej, malato di emofilia, e della ex zarina Aleksandra Fëdorovna, sofferente di sciatica.

Con l’arrivo del commissario Jakov Michajlovič Jurovskij il regime della Casa a destinazione speciale cambiò: le guardie furono disciplinate a non avere contatti con i prigionieri e i furti cessarono improvvisamente.

Jurovskij si informava giornalmente da Nicola Romanov circa la salute della moglie e del figlio, talvolta accettava di portare qualche richiesta all’esterno e permise alle suore di un convento vicino di portare latte e uova fresche per i prigionieri. Nel frattempo effettuava tutti i preparativi per l’esecuzione.

Nella seduta del Soviet dove si sarebbero decisi i bersagli dei carnefici, le guardie rosse si rifiutarono di sparare sui figli e Jurovskij dovette chiamare ex prigionieri di guerra austro-ungarici che avevano aderito alla rivoluzione a cui spiegò tutto in tedesco; fra di loro si dice fosse presente anche il giovane Imre Nagy, in realtà è appurato che l’Imre Nagy ivi presente fosse soltanto un omonimo e si consideri che all’epoca questo nome era parecchio diffuso.

La notte tra il 16 e il 17 luglio, alle 11 di sera, Jurovskij chiamò il suo assistente Medvedev e gli diede le seguenti disposizioni:

    raccogliere 11 revolver dai soldati della casa;

    avvisare il corpo di guardia della casa di non allarmarsi, se avesse udito degli spari.

« Al pianterreno era stata scelta una stanza con un tramezzo di legno stuccato (per evitare rimbalzi), da cui erano stati levati tutti i mobili. La squadra era pronta nella stanza accanto. I Romanov non avevano intuito nulla.[3] »

(Dalla nota di Jurovskij)

A mezzanotte, Jurovskij svegliò i Romanov e ordinò loro di prepararsi per una partenza; spiegò che, in concomitanza dell’arrivo imminente dei bianchi in città era scoppiata una sommossa e che sarebbe stato più sicuro trasferirli altrove. Mezz’ora più tardi Nicola II, la moglie Aleksandra, il medico Botkin, l’inserviente Trupp, il cuoco Charitonov, poi i cinque figli, Ol’ga, Tatijana, Marija, Anastasija, Aleksej e la dama di compagnia Anna Demidova scesero le scale e Jurovskij li invitò ad entrare nella stanza del pianterreno.

« Nikolaj aveva in braccio Aleksej, gli altri portavano dei cuscinetti e delle piccole cose di vario genere. Entrando nella stanza vuota, Aleksandra Fëdorovna domandò: «Ma come, non c’è neppure una sedia? Non ci si può neppure sedere?». Il com. ordinò di portare due sedie. Nikolaj fece sedere su una sedia Aleksej, mentre sull’altra prese posto Aleksandra Fëdorovna. Ai rimanenti il com. ordinò di disporsi in fila.[4] »

(Jurovskij – che narra in terza persona)

Alludendo alla sua professione di fotografo, il commissario li dispose come per una fotografia di notifica: seduti in prima fila Aleksandra Fëdorovna e Aleksej, accanto a loro Nicola e alle loro spalle le figlie; sui lati i membri del seguito.

« Con rapidi gesti del braccio Jurovskij indicava a ciascuno dove doveva disporsi. Calmo, a bassa voce: «Prego, voi mettetevi qua, e voi qua… ecco, così, in fila…». I detenuti si disposero in due file. Nella prima c’era la famiglia dello zar, nella seconda la loro gente.[5] »

(Sterkotin, membro del commando)

Quando tutto fu pronto, Jurovskij chiamò il commando armato e 10 uomini si ammassarono sulla porta attendendo l’ordine.

«Quando entrò la squadra, il com. disse ai Romanov che in considerazione del fatto che i loro parenti continuavano l’attacco contro la Russia sovietica, il Comitato esecutivo degli Urali aveva deciso di giustiziarli. Nicola voltò le spalle alla squadra, volgendosi verso la famiglia, poi, come tornato in sé, si girò in direzione del com., chiedendo: «Come? Come?» […] Il com. ripeté in fretta e ordinò alla squadra di puntare. Nicola non disse più nulla, si voltò di nuovo verso la famiglia, agli altri sfuggirono altre esclamazioni sconnesse. Tutto ciò durò alcuni secondi.[6] »

(Jurovskij)

«Detta l’ultima parola, Jurovskij estrasse di colpo il revolver dalla tasca e sparò allo zar. La zarina e la figlia Ol’ga cercarono di farsi il segno della croce, ma non fecero in tempo.[7] »

(Strekotin)

Gli uomini ammassati sulla porta tesero i revolver e bersagliarono sul gruppo: Aleksandra Fëdorovna cadde subito dopo il marito, seguita da Aleksej; dopo di loro si rivolsero alle figlie e al seguito.

« […] Si formarono tre file di uomini che sparavano con le pistole. E la seconda e la terza fila sparavano al di sopra delle spalle di quelli che erano davanti. Le braccia con i revolver, protese verso i condannati, erano così tante e così vicine l’una all’altra che quelli che erano davanti ebbero il dorso della mano ustionato dagli spari di quelli che erano dietro.[8]»

(Kabanov, membro del commando)

Nella confusione generale, i pianti e le urla delle ragazze confondevano gli uomini, che non riuscivano a mirare correttamente; le figlie, avendo cucito alcuni gioielli nei vestiti, dovettero subire più colpi prima di cadere e far cessare le urla che disturbavano i carnefici.

