Un giornalista che si trovava in un Paese straniero è stato prelevato da una squadra di agenti, ammanettato, costretto a salire su un’auto senza contrassegni e portato direttamente in prigione, dove è stato detenuto con la generica accusa di “violazione della legge dello Stato”. Malgrado le evidenti similitudini con il caso di Cecilia Sala, non è successo a Teheran, ma a Zurigo, in Svizzera, dove Ali Abunimah è stato arrestato in quanto palestinese, attivista e co-fondatore di Electronic Intifada, una delle testate che più raccontano quanto succede in Palestina. Abunimah si trovava a Zurigo per partecipare a un evento sulla Palestina e sul coinvolgimento dell’Occidente nei massacri di Gaza in qualità di relatore. «Il mio “crimine”? Essere un giornalista che parla a favore della Palestina e contro il genocidio di Israele», ha scritto dopo essere stato rilasciato. Il giornalista è rimasto in carcere tre giorni e due notti, privato della possibilità di comunicare con il mondo esterno 24 ore su 24, ed è stato espulso dal Paese senza capi d’accusa.
L’arresto di Ali Abunimah è avvenuto sabato 25 gennaio. Abunimah si trovava a Zurigo per parlare a un evento formativo sulla storia della Palestina e sui fatti successivi al 7 ottobre, organizzato da Watermelon University. Sin dal suo arrivo in Svizzera, venerdì 24 gennaio, il giornalista era stato sottoposto a pressioni da parte delle forze dell’ordine, venendo interrogato per circa un’ora in aeroporto. Anche le istituzioni che avevano concesso lo spazio per l’evento hanno subito pressioni dalle autorità, tanto da costringere gli organizzatori a cambiare il luogo dell’incontro un’ora prima dell’inizio. Il giornalista è stato prelevato in strada attorno alle 13:30 da un gruppo di agenti in borghese. Testimoni oculari riferiscono di un «brutale arresto»: gli agenti di polizia, in abiti civili, lo avrebbero spinto contro il muro e ammanettato, per poi condurlo alla polizia cantonale di Zurigo.
Arrivato in prigione, Abunimah è stato interrogato dalla polizia in assenza dell’avvocata; inizialmente gli agenti gli hanno impedito di contattarla, ma lui si è rifiutato di rispondere alle loro domande senza di lei. In presenza dell’avvocata, è stato accusato di “violazione della legge svizzera” senza che venisse specificato quale crimine avesse commesso né che venissero elencate eventuali accuse. «Per quanto ne so, non sono stato accusato di alcun reato e sono stato detenuto in “detenzione amministrativa”», scrive il giornalista nel suo post su X. La polizia svizzera ha confermato il fermo di Abunimah, citando un presunto «divieto di ingresso» e non meglio specificate «ulteriori misure in base alla legge sull’immigrazione». L’avvocata del giornalista, tuttavia, incalza: il divieto d’ingresso gli è stato imposto solo dopo il suo arrivo nel Paese, senza essergli notificato. Non è ancora chiaro il motivo per cui sia stato emesso il divieto, ma la stampa svizzera descrive Abunimah come un giornalista radicale, islamista e antisemita. L’intento dell’arresto, insomma, secondo l’avvocata, era repressivo.
Nei suoi tre giorni di detenzione, le autorità hanno impedito ad Abunimah di parlare con i propri familiari e lo hanno rinchiuso in cella senza la possibilità di uscire. Domenica mattina lo hanno prelevato dalla cella per farlo interrogare dagli agenti dei servizi segreti del Ministero della Difesa svizzero in assenza dell’avvocata, ma Abunimah si è rifiutato nuovamente di parlare senza di lei. Il giornalista è stato trattenuto in prigione fino a ieri, lunedì 27 gennaio, portato all’aeroporto di Zurigo in manette all’interno di un furgone carcerario senza finestrini e accompagnato fino all’aereo dalla polizia. Il telefono gli è stato restituito al gate. «Mentre venivo trascinato in prigione come un pericoloso criminale prima ancora che avessi la possibilità di dire una parola, il presidente israeliano Isaac Herzog, che all’inizio del genocidio dichiarò che a Gaza non ci sono civili né innocenti, camminava su un tappeto rosso a Davos» nota con amara ironia Abunimah. «E proprio oggi [lunedì 27 gennaio] Netanyahu si reca liberamente in Polonia per prendersi gioco della commemorazione di Auschwitz nonostante un mandato di arresto della CPI in sospeso. Questo è il mondo perverso e ingiusto in cui viviamo».
Dopo l’arresto di Abunimah, è sorto un forte moto di solidarietà nei suoi confronti, specialmente perché, vista la continua assenza di accuse, sono tutti concordi che sia stato arrestato per il mero fatto di essere un palestinese che critica l’operato di Israele. Amnesty ha denunciato la «repressione globale nei confronti di coloro che criticano le violazioni israeliane dei diritti umani dei palestinesi», definendola «allarmante». L’avvocato per i diritti umani Craig Mokiber ha accusato la Svizzera di stare «attaccando sempre più i difensori dei diritti umani per conto di un oppressivo regime di apartheid straniero che sta portando avanti un genocidio (Israele)». Francesca Albanese ha affermato che «il clima che circonda la libertà di parola in Europa sta diventando sempre più tossico». Numerosi altri gruppi e individui, anche dal basso, si sono mossi per la liberazione del giornalista palestinese, rimarcando il «preoccupante» stato in cui versano la libertà di parola e di stampa in Europa, di cui il caso di Abunimah risulta solo l’ultimo esempio.
[di Dario Lucisano]
fonte https://www.lindipendente.online/2025/01/29/la-svizzera-come-liran-giornalista-palestinese-arrestato-senza-accuse-ma-nessuno-dice-nulla/