« Il mio aiutante dovette consumare un intero caricatore.[9] »

(Jurovskij)

« Le due figlie minori dello zar erano accovacciate per terra contro la parete, con le braccia strette sul capo. Intanto due stavano sparando contro le loro teste. Aleksej era disteso sul pavimento. Qualcuno sparava anche contro di lui. La frel’na [tata, la Demidova] era sul pavimento ancora viva. »

(Kabanov)

I gioielli cuciti negli abiti facevano rimbalzare i proiettili sui corpi delle donne, che ferite e spaventate, non sembravano smettere di dibattersi in preda al dolore e al terrore.

« Allora mi slanciai nel locale dell’esecuzione e urlai di smetterla di sparare e di finire quelli che erano ancora vivi a colpi di baionetta… Uno dei compagni cominciò a spingere nel petto della frel’na la baionetta del suo fucile americano Winchester. La baionetta aveva l’aspetto di un pugnale, ma la punta non era acuminata e non penetrava. Ella si aggrappò con ambo le mani alla baionetta e cominciò a urlare. Poi la colpirono con i calci dei fucili.[10] »

(Kabanov)

Dopo circa venti minuti, l’esecuzione ebbe termine.

« Il sangue scorreva a rivoli. Quando io arrivai l’erede era ancora vivo e rantolava. Jurovskij gli si accostò e gli sparò due o tre colpi a bruciapelo. L’erede tacque. Quel quadro mi provocò un conato di nausea.[11] »

(Medvedev, assistente di Jurovskij)

Tuttavia, al momento di trasportare i corpi all’autocarro, il commando si accorse che non tutti erano morti.

« Quando deposero sulla barella una delle figlie, essa lanciò un urlo e si coprì il volto con una mano. Constatammo che erano vive anche le altre. Ormai non si poteva più sparare, perché le porte erano aperte […] Ermakov prese il mio fucile con la baionetta innestata e a colpi di baionetta finì tutti coloro che erano ancora vivi.[12] »

(Sterkotin)

I cadaveri vennero caricati su una camionetta che, seguita dal commando di Jurovskij, si addentrò nel bosco di Koptjakij per passare alla fase dell’occultamento. A metà strada l’autocarro si impantanò: il commissario decise quindi di bruciare sul posto due corpi per confondere un’eventuale futura indagine dei bianchi. Nella sua nota egli attesta che bruciò il corpo di Aleksej e di una donna (probabilmente Marija o Olga) che identifica con Anna Demidova.

Dopo la prima cremazione e il disincaglio del carro, Jurovskij e i suoi arrivarono nel luogo prescelto: una cava abbandonata chiamata la radura dei quattro fratelli (per la presenza di quattro ceppi di abeti).

Lì i cadaveri vennero spogliati (fu allora che gli uomini scoprirono i gioielli nascosti dalla zarina e dalle figlie) e fatti a pezzi con asce e coltelli; gettati nella cava, vennero cosparsi di acido solforico e poi dati alle fiamme.

Il giorno seguente all’esecuzione, Sverdlov interruppe i lavori del comitato centrale di Mosca e mormorò qualcosa a Lenin, che dice a voce alta: «Il compagno Sverdlov ha da fare una dichiarazione». «Devo dire» dice Sverdlov «che abbiamo ricevuto notizie da Ekaterinburg. Per decisione del Soviet regionale, è stato fucilato Nicola II in un tentativo di fuga mentre le truppe cecoslovacche si avvicinavano alla città. Il presidium del comitato esecutivo centrale panrusso approva tale decisione». Segue un “silenzio generale”, fino a quando Lenin non propone di continuare il lavoro interrotto.[13]

Il 20 luglio venne pubblicato a Ekaterinburg il decreto dell’eseguita esecuzione:

« Decreto del Comitato esecutivo del Soviet degli Urali dei deputati operai, contadini e dell’Armata Rossa. Avendo notizia che bande cecoslovacche minacciano Ekaterinburg, capitale rossa degli Urali, e considerando che il boia coronato, qualora si desse alla latitanza, potrebbe sottrarsi al giudizio del popolo, il Comitato esecutivo, dando corso alla volontà del popolo, ha decretato di procedere all’esecuzione dell’ex zar Nikolaj Romanov, colpevole di innumerevoli crimini sanguinosi.[14] »

Nonostante il Soviet centrale di Mosca avesse negato in seguito lo sterminio dell’intera famiglia, comunicando la sola fucilazione dello zar “in un tentativo di fuga”, e nonostante gli sforzi di Jurovskij e dei suoi uomini di occultare nel modo più assoluto ogni traccia dell’esecuzione di massa, i resti nella cava dei quattro fratelli sono stati portati alla luce nel 1979.

Alapaevsk, 18 luglio 1918

La notte tra il 17 e il 18 luglio 1918, nella località di Alapaevsk sono passati per le armi: la granduchessa Elizaveta Fedorovna, sorella della zarina, il granduca Konstantin Konstantinovič, il granduca Igor’ Konstantinovič, il granduca Ivan Konstantinovič, il granduca Sergej Michajlovič, suor Varvara Jakovleva e infine il principe Vladimir Pavlovič Paley.»

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Nessuno si faccia la minima illusione. Ma proprio nessuna.

Su questa Europa odierna si stanno addensando cupe nuvole. Un ancien régime che sta facendo l’impossibile per non morire ed un nuovo emergente. La concreta possibilità di uno sbocco violento è tutt’altro che remota.

